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La scomparsa dei marciapiedi

I dehors, dal 2020 in poi, hanno cambiato le città in modo allegro. Fino a quando non sono diventati troppo invadenti.

09 Giugno 2024

A Milano, vicino a piazza Pasolini (titolata al conte e politico) c’è una piccola bottega a conduzione bangladese che vende stoccafissi, birre e varie necessità. Ogni sera un gruppo di uomini di diversa nazionalità si raduna poco distante. Prendono i semi di girasole e le birre dal piccolo negozio: 1,20 euro la lattina, si appoggiano al davanzale dei finestroni di una vicina banca e lì consumano il loro aperitivo. Nessun tavolino, nessuna sedia, ma quello spazio diventa un punto di incontro spontaneo.

Poco distante da li, l’Isola. Quello che un tempo era un vero quartiere popolare, dove ora sono rimasti solo i caseggiati gestiti da MM a ricordarlo, è ora diventato un enorme locale en plein air. Tavolini ovunque, dehors a perdita d’occhio dove la gente si accalca che sia inverno, estate, ci sia il sole o la pioggia. A passarci non si può non pensare a Silvio quando disse: «Mi sembra che in Italia non ci sia una forte crisi, i ristoranti sono pieni!» e qui, anche i bar lo sono.

Lo si percepisce camminandoci nel mezzo, certo, a riuscirci. Perché nei momenti più affollati è proprio il pedone a rimetterci. È in questo scenario che, chi può permettersi “l’ape” a dieci euro, si concede la propria, di pausa. Non è più un segreto che Milano sia una città da un lato vincente e dall’altro, come tutte le città narcisiste, polarizzata e densa di diseguaglianze e fragilità che volentieri eviterebbe di mostrare. Dopo Expo ne è stata sdoganata la dimensione turistica, ma anche la capacità attrattiva per gli investitori che trasformano il valore immobiliari a loro piacimento. Ma se da un lato la pandemia, che ci ha costretto tutti all’isolamento nel 2020, non ha frenato in alcun modo questo processo di crescita urbana, dall’altro ha contribuito però a cambiare per sempre l’uso degli spazi della città. Ma per capire quale sia stato il processo che ha portato a riempire Milano di verande, serve tornare un po’ indietro.

Risale al 2015 la prima delibera sulle attività commerciali per l’installazione di dehors nelle strade soggette a limite di velocità (Zone 30), anche in aree destinate a parcheggio pubblico. L’obiettivo dell’amministrazione era quello, sacrosanto e giusto, di valorizzare aree di socialità togliendole alle macchine per ridare spazio ai pedoni. L’8 maggio 2020, sarà invece una delibera di Giunta a rendere molto più semplice la richiesta e l’ampliamento di concessione per l’esercizio di somministrazione sul suolo pubblico con la sospensione della tassa di occupazione Cosap. Obiettivo: aiutare il piccolo commercio. Ce lo ricordiamo tutti quel periodo, chiusi in casa, a fare solitari brindisi dal balcone sperando di tornare a rivivere la convivialità. Era un momento duro per tutti, soprattutto per i commercianti di prossimità che avrebbero dovuto fare i conti con un momento economicamente difficile che, nonostante l’asporto e le possibili sovvenzioni messe in campo, non dava chiare prospettive di rinascita.

Per questo, seppur dotati di mascherine e ancora dipendenti dai bollettini del governo, questa delibera è stata risorsa preziosa per tutti coloro che avevano ancora appesi alla cler cartelli con scritto “Siamo chiusi ma torneremo presto, risorgeremo insieme”. Nel giro di poco tempo, ristoranti e bar hanno iniziato a presentare pratiche su pratiche che sono presto raddoppiate. Se dapprima i posti auto venivano sostituiti con gazebo temporanei fatti di bancali e fragili recinzioni, pian piano l’investimento è diventato più coraggioso e così si è in fretta stabilmente colonizzato, in maniera permanente, lo spazio disponibile.

Erano tempi, quelli, anche di bonus facciate e sconti in fattura, grazie a cui interi condomini hanno cambiato la loro pelle con cappotti nuovi di zecca. Così tra impalcature, tavolini, sedie e gruppi di persone desiderose di stare all’aperto, gli unici a pagarne le conseguenze sono stati proprio i pedoni, costretti a divincolarsi per poter utilizzare lo spazio che per eccellenza è destinato a chi cammina: il marciapiede. Oggi il tempo del Covid però è passato, le vite frenetiche sono ricominciate al ritmo delle week per qualsiasi cosa. È così che i dehors sono ormai componente stabile della città con tutte le conseguenze del caso: movida, rumori che infastidiscono i vicini fino a notte fonda, polemiche di comitati che a gran voce hanno iniziato a chiedere regole strette.

Da gennaio 2024 il Comune di Milano ha iniziato ad aggiornare i criteri in materia prevedendo, attraverso una delibera sul Canone unico patrimoniale, rincari e tariffe più salate per le attività del centro, scontandole invece in periferia. Se un locale prima pagava 1600 euro all’anno per 50 mq di spazio esterno, nel 2024 a Porta Nuova, City Life o Garibaldi ne paga ora 15000. In zona Certosa Musocco chi ne pagava 5700 ora ne paga 3500. Un criterio definito in base all’aggiornamento della classificazione delle vie cittadine che era fermo al 2011. Alcune zone, considerate in precedenza più periferiche, ora hanno infatti acquisito maggiore valore.

D’altro canto il tema degli schiamazzi notturni, ormai sfuggito di mano, in particolare in zona Navigli/Darsena, ha portato all’adozione di norme in materia di sicurezza. È infatti entrata in vigore, a partire da venerdì 3 maggio, l’ordinanza che vieta la vendita e la somministrazione di bevande in contenitori di vetro e lattine in alcune aree della città. Gli orari da rispettare per il divieto sono dalle ore 22 alle ore 5 del mattino successivo, tutti i giorni. Ne è passato di tempo dal 2015, a rincarare la dose il decreto Salvini che pochi giorni fa ha dato il via alla mini sanatoria sui piccoli interventi edilizi, tra i quali trovano posto anche i «dehor di bar e ristoranti installati durante il Covid» che dunque potranno restare. Ma la sensazione è che la questione continui a sfuggire di mano, a correggerne il tiro una serie di tentativi tra un’ ordinanza e l’altra, orli di una coperta troppo corta.

Da un lato l’estrazione di valore dall’occupazione di suolo, quando questa è ad uso commerciale, è di sicuro un buon modo per fare cassa da parte dell’amministrazione. E questo può anche permettere di differenziare i costi tra chi lavora in zone più o meno centrali. D’altro canto, però, il rischio è che senza una regola o una riflessione precisa, si riproponga in periferia la stessa proliferazione di attività commerciali legate al consumo di cibo e bevande tout court, contribuendo ad alzare anche il valore immobiliare in aree che diventerebbero improvvisamente attrattive. Parti di periferia che invece meriterebbero una maggiore riflessione sul ruolo dello spazio pubblico ad uso sociale, sportivo e spontaneo grazie, ad esempio, alla presenza delle tante associazioni, reti e gruppi informali che spesso, per colpa della burocrazia si scoraggiano e rimangono inerti. Certo, Pids e Patti di collaborazione hanno fatto molto in questo senso, ma di fatto manca una riflessione più complessiva di come il concetto di “vita tra le case” possa essere pensato e progettato con cura e attenzione accompagnando processi naturali e spontanei di uso della città. Forse, prima di richiamare in campo il concetto di sicurezza caro alle destre, sarebbe utile invece monitorare le pratiche spontanee, coinvolgendo le attività commerciali da un lato per finanziare migliorie, ma soprattutto dall’altro, per pensare d’insieme come organizzare e allestire isole pedonalizzate, parcheggi sottratti alle auto, spazi di risulta sottoutilizzati. Nel rispetto anche di chi cammina, di chi va in bicicletta, di chi vuole giocare, di chi vuole mettere fuori due sedie e improvvisare una lettura di vicinato, di chi vuol fare un aperitivo senza poterselo permettere.

Forse è troppo tardi, o forse siamo ancora in tempo per riprenderci la città, nella sua semplicità, nella semplicità degli spazi che ancora possiamo pensare di trasformare grazie agli errori commessi. Forse anche sfruttando il portato di una delle iniziative più importanti che Milano ospita, il Salone del Mobile. Materiali e oggetti che, se riutilizzati con una visione, senza essere calati dall’alto, potrebbero migliorare permanentemente parti di città, invece che diventare rifiuti da smaltire.

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