Attualità

Henry James Redknapp

L'allenatore che gli inglesi vorrebbero al posto di Capello, cockney purosangue, "uomo d'altri tempi"

di Davide Coppo

Nessuno, né nel 1983, né mai, avrebbe dato una minima chance di diventare un finanche mediocre allenatore a un cockney purosangue che, all’esordio, avesse perso la prima partita 9-0. Sulla panchina del Bournemouth, in un campo completamente congelato della terza divisione, il trentaseienne Harry Redknapp, una carriera di basso profilo tra West Ham, Seattle Sounders e, appunto, i Cherries, si presentava così al cospetto dell’Inghilterra (e soprattutto al cospetto del Lincoln FC). La partita successiva, quella del riscatto, veniva sconfitto 5-0 dal Leyton Orient. Ventinove anni dopo, Harry Redknapp è l’uomo che molto probabilmente prenderà le redini della disastrata e gloriosa (a seconda dei momenti, che si vinca o che si perda) nazionale inglese di football.

Un inglese al comando, finalmente. Non aspettavano altro lassù oltre la Manica, a giudicare dagli entusiasti messaggi affidati alla rete da Rio Ferdinand, Wayne Rooney, perfino Sam Allardyce: tutti lestissimi nel “dispiacersi” della dipartita di Capello – verosimilmente l’allenatore più capace che abbiano mai visto e mai vedranno su quella panchina – ma gongolanti, giubilanti, radiosi nell’eventualità di un manager compatriota. A fare lo sporco e noioso lavoro delle qualificazioni contro Ungheria e disastrata compagnia, d’altronde, ci ha pensato Don Fabio. Il friulano vincente in mezzo mondo, messo alle strette per aver difeso un principio sacrosanto di cui la civilissima società anglosassone si fa (giustamente) vanto, si è sfogato senza troppi peli sulla lingua mentre lasciava, moglie e bagagli al seguito, la bella casa di Belgravia. Il “much-vaunted” senso di giustizia inglese, il garantismo sopra ogni cosa, è stato nascosto sotto la moquette per quanto riguarda il caso John Terry, ma tenuto ben in vista per il vecchio Redknapp. La colpa di Capello è stata quella di difendere il suo capitano fino al verdetto della corte (l’accusa è “razzismo”), la virtù di Redknapp quella di essere assolto dopo quattro anni di processo per evasione fiscale. Fuori uno, dentro l’altro.

Eppure il vecchio ‘Arry (come scriverebbe un dizionario cockney) non può non suscitare simpatia in un sincero innamorato di calcio. Il miglior allenatore inglese in circolazione (non che ci voglia molto, ma tant’è) fa parte di quella rara schiera di protagonisti del football d’antan che si sono mantenuti coerentemente duri e puri fino a oggi, in palese contraddizione con il suo letterario nome di battesimo. Non stupisce che la sua personalissima difesa dalle accuse di evasione (189.000 sterline depositati su un conto monegasco) sia stata «So scrivere come un bambino di due anni, e sono la persona più disorganizzata del mondo. Non mi sono nemmeno accorto che il Sun non ha pagato la mia rubrica per diciotto mesi». Come potrei mai spostare un capitale in un paradiso fiscale? è la logica conclusione, e come dargli torto – umanamente, s’intende. Come gli eroi del cinema, Redknapp ha vissuto anche una morte-e-rissurezione. No, non sportiva, proprio fisica: coinvolto in un incidente automobilistico in Italia nel 1990 (morirono 5 persone), gli infermieri credettero ‘Arry morto, e lo coprirono con il fatidico lenzuolo bianco. Non sappiamo, purtroppo, con quale bon ton reagì il redivivo Redknapp.
«So old-school he feels like a breath of fresh air» titolava ieri il Guardian, e non a torto. Il londinese 65enne è una specie di Carletto Mazzone albionico, uno di quelle personalità amate da tutti per la sua genuina sboccatezza (pane e salame, diremmo da queste parti), che non ha mai allenato una grandissima ma ha collezionato discreti successi e miracoli di periferia ovunque sia andato. Uno di quelli per cui tutte le partite dovrebbero essere fango e pioggia, pioggia e calci. Poco diplomatico con i media, non è raro che condisca le sue interviste con un normalissimo «fackin’» per introdurre altrettanto normalissimi concetti. Uno di quelli che, senza il calcio, non sarebbero nulla. Dopo l’incidente di Italia ’90, tornò contro ogni parere medico ad allenare dopo soltanto quattro mesi. Nel 2008, quando vinse un’incredibile FA Cup alla guida del Porsmouth, dichiarò «Non saprei cosa fare senza football. Non ho nessun altro interesse nella mia vita».

Come coach, non ha sbagliato quasi mai: portò il Bournemouth alla vittoria della terza divisione per la prima volta. Raggiunse il quinto posto, e quindi la qualificazione alla Coppa Uefa, con i West Ham nel 1999. Qualificò il Tottenham alla Champions League, arrivando fino ai quarti di finale, e anche in questo caso si trattava di una prima assoluta. Della FA Cup con i Pompeys abbiamo già detto. Quel “quasi” viene dalla sciagurata decisione di passare per un anno al Southampton, acerrimo rivale del Portsmouth. Ma sono peccati veniali. Ha avuto la fortuna di allenare, tutti al West Ham, nomi del calibro di Rio Ferdinand, Frank Lampard (suo nipote), Michael Carrick, Joe Cole, Jermaine Defoe, Paolo Di Canio. Anche Peter Crouch, uno che Redknapp comprò e vendette per tre volte, ha dichiarato «Harry’s an honest fella. If you’re crap, he’ll tell you. If you’re playing good, he’ll tell you». Con un profilo così, ci riesce anche difficile stramaledirli, questi inglesi, e perdonar loro il peccato quasi mortale commesso con il quasi-licenziamento di un semi-dio dell’italianità pallonara come Fabio Capello.

 

Come dessert conclusivo, qualche quote di Redknapp, giusto per conoscere un po’ meglio il personaggio. Non sono tradotte, per decenza e perché si sa, tradurre è tradire, e mai come in casi simili.

«Just fuckin’ run about!» Fine indicazione tattica data a un Pavlyuchenko non ancora in grado di comprendere altre indicazioni in inglese.

«He took a knock on his ankle but we played him some Bob Marley reggae music and he was fine». Su un apparentemente leggero infortunio di Kenwyne Jones, attaccante (nativo di Trinidad) del Southampton, portatore di una lunga chioma rasta.

«Samassi Abou went home to the Ivory Coast ann got a bit of food posoning. He must have eaten a dodgy missionary or something». Su un’intossicazione alimentare dell’allora attaccante ivoriano del West Ham.

«Where are we in relation to Europe? Not too far from Dover». Interrogato sulle possibilità degli Hammers in Coppa Uefa.

«My wife fancies him. Even I don’t know whether to play him or f**k him». Interrogato sulla possibilità di ingaggiare l’ala portoghese Dani da Cruz Carvalho, che poi giocò nel West Ham nel 1995/96.

«It will take more than a minor heart scare to convince me to walk away from the game. The only other way I’ll walk away from football is the day I stop enjoying it. And that isn’t going to happen any soon». Dopo un intervento cardiaco a cui si sottopose lo scorso anno. Come non crederti, ‘Arry.