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Un po’ di chiarezza sui rave

Abbiamo parlato del rave di Modena e della cultura del free party con Vanni Santoni, che nel 2015 ha scritto un libro, Muro di casse, dedicato proprio a questo argomento.

di Studio

Foto di Loic Venance/AFP via Getty Images

Nel dibattito pubblico italiano, tutto è già successo in passato e succederà ancora in futuro. Tutte le questioni sono già state trattate, tutti gli argomenti sono già stati esposti, tutte le opinioni sono già state discusse, in un ciclo di ripetizioni infinito e perfetto. È per questo che la discussione, che prosegue ormai da giorni, sullo “sgombero e dispersione” del rave di Modena sembra una di quelle che abbiamo già fatto altre volte: perché l’abbiamo già fatta altre volte. L’abbiamo già fatta quando successe la stessa cosa a Tavolaia, in provincia di Pisa, e poi di nuovo quando un altro rave fu organizzato a Valentano, nel viterbese. Tutte le volte la stessa confusione: in Italia è impossibile parlare di rave senza che il discorso si sposti prima di subito sulla tossicodipendenza, sull’occupazione abusiva di spazi pubblici e privati, sui danni inferti al pubblico decoro e i rischi posti alla sicurezza nazionale.

Nel caso del rave di Modena, però, una novità c’è stata: il neonato governo Meloni ha deciso di battezzarsi con un decreto ad hoc che aggiunge un nuovo articolo al codice penale, il 434-bis. In sostanza: da ora in poi, se più di cinquanta persone si ritroveranno senza l’autorizzazione delle autorità sul suolo pubblico o dei proprietari in edifici privati, queste persone rischieranno multe da mille fino a diecimila euro e reclusione dai 3 ai 6 anni. Una norma che in molti, sia a destra che a sinistra, hanno criticato perché scritta male, eccessiva nelle pene e pericolosa se portata fino alle estreme conseguenze. Tutti, però, sia a destra che a sinistra, hanno detto che si si riuscisse a trovare il modo di farlo valere solo e soltanto per i rave, allora il decreto andrebbe benissimo.

Per capire che cosa sono i rave, come funzionino, quale cultura ed estetica esprimano e perché sembrano suscitare, nell’opinione pubblica italiana, sempre reazioni di sdegno e disgusto abbiamo parlato con Vanni Santoni, scrittore (il suo ultimo romanzo, La verità su tutto, è uscito per Mondadori) che nel 2015 ha dedicato un libro, Muro di casse, proprio alla cultura rave.

ⓢ Innanzitutto, Vanni, che cos’è un rave? È qualcosa che si può circoscrivere giuridicamente?
Per cominciare, la definizione giusta è free party, dato che la parola “rave” ha preso ormai da tempo a significare tutto e il contrario di tutto, come già spiegava Valentina Pigmei in questo articolo che non ha mai smesso di essere attuale. Un free party, dunque, potrebbe essere definito come un raduno semi-spontaneo in un luogo dismesso o abbandonato per suonare, ascoltare e ballare musica elettronica a titolo gratuito. Da questo punto di vista, come già sancito da una sentenza della Corte di Cassazione, la sua circoscrizione la fa semplicemente l’Art.17 della Costituzione, laddove ovviamente le singole violazioni, come l’invasione di terreno privato o altro, sono già sanzionate dalle leggi preesistenti rispetto all’art. 434-bis. A chi volesse approfondire la storia dei free party in Italia e in Europa consiglio altresì questo pezzo.

ⓢ Cosa pensi della reazione piuttosto unanime che c’è stata di fronte alla notizia? Anche chi ha criticato il governo lo ha fatto quasi esclusivamente in punta di diritto, per le estreme conseguenze che potrebbe avere l’applicazione di questo nuovo articolo del codice penale, il 434-bis. Quasi nessuno, nemmeno a sinistra, ha difeso il rave in sé stiamo parlando di qualcosa che ha ormai una lunga storia e che fa parte della nostra cultura.
Credo, come è stato del resto segnalato da più parti, che l’art. 434 abbia implicazioni che vanno molto oltre la repressione dei free party, vista la discrezionalità che lascia alle forze di polizia di stabilire quale sia fattispecie penale e quale no (cosa che peraltro mi pare in violazione dell’art. 25 della Costituzione). Detto ciò, che nessun politico abbia voglia di difendere i free party in quanto manifestazioni culturali spontanee (o di informarsi sul perché lo siano) mi pare abbastanza logico e prevedibile, specie dopo vent’anni di retorica del decoro e deliqui securitari a partire da una presunta “percezione di insicurezza”.

ⓢ Ma è vero, poi, che l’Italia è l’unico Paese in Europa in cui si possono – potevano, a questo punto – organizzare rave senza problemi?
Certamente no, ci sono molti più free party in vari altri Paesi europei, come ad esempio la Francia o la Repubblica Ceca. Tra le democrazie europee, le uniche due che hanno leggi appositamente dedicate sono l’Inghilterra, col Public Order & Justice Act del 1994, e la Francia, con la Loi Mariani del 2001, entrambe nate in seguito a bufere mediatiche più che a problemi reali. In Inghilterra si svolgono più o meno tante feste quanto in Italia, e in Francia molte di più, a testimonianza dell’inefficacia preventiva di queste misure. A tutto ciò si possono aggiungere i Paesi che già da tempo hanno in qualche modo “cooptato” e reso mainstream (e a pagamento) le feste, come ad esempio l’Olanda, o – in alcune città come Berlino – la Germania.

ⓢ Quanti se ne fanno, di rave, in Italia, se è possibile avere un’approssimazione?
Dipende da quanti partecipanti in su un rave è considerabile tale: se si prende per buona la valutazione della nuova legge, da 50 persone in su, ovviamente sono migliaia. Se si parla di “veri” free party, diciamo da 500 persone in su, stimerei oggi in un centinaio l’anno o giù di lì. Quelli davvero grossi, sull’ordine delle migliaia di persone, non più di 3-4 l’anno.

Una foto del rave di Modena

ⓢ Cosa c’è nell’etica e nell’estetica del rave che, a quanto pare, li rende così repellenti per l’opinione pubblica italiana? Ogni volta si fanno sempre gli stessi discorsi, le stesse parole le abbiamo sentite anche per gli ultimi due casi simili, quello di Tavolaia e quello di Valentano. Si parla da giorni di “cultura dello sballo”, di degrado, di ordine pubblico, di violazione della proprietà privata. Persino per un rave in cui a un certo punto i partecipanti se ne sono tornati a casa, dopo aver portato via l’immondizia.
Ci sono diversi elementi a rendere facile la stigmatizzazione dei free party presso l’opinione pubblica. Da un lato, e forse prima di tutto, c’è la gratuità a non andare giù a molti: viviamo del resto in una società in cui si tende alla progressiva riduzione degli spazi pubblici, tutto deve essere a pagamento. Poi c’è la messa in discussione degli spazi e dei tempi del divertimento: in una società che tende a normare anche le modalità d’uso del tempo libero, il rave, che spunta in luoghi imprevisti e dura giorni, irride tutto questo. Poi c’è la “irriducibilità alla norma” del rito dionisiaco, qualcosa che va avanti dai tempi delle Baccanti: in una festa selvaggia si liberano istinti e modalità di auto-espressione naturalmente sgradite ai moralisti. Per chi vuole approfondire questo aspetto, ne ho scritto qua. Aggiungerei infine che da sempre i governi, la stampa mainstream e l’opinione pubblica tendono a odiare, fraintendere e stigmatizzare le sottoculture giovanili, specie quando la loro codificazione sorge dal basso e magari risulta di difficile comprensione a chi non ne è parte: lo abbiamo visto con i graffiti, con i giochi di ruolo, con il punk, col metal, con gli hippie… La pregiudiziale è così forte che, ad esempio, quando si ricorda che i raver dopo la festa puliscono sempre, la gente non ci crede.

ⓢ Dopo un lungo periodo di crisi, una rinascita, una nuova crisi dovuta al Covid e ora un lento ritorno alla normalità, pensi che questo decreto e questo governo possano segnare la fine della storia del rave in Italia?
Nessuna legge speciale ha mai fatto finire i rave in un Paese democratico, essendo essi ormai una delle tante prassi dell’aggregazione giovanile, al pari dei concerti o della cosiddetta “movida”: quello che fanno simili provvedimenti è intasare le aule dei tribunali con migliaia di persone da processare, e magari, ogni tanto, far pagare tutto a qualche malcapitato preso a caso che non può permettersi un buon avvocato. Poi è chiaro che se si continua con i giri di vite autoritari in ogni ambito, pian piano si arriverà a una situazione stile Iran o Russia dove, effettivamente, i rave non ci sono – ma le feste segrete in edifici privati o in boschi lontani da tutto e tutti sì, visto che il desiderio di ascoltare musica e ballare è connaturato all’essere umano.