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Il video che Trump ha usato per dimostrare che in Sudafrica è in corso un genocidio dei bianchi è un falso Lo hanno rivelato due giornalisti del New York Times, che hanno indagato sul video e scoperto che si tratta di una bufala.
La Thailandia ha depenalizzato la cannabis, ma il turismo della cannabis l’ha fatta pentire I casi di "turisti" che vanno e vengono dalla Thailandia a scopo di contrabbando sono aumentati a tal punto da costringere le autorità a intervenire.
Nel nuovo Assassin’s Creed si possono uccidere le persone ma non gli animali Anzi, gli animali si possono adottare e allevare, e c'è anche la possibilità di passare tutto il tempo ad accarezzarli.
Sentimental Value di Joachim Trier è il film favorito per la Palma d’oro, almeno a giudicare dalla standing ovation che ha ricevuto Quindici minuti di applausi, la più lunga standing ovation in questa edizione del festival.
Il bacio tra Pedro Pascal e Alexander Skarsgård è diventato il momento più virale di Cannes A quanto pare i due sono molto amici: Pascal era tra il pubblico durante la prima di Pillion, film di cui Skarsgård è protagonista.
Il Chicago Sun-Times ha pubblicato per sbaglio una lista di libri per l’estate che non esistono Perché l’ha fatta scrivere a un’AI, che se ne è inventati 10 su 15.
Heart Lamp di Banu Mushtaq ha vinto l’International Booker Prize Per la prima volta vince un libro tradotto dal kannada, una delle principali lingue indiane, e per la prima volta una raccolta di racconti.
A Cannes è nato Dogma 25, un nuovo movimento “sequel” del Dogma 95 di von Trier e Vinterberg E che ha già ricevuto l'appoggio sia di von Trier che di Vinterberg.

Quello che la politica può imparare da Gucci, secondo il New York Times

10 Luglio 2017

La politica americana, e in particolare i liberal, avrebbero molto da imparare dal mondo della moda, sostiene Vanessa Friedman, la chief fashion critic del New York Times , in un recente editoriale intitolato “What Gucci Can Teach the Democrats“, uscito sul supplemento domenicale del quotidiano. Friedman parte da alcune considerazioni fatte da suoi colleghi al Nyt che si occupano, a differenza sua, solitamente di politica, e che hanno notato quanto gli elettori stiano diventando più imprevedibili e meno legati alle vecchie logiche di fedeltà di partito. Una dinamica che Steven Erlanger, il corrispondente del quotidiano a Londra, aveva già paragonato a quella dei consumatori: «La gente sta cambiando squadra, e non con una dinamica tribale, ma come farebbero dei consumatori», aveva scritto lo scorso mese, a partire dalle elezioni britanniche.

E se è vero che gli elettori stanno diventando più simili a dei consumatori volubili, prosegue la fashion critic, poche aree di business possono offrire idee su come affrontare questo cambiamento rispetto alla moda, che ha avuto a che fare con un cambiamento radicale nei gusti della sua base già a partire da dieci anni fa. La giornalista cita Robert Burke,  direttore moda di Bergdorf Goodman fondatore di un’agenzia di consulenza, che a sua volta la mette giù così: «Una volta parlavamo del “cliente di abiti firmati” o del “cliente del fast fashion” o del “cliente di Céline”, e se qualcuno rientrava in queste categorie, allora voleva dire che le sue scelte erano facilmente prevedibili e che c’erano pochi crossover. Poi a partire dal 2006 o dal 2007, e ancora di più dopo la crisi, tutto è cambiato drasticamente. I clienti sono diventati molto più indipendenti».

grandi magazzini

«I consumatori moda hanno iniziato a fare scelte dettate non più da ciò che si aspettava da loro o in base a ciò che decideva un brand il cui sistema di valori era stato passato loro come un’eredità: hanno iniziato a scegliere in base a ciò che gli stava meglio, quello che si addiceva meglio a loro individualmente, sul momento», scrive l’autrice. Per poi porsi la domanda: «Allora, se è vero che anche i consumatori politici stanno seguendo lo stesso modello di comportamento, non avrebbe senso domandarsi se c’è qualcosa che i partiti politici possono imparare dagli adattamenti strategici dei brand di abbigliamento?». Infatti i grandi brand di moda «non hanno risolto il problema della lealtà» dei consumatori, però da un decennio ormai stanno sperimentando nuove modalità di relazionarsi con loro. Le strategie di adattamento cui si riferisce  Friedman (che nonostante il titolo non cita mai Gucci nello specifico) includono la scelta, fatta da Saks, i grandi magazzini di Fifth Avenue, di eliminare la distinzione tra marchi alti e bassi, e il cambiamento di Burberry, che ha unificato le linee. Inoltre si cita il conglomerato LVMH per la sua politica di «trasparenza semi-radicale». Più in generale, poi, Friedman  nota la tendenza a trasformare lo shopping, e dunque i punti vendita, in un’esperienza individuale.

Foto: Getty
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