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Lo Studio Ghibli ha intimato a OpenAI di smetterla di usare i suoi film per addestrare Sora 2 a crearne delle brutte copie Assieme ad altre aziende dell'intrattenimento giapponese, lo Studio ha inviato una lettera a OpenAI in cui accusa quest'ultima di violare il diritto d'autore.
Nel suo discorso dopo la vittoria alle elezioni, il neosindaco di New York Zohran Mamdani ha sfidato Donald Trump Nelle prime dichiarazioni pubbliche e social, il neosindaco ha anche ribadito la promessa di ridisegnare NY a misura di migranti e lavoratori.
Ogni volta che va a New York, Karl Ove Knausgård ha un carissimo amico che gli fa da cicerone: Jeremy Strong E viceversa: tutte le volte che l'attore si trova a passare da Copenaghen, passa la serata assieme allo scrittore.
È uscito il trailer di Blossoms, la prima serie tv di Wong Kar-Wai che arriva dopo dodici anni di silenzio del regista Negli Usa la serie uscirà il 24 novembre su Criterion Channel, in Italia sappiamo che verrà distribuita su Mubi ma una data ufficiale ancora non c'è.
È morta Diane Ladd, attrice da Oscar, mamma di Laura Dern e unica, vera protagonista femminile di Martin Scorsese Candidata tre volte all'Oscar, una volta per Alice non abita più qui, le altre due volte per film in cui recitava accanto alla figlia.
L’attore e regista Jesse Eisenberg ha detto che donerà un rene a un estraneo perché gli va e perché è giusto farlo Non c'è neanche da pensarci, ha detto, spiegando che a dicembre si sottoporrà all'intervento.
A Parigi c’è una mensa per aiutare gli studenti che hanno pochi soldi e pochi amici Si chiama La Cop1ne e propone esclusivamente cucina vegetariana, un menù costa 3 euro.
Il Premier australiano è stato accusato di antisemitismo per aver indossato una maglietta dei Joy Division Una deputata conservatrice l’ha attaccato sostenendo che l’iconica t-shirt con la copertina di Unknown Pleasures sia un simbolo antisemita.

Quello che la politica può imparare da Gucci, secondo il New York Times

10 Luglio 2017

La politica americana, e in particolare i liberal, avrebbero molto da imparare dal mondo della moda, sostiene Vanessa Friedman, la chief fashion critic del New York Times , in un recente editoriale intitolato “What Gucci Can Teach the Democrats“, uscito sul supplemento domenicale del quotidiano. Friedman parte da alcune considerazioni fatte da suoi colleghi al Nyt che si occupano, a differenza sua, solitamente di politica, e che hanno notato quanto gli elettori stiano diventando più imprevedibili e meno legati alle vecchie logiche di fedeltà di partito. Una dinamica che Steven Erlanger, il corrispondente del quotidiano a Londra, aveva già paragonato a quella dei consumatori: «La gente sta cambiando squadra, e non con una dinamica tribale, ma come farebbero dei consumatori», aveva scritto lo scorso mese, a partire dalle elezioni britanniche.

E se è vero che gli elettori stanno diventando più simili a dei consumatori volubili, prosegue la fashion critic, poche aree di business possono offrire idee su come affrontare questo cambiamento rispetto alla moda, che ha avuto a che fare con un cambiamento radicale nei gusti della sua base già a partire da dieci anni fa. La giornalista cita Robert Burke,  direttore moda di Bergdorf Goodman fondatore di un’agenzia di consulenza, che a sua volta la mette giù così: «Una volta parlavamo del “cliente di abiti firmati” o del “cliente del fast fashion” o del “cliente di Céline”, e se qualcuno rientrava in queste categorie, allora voleva dire che le sue scelte erano facilmente prevedibili e che c’erano pochi crossover. Poi a partire dal 2006 o dal 2007, e ancora di più dopo la crisi, tutto è cambiato drasticamente. I clienti sono diventati molto più indipendenti».

grandi magazzini

«I consumatori moda hanno iniziato a fare scelte dettate non più da ciò che si aspettava da loro o in base a ciò che decideva un brand il cui sistema di valori era stato passato loro come un’eredità: hanno iniziato a scegliere in base a ciò che gli stava meglio, quello che si addiceva meglio a loro individualmente, sul momento», scrive l’autrice. Per poi porsi la domanda: «Allora, se è vero che anche i consumatori politici stanno seguendo lo stesso modello di comportamento, non avrebbe senso domandarsi se c’è qualcosa che i partiti politici possono imparare dagli adattamenti strategici dei brand di abbigliamento?». Infatti i grandi brand di moda «non hanno risolto il problema della lealtà» dei consumatori, però da un decennio ormai stanno sperimentando nuove modalità di relazionarsi con loro. Le strategie di adattamento cui si riferisce  Friedman (che nonostante il titolo non cita mai Gucci nello specifico) includono la scelta, fatta da Saks, i grandi magazzini di Fifth Avenue, di eliminare la distinzione tra marchi alti e bassi, e il cambiamento di Burberry, che ha unificato le linee. Inoltre si cita il conglomerato LVMH per la sua politica di «trasparenza semi-radicale». Più in generale, poi, Friedman  nota la tendenza a trasformare lo shopping, e dunque i punti vendita, in un’esperienza individuale.

Foto: Getty
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