Attualità

Quanto meritiamo di essere seguiti?

Iscriversi a un social per essere spiati un intero giorno: Follower è un esperimento artistico che diventa un gioco privato a due.

di Flavia Gasperetti

Si considerino due frasi: 1) «“Guardami” è uno dei fondamentali desideri del cuore umano»2) «Tutti meritano di essere visti»La prima, sempre valida e ben nota, la disse Bertrand Russell nel 1950. La seconda potete leggerla ora, a mo’ di slogan warholiano sul sito di Follower, esperimento di social media alternativo e progetto artistico dell’americana Lauren McCarthy.

Uso il termine “social media” nella più basilare delle accezioni, perché l’idea in sostanza è questa: magari il voyeurismo online che noi tutti pratichiamo non ti basta più, magari essere seguito virtualmente su questa o quella piattaforma ti appaga fino a un certo punto, allora ecco che, ma solo se abiti a New York, hai una nuova possibilità: essere seguito davvero, fisicamente, da una persona per un giorno intero. È un media, certamente. Su quanto sia social si potrebbe discutere dal momento che il tuo follower (per il momento solo McCarthy stessa) non interagirà in nessun modo con te, non si intrometterà nella tua vita e non farà trapelare nulla, a terzi, di quanto ha visto o appreso nel vostro bizzarro passo a due in giro per Manhattan. Semplicemente, ti notificherà di buon mattino con un messaggio che lo stalking sta per cominciare, poi si metterà sulle tue tracce grazie alla localizzazione Gps di una app che avrai tu stesso installato sullo smartphone e, infine, si congederà da te, a fine giornata, lasciandoti una foto ricordo, una foto che ti immortala perso dietro ai fatti tuoi.

Sull’articolo dove ho appreso di Follower, lo si definiva «the creepiest social network ever». E tuttavia in poche settimane di attività, di Follower si sono già servite una trentina di persone. Sono tante? Sono poche? Potremmo argomentare che la gig economy non è altro che questo: offri un servizio, inventa qualcosa, qualcosa che soddisfa un bisogno che nessuno sa nemmeno di avere, e troverai i tuoi compratori. Lo si può argomentare ma è affascinante capire questo bisogno cosa sia, e fino a che punto possiamo dire che lo abbia creato Lauren McCarthy.

E quindi, se il punto è capire Follower quale bisogno soddisfa, premetto subito che le spiegazioni offerte da McCarthy stessa non mi convincono del tutto. Gli articoli e le interviste che ho consultato postulano sempre una filiazione diretta dall’online all’offline, come se il fascino di Follower fosse il risultato evidente del nostro esibizionismo in rete, esibizionismo che la virtualità rinfocola lasciandolo però inappagato. Lei stessa racconta che l’idea le è venuta così, passando molto tempo a guardare profili Instagram:

«Stavo pensando molto al perché vogliamo avere dei follower, e a cosa ci serve quest’attenzione».

«Se abbiamo il desiderio di essere visti, possiamo dire che essere visti nella vita reale è ancora meglio?».

A parlare di esibizionismo e social media si rischia di buttarla in uova e galline, non serve nemmeno scomodare Bertrand Russell per ricordarci che stiamo parlando di un impulso piuttosto elementare dell’essere umano. Ciascuno di noi è una miscela in parti variabili di timidezza e spudorata esibizione, ma l’ingiunzione “guardami” può prendere molte forme e soddisfa urgenze diverse. La ricerca di follower virtuali – sbaglio o l’inesauribilità potenziale del loro numero è un aspetto centrale di questa ricerca? – corteggia la celebrità, ambisce a possederne gli attributi. Se rileggiamo la frase da cui siamo partiti in questa chiave, “tutti meritano di essere visti“, è difficile non provare fastidio, è difficile non pensare: ma proprio per niente  ce lo meritiamo. Esiste la mediocrità. Esiste la lecita obiezione che devi essere un certo tipo di persona per pensare che l’attenzione altrui ti sia addirittura dovuta.

«Non voglio avere un altro legame, voglio una relazione con qualcuno con cui non sono costretta a parlare!»

Il dubbio che corteggiare la mediocrità, o per lo meno una certa superficialità diventata comune alle nostre vite, sia un aspetto programmatico del progetto, è difficile da eliminare. Sul sito troviamo un breve filmato promozionale, ritrae una donna nell’atto di vivere la sua giornata, passeggiare nel parco, per la strada, la vediamo affacciarsi alla finestra di casa sua. Fuori campo, la sua voce ci spiega perché vuole essere seguita: «Non voglio avere un altro legame, voglio una relazione con qualcuno con cui non sono costretta a parlare!», dice, in tono un po’ querulo. Ed è più di una strizzata d’occhio alla comodificazione dei rapporti nell’era della app per qualsiasi cosa, all’idea che si possa ordinare un amico, o un amante, o uno stalker come si ordina una pizza. Utilizzare una frase come questa è una scelta che potrebbe muovere da vera empatia – perché non è che non ci si strugga, noialtri, dal desiderio di essere visti, e non è che non sia davvero faticoso parlare, spiegarsi, farsi conoscere  – ma che invece suona un po’ cinica, vagamente moralista.

Eppure, per quanto sembri concepito allo scopo di mettere in risalto le inconsistenze del nostro rapporto con le tecnologie, lo stalking offerto da Follower è affascinante per come interpella la fame di intimità con tutte le sue pigrizie e dissimulazioni molto più della fame di celebrità. È quasi assente l’aspetto tangibile della rappresentazione, la documentazione. McCarthy è un’artista e il suo progetto ha il sapore inequivocabile della performance art, ma in una dimensione privata. Gronda di riferimenti impliciti a precedenti come la Sophie Calle di Suite Vénitienne, ma manca la chiamata in correità fatta da Calle allo spettatore. McCarthy non ci porta con sé, noi del pubblico, durante i suoi inseguimenti, non ci invita a partecipare e non offre immagini che ci diano modo di entrare nel gioco, guardare, conoscere l’identità della persona seguita a partire da evidenze, tracce raccolte. È un gioco a due, è privato. In pratica, è un peep show.

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Per partecipare occorre candidarsi compilando un form, poi, il selezionato viene immancabilmente avvertito da McCarthy il giorno in cui sarà seguito. Non è di necessità così. Le regole di questo particolare gioco hanno un significato e si può senza sforzo ipotizzare un gioco diverso, uno in cui il tuo follower ti avverte che sarai seguito ma non precisamente quando. Sarebbe molto diverso. McCarthy stessa accenna a questo aspetto:

«C’erano dei momenti, con alcune persone, in cui avevo la sensazione che si stessero esibendo per me — si sedevano deliberatamente vicini a una finestra, oppure avevano la giornata più frenetica del mondo», dice, «e io lì a chiedermi, questa è davvero la tua vita, o stai cercando solo di sembrare super-interessante?».

E io, invece, qui a chiedermi: fino a che punto vogliamo quello che pensiamo di volere? Forse è vero che tutti noi meritiamo di essere visti, ma quasi non importa, perché essere visti implicherebbe lasciarsi vedere, e forse questo noi non lo sappiamo fare.

 

In copertina e in testata foto di Cindy Ord (Getty Images).