Cose che succedono | Esteri

I cori contro polizia e governo che si sentono nelle piazze iraniane in questi giorni

Le proteste esplose dopo la morte di Mahsa Amini, 22enne deceduta in seguito alle violenze subite dalla Gasht-e Ershad – la “buoncostume” iraniana, un’unità della polizia che pattuglia le strade per accertarsi che le donne non portino scompiglio indossando vestiti troppo provocanti o esibendo acconciature che sfidano la morale –  continuano, nonostante i tentativi da parte del governo di riportare l’ordine sia tramite la repressione che la propaganda. Manifestazioni di piazza si ripetono ormai ogni giorno non solo a Tehran ma in praticamente tutte le grandi città iraniane, e con il passare del tempo le proteste si fanno sempre più intense: ora i cittadini, come riporta IranWire, non contestano solo le forze dell’ordine colpevoli della morte di Amini, ma anche il governo e le sue politiche retrograde.

Durante le manifestazioni e i cortei ci sono due slogan, due parole che si ripetono in continuazione: azadi, libertà, e bi-sharaf, vergognosi. Sharaf è una delle parole più importanti della lingua persiana, indica tutto ciò che rende una persona elegante, leale, degna. Bi-sharaf serve a descrivere una persona priva di tutte queste qualità: una persona indegna, che dovrebbe vergognarsi della sua stessa esistenza. Gli altri due cori che si sentono ormai in tutte le piazze del Paese sono dedicati a Mahsa Amini: uno è “zan, zandegi, azadi”, tre parole che stanno rispettivamente per donna, vita e libertà, l’altro è “ma hameh Mahsa hastim, bejang ta bejangim”, ovvero “siamo tutti Mahsa, stiamo lottando tutti insieme”. A questi due cori, che si sentono sin dall’inizio delle proteste, ultimamente se ne è aggiunto un terzo: “mikosham, mikosham, har an keh Khaharam kosht”, una vera e propria minaccia rivolta alle forze dell’ordine iraniane, “ucciderò, ucciderò coloro che hanno ucciso mia sorella”.

Ci sono, poi, moltissimi cori contro il governo iraniano, sia in generale che in particolare. Secondo chi protesta, non c’è niente e nessuno da salvare nelle attuali istituzioni iraniane. I manifestanti se la prendono con tutti, a partire dagli uomini della Basij, un’unità paramilitare che risponde direttamente ai pasdaran e che dal 1979 è incaricata di sopprimere le proteste di piazza: “nangeh ma, Basiji aldang-e ma”, “la nostra disgrazia è l’incompetenza della Basij”, si sente cantare nelle piazze in questi giorni (altri cori paragonano addirittura la Basij all’Isis). La parola aldang, incompetente (anche se qualcosa nella traduzione va persa: aldang sta anche per inetto, corrotto, pigro, approfittatore), viene usata anche per descrivere il Presidente Raisi. Anche se, bisogna ammettere che il più bersagliato dai manifestanti è per distacco l’ayatollah Khamenei: a lui sono dedicati “marg ba setamgar, che shah bashe che rahbar” (morte al dittatore, sia lo shah o l’ayatollah”, “marg ba dictator” (morte al dittatore), “marg ba Khamenei” (morte a Khamenei). Negli ultimi giorni, poi, si è diffuso un coro che sta particolarmente preoccupando le autorità iraniane: “Jomhouri eslami, ne mikhahim, ne mikhahim”, non vogliamo la Repubblica islamica.