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A Parigi hanno dimostrato che la migliore arma contro l’inquinamento è la pedonalizzazione 100 strade chiuse al traffico in 10 anni, inquinamento calato del 50 per cento.
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Nella classifica dei peggiori blackout della storia, quello in Spagna e Portogallo si piazza piuttosto in basso Nonostante abbia interessato 58 milioni di persone, ce ne sono stati altri molto peggiori.

Da dove viene lo slogan delle proteste delle donne in Iran

26 Settembre 2022

«L’ironia è che il suo nome era Jina. È stata privata del suo nome di battesimo, un nome curdo, in base a leggi pensate per oscurare l’esistenza del suo popolo, i curdi. Mahsa era il nome persiano sul suo passaporto, ma il suo vero nome era Jina. Diciamo il suo nome: Jina Amini», scrive su Twitter la giornalista Rasha Al Aqeedi, pubblicando l’immagine di una ragazza che regge un cartellone con uno degli slogan più utilizzati durante le proteste in Iran: «Diciamo il suo nome: Mahsa Amini».

Jina Amini non era persiana ma veniva dal Rojhelat, quella parte dell’Iran abitata da una maggioranza di persone di etnia curda (tante che il suo nome non ufficiale è Kurdistan iraniano) e si trovava a Teheran in viaggio con la sua famiglia. L’Iran non permette ai curdi di utilizzare nomi curdi, quindi Jina veniva chiamata così solo in famiglia e dagli amici, per tutti gli altri era Mahsa. Secondo quanto riportato da Abc, Jina significa “donatrice di vita e spirito” ed “eterna”. Le proteste esplose a causa della sua morte proseguono ormai da giorni e le richieste delle persone che manifestano sono cambiate rapidamente: dalla condanna delle forze dell’ordine responsabili dell’omicidio di Ahmini a quella delle politiche liberticide del Presidente Raisi e dell’ayatollah Khamenei. Ora, alle cause che muovono i manifestanti – almeno di una parte di essa – sembra ci sia anche quella della rivendicazione dell’indipendenza del Kurdistan.

Secondo Rasha Al Aqeedi, anche «donna, vita, libertà», il più utilizzato tra gli slogan delle proteste (li avevamo elencati qui) , ha origini curde, ma nessuno lo sta sottolineando. «L’identità curda e l’origine degli slogan tendono a essere trascurati nei dibattiti anglosassoni: in quello persiano è più visibile, anche se non quanto dovrebbe», si legge nei commenti al tweet. Lo slogan «Jin Jiyan Azadî» (che in persiano diventa «zan, zandegi, azadi») nasce infatti con il movimento di protesta delle donne curde sfociato nella formazione della milizia curda femminile Women’s Protection Units (Ypj). Nata nel 2013 per dare alle donne la possibilità di contribuire alla difesa della loro terra così come gli uomini (arruolati nella People’s Protection Units, Ypg), la YPJ ha avuto un ruolo fondamentale nella sconfitta dell’Isis. Lo slogan di origini curde, riportato in francese e in persiano sulla copertina di Libération dedicata a quello che sta succedendo in Iran, è diventato l’inno della rivolta. «Donne, vita, libertà», si legge in grande, e sotto: «Malgrado la repressione, le proteste in Iran non si fermano. Quello che è nato come un movimento per i diritti delle donne è diventato una rivolta contro il regime».


Non tutti i commentatori, però, hanno accolto positivamente l’osservazione della giornalista: «A noi (il popolo iraniano) non piace essere divisi per razza, lingua o etnia», scrive una donna, «siamo, come sono sicura che potrete vedere in questi giorni al telegiornale, una nazione unita. Quindi, per favore, tieni i tuoi pensieri per te e smetti di proiettare i tuoi problemi su di noi».

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