Attualità

Povere banche

Non si può dare tutta la colpa a Wall Street. Ma le limitazioni poste dalla Volcker Rule hanno senso

di Anna Momigliano

Avete presente quei tizi che campeggiano a Zuccotti Park con cartelli sul tipo «non pagheremo il vostro debito», «siamo too big to fail», «piantatela di mettere le mani nelle tasche degli altri», «banks got bailed out, we got sold out»? Occupy Wall Street avrà forse le idee un po’ confuse su come aggiustare l’economia, ma su chi è il nemico sembra avere le idee abbastanza chiare: è tutta colpa delle banche.

Buoni e cattivi, vittime e carnefici, cittadini contro le banche. Un approccio bianco-nero che forse aiuta a sentirsi un po’ meglio in tempi duri – qualcuno ha detto «un buon capro espiatorio è benvenuto quasi quanto una soluzione al problema» – ma che non serve a molto per uscire dalla crisi. Questo per dirvi che non siamo tra quelli a cui piace scaricare tutta la colpa sulle banche.

Ma da qui a dire che le banche non hanno commesso errori gravissimi e, soprattutto, da evitare in futuro… be’, ne passa. Questo per dirvi che anche chi non è un consumatore abituale di notizie economiche farebbe bene a tenere d’occhio una normativa di cui si sta discutendo abbastanza negli Stati Uniti: la Volcker Rule.

Il principio dietro alla regola è relativamente semplice – e, aggiungerebbero alcuni, per nulla stupido: le banche non possono fare investimenti ad alto rischio per conto proprio con il denaro provenienti da depositi assicurati dal governo. Non perché gli investimenti ad alto rischio siano di per sé “cattivi,” quanto perché gli investimenti ad alto rischio sono, appunto, rischiosi e chi li fa non può aspettarsi di essere salvato dal governo. Come ha spiegato lo stesso Barack Obama, la Volcker Rule vuole «porre fine alla mentalità del too big to fail». L’idea insomma è costringere le banche commerciali (quelle dove il risparmiatore medio mette il gruzzolo) a fare le banche commerciali, evitando che i depositi dei risparmiatori (che in teoria dovrebbero essere low-risk e low-return) finiscano per essere collegate, attraverso cartolarizzazioni complesse, a prodotti ad alto rischio. Che poi, secondo alcuni analisti, fu esattamente l’errore che nel 2008 permise al crack dei subprime di contagiare altri settori della finanza.

Nulla di trascendentale. Nouriel Roubini l’ha definita «una versione light del Glass Steagall Act», la norma in vigore tra il 1933 e il 1999 che imponeva una severa distinzione tra banche d’investimento e banche commerciali e che l’ex candidato repubblicano John McCain propose di re-introdurre, senza successo, nel 2009. Non solo: la regola così come verrà applicata, a partire dalla prossima estate, a sua volta è una versione annacquata della proposta originale lanciata un anno fa dall’economista Paul Volcker, da cui il nome. Stiamo parlando dell’ex presidente della Federal Reserve sotto Carter e Reagan, che ha anche presieduto per due anni il comitato consultivo sulla ripresa economica voluto da Barack Obama. Non propriamente un black bloc.

Prima di essere approvata dal Congresso (attualmente si trova in fase di commento pubblico) la Volcker Rule è stata sottoposta a innumerevoli modifiche e contromodifiche, alcune delle quali sono il risultato di un pressing da parte delle banche spaventate all’idea di dovere affrontare regole da loro ritenute eccessivamente restrittive. Peccato però che il processo di revisione e di controrevisione abbia prodotto un effetto collaterale non da poco: il testo attualmente in fase di commento pubblico è troppo lungo (dicesi: 298 pagine) e troppo complicato. Se non ci credete potete leggere il testo completo qui – ouch – oppure potete dare un’occhiata a questa grafica del Wall Street Journal che evidenzia la portata del behemot giuridico: 383 le domande sottoposte al pubblico scrutinio, oltre sei milioni le ore che le istituzioni sotto la supervisione della Fed dovranno impiegare per adeguarsi alla Regola, le già citate 298 pagine, e via dicendo.d

C’è poco da fare, si dirà. Se persino il grande divulgatore Paul Krugman nell’introduzione al suo Pop Internationalism scriveva qualcosa come «chi ha paura dei numeri lasci stare», un motivo ci sarà. Quando però lo stesso fautore originario della regola, Paul Volcker, rinnega parzialmente il testo e sostiene che si poteva stilare un documento cento volte più snello, allora significa che la Volcker Rule è diventata troppo complicata – alcuni sostengono troppo complicata per essere applicata. Ha dichiarato Volcker in un’intervista al New York Times:

Io scriverei un disegno di legge molto più semplice, mi piacerebbe vedere un testo di quattro pagine che proibisca il proprietary trading e renda i Ceo e i board responsabili di rispettarla. E metterei dei regolatori forti: se le banche non rispettano lo spirito della legge, saranno punite.

E infatti, così come sottoposta inizialmente al Congresso, la Volcker Rule constava di undici pagine. Il problema è che fare una legge che dica semplicemente «il proprietary trading è vietato alle banche commerciali, chi lo fa verrà perseguito» non è affatto semplice. Alcune banche hanno detto che una legge del genere le avrebbe mandate sul lastrico e così hanno chiesto di modificare il testo, di aggiungere eccezioni e distinguo, e il risultato sono 287 pagine in più. Adesso le stesse banche si lamentano che la Volcker Rule è troppo complicata. E probabilmente hanno pure ragione. Però, per dirla con le parole del vecchio economista, «se pensano che sia troppo complicata non hanno che da biasimare se stesse». Non crediamo che fosse retorica da Zuccotti Park.