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L’Onu ha definito Gaza «un abisso» e ha detto che ci vorranno almeno 70 miliardi per ricostruirla Quasi sicuramente questa cifra non sarà sufficiente e in ogni caso ci vorranno decenni per ricostruire la Striscia.
Anche quest’anno in Russia è uscito il calendario ufficiale di Vladimir Putin Anche nel 2026 i russi potranno lasciarsi ispirare dalle foto e dalle riflessioni del loro presidente, contenute nel suo calendario
Sarkozy è stato in carcere solo 20 giorni ma dall’esperienza è riuscito comunque a trarre un memoir di 216 pagine Il libro dell’ex presidente francese sulla sua carcerazione lampo a La Santé ha già trovato un editore e verrà presto pubblicato.
Nel primo teaser del nuovo Scrubs c’è la reunion di (quasi) tutto il cast originale J.D., Turk, Elliot e anche il dottor Cox al Sacro cuore dopo 15 anni, invecchiati e alle prese con una nuova generazione di medici. Ma c'è una grave assenza che i fan stanno già sottolineando.
Anche il Vaticano ha recensito entusiasticamente il nuovo album di Rosalía José Tolentino de Mendonça, prefetto per il Dicastero per la Cultura e l’educazione del Vaticano, ha definito Lux «una risposta a un bisogno profondo nella cultura contemporanea».
La nuova funzione di geolocalizzazione di X si sta rivelando un serio problema per i politici Non è facile spiegare come mai i più entusiasti sostenitori di Donald Trump postino dall'India o dalla Nigeria, per esempio.
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Il Grande Museo Egizio di Giza ha appena aperto ma ha già un grave problema di overtourism A nulla è servito il limite di 20 mila biglietti disponibili al giorno: i turisti sono già troppi e il Museo adesso deve trovare una soluzione.

I meravigliosi Musei Civici di Reggio Emilia

Inaugura un inedito progetto di allestimento che si ispira alla museologia radicale e ricorda l'immaginario di Wes Anderson e lo stile delle wunderkammer.

16 Giugno 2021

Se pensiamo ai musei civici di gran parte delle città italiane vengono subito in mente tristi vetrinette contenenti monete e reperti gettati alla rinfusa, striscioline di carta stampate alla bell’e meglio, elmi, coccarde, qualche animale impagliato, memorabilia un tempo ritenute importanti e oggi prive di senso anche per la mancanza di un serio progetto di allestimento. Sono cioè la versione pubblica delle soffitte private dove vengono ammassati i ricordi di famiglia quando non si sa dove altro metterli. Le amministrazioni comunali più ambiziose di norma preferiscono mettere in cantiere un nuovo museo, che funga da nuova attrazione turistica. A Reggio Emilia hanno scelto una strada diversa, dapprima l’amministrazione di Graziano Del Rio e in seguito quella in carica di Luca Vecchi: insieme con Italo Rota hanno infatti deciso di restaurare l’antico edificio che per decenni è stata una scuola in pieno centro, riaprendo i depositi, riscoprendo tutti i lasciti che gli abitanti di Reggio Emilia hanno affidato al comune nel corso del tempo.

Se è vero che la storia si fa con tutto, ma proprio tutto, allora i Musei Civici reggiani appena inaugurati e riaperti non sono solo una collezione di opere d’arte, fossili, reperti archeologici, chincaglierie, ma un museo di storia della città allestito in un modo molto somigliante all’immaginario gattopardesco di Italo Rota – formidabile accumulatore più che collezionista, di libri e oggetti di ogni sorta. Questo modo di riordinare periodicamente i beni comuni con il contributo attivo degli abitanti (che in ogni momento possono andare al museo e arricchirlo) negli Stati Uniti la chiamano “radical museology”, c’è anche un libro di Claire Bishop a riguardo, Museologia radicale (Johan and Levi, 2017). I continui tagli alla cultura e le crisi ricorrenti hanno frenato i meccanismi delle mostre Blockbuster, certo, ed è quasi ovvio che contesti particolarmente sensibili ai beni comuni come quello reggiano siano il posto giusto per praticare l’utopia impossibile, quella di una continua manutenzione del proprio patrimonio culturale. «Alla manutenzione, l’Italia preferisce l’inaugurazione» sentenziava il romagnolo Leo Longanesi, ma qui a Reggio invece i soldi pubblici sono stati investiti con una programmazione decennale nel cuore della città e il risultato è che tutto sembra inedito.

Sbalorditiva è la collezione di Lazzaro Spallanzani, composta di animali e pesci, minerali e piante, disposti al pianto terra o appesi a fili leggeri con effetto straniante alla Wes Anderson (o alla Franco Albini, presso il cui studio Rota ha lavorato da ragazzo). Appassionante è la sequela di teatrini scientifici al primo piano dove sono esposte come in una via crucis archeologica le tappe evolutive della città, grazie al lascito di Gaetano Chierici: dalla sua fondazione da parte di popoli primitivi, agli Etruschi, ai Romani che la rifondano con gli strumenti divinatori in grado di connettere la griglia urbana a quella del cielo e delle stelle, ai Longobardi che per un po’ mantengono i culti pagani e però i guerrieri si lasciano seppellire comunque con una sottile croce d’oro sul volto. 

Ci sono poi le sale dedicate alla moda, da quella estense e napoleonica fino al cappotto 101801 color cammello di Max Mara ancora in produzione – nel frattempo la famiglia Maramotti ha dato vita all’omonima fondazione di arte contemporanea. E gli artisti vivi sono presenti accanto a quelli del passato, come nel caso di Claudio Parmiggiani, mentre un’intera sala ricostruisce la mostra che più di tutti Luigi Ghirri avrebbe voluto fare, “Paesaggi di cartone”, accanto a una selezione di fotografi affermati o in erba che ogni anno si riuniscono in città per Fotografia Europea. La sistemazione dei Musei Civici insomma non è episodica, non è un atto isolato ma un programma integrato con il recupero di altri spazi storici che per troppo tempo sono stati chiusi e dismessi, sia religiosi, come i chiostri di San Pietro recuperati e implementati dallo Studio Zamboni (che sta già ricevendo più di un premio a riguardo), sia dalle Officine Reggiane di fianco alla vecchia stazione ferroviaria che ospitano già un hub per la stampa 3D. Non a caso proprio a Reggio venne Steve Jobs per cercare il suo primo partner europeo, la Iret di Vittorio Lasagni, che nel 1984 diventò Apple Italia – uno dei più rari Mac degli esordi è in mostra tra le foto iridescenti di Olivo Barbieri e altre diavolerie da wunderkammer.

«Il bello di questo museo è che è costantemente in fieri, le foto di Barbieri o Ghirri sono così tante che possono ruotare, così per i quadri e i tessuti» dice Rota «Senza contare che tutto l’ultimo piano è dedicato ai laboratori per le scuole dove i ragazzi per un mese possono fare un corso con un grande fotografo o un artista affermato e produrre in loco, vivendo dentro il museo e usandolo come un’altra scuola. Non basta: in ogni sala c’è un citofono in cui in ogni momento si può chiedere l’intervento di uno dei conservatori che sta lavorando negli uffici del museo, perché il rapporto dev’essere il più diretto e spontaneo possibile. Per questo abbiamo incluso anche la produzione più corrente e considerata meno nobile come la musica leggera di cui Reggio è un’indiscussa capitale: Orietta Berti, Iva Zanicchi, Ivana Spagna, Zucchero, CCCP (molti dei loro dischi hanno una foto di Ghirri in copertina), Üstmamò, il liscio da balera ma anche il rap e la trap». Ed è peraltro tutto un trionfo del genius loci: tutto è locale qui, reggiano o al massimo di Scandiano (Spallanzani, Ghirri) o Luzzara (Parmiggiani, Zavattini), persino l’osso dell’indice di Ludovico Ariosto, “Reggio, il natio nido mio”.

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