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Il Musée de l’Homme non vuole dire di chi sono i suoi 18 mila teschi

Il Musée de l’Homme di Parigi, come racconta il New York Times, è il museo etnografico della città dove si recano visitatori da tutto il mondo per ammirare le collezioni di scheletri antichissimi esposte nel museo. Ma, a quanto pare, in realtà la collezione più affascinante di questo museo è quella nascosta, vastissima e segreta di teschi umani – il cui numero, probabilmente, si aggira attorno ai 18 mila – che sarebbe una delle più vaste raccolte esistenti al mondo di resti umani. Una collezione, come detto, segreta per scelta stessa del museo, che non ha mai fatto un conto preciso e pubblico dei teschi conservati nel suo immenso archivio. L’unico “censimento” mai fatto dal museo, infatti, si è tradotto poi in un elenco pubblicato online, solo parziale, privo dei nomi e dei dettagli biografici dei teschi.

Tra i vari teschi nascosti ci dovrebbero essere le ossa di capi tribù africani, di indigeni dell’Oceania, di nativi americani. Anche le ossa di Mamadou Lamine, un leader musulmano dell’Africa occidentale del XIX secolo che guidò una rivolta contro i colonialisti francesi, e persino cinque vittime del genocidio armeno. «È incredibilmente difficile capire cosa c’è nella loro collezione» ha rivelato Shannon O’Loughlin, amministratore delegato dell’Association on American Indian Affairs , un’organizzazione no-profit che promuove e difende il patrimonio culturale dei nativi americani.

Secondo una politica ormai di lunga data del Musée de l’Homme, la restituzione di un resto storico avviene solamente se si tratta di ossa identificate, ovvero ossa che, previa analisi e accertamento, si è sicuri appartengano a una persona specifica. Perciò, secondo il Nyt, la mancata rivelazione dei dettagli biografici dei teschi conservati in questa collezione è un escamotage per evitare richieste di restituzione, magari da parte delle ex colonie francesi o dei discendenti di persone, famiglie, popoli che desiderano recuperarle. Lo ha raccontato anche il linguista Philippe Mennecier, che ora è in pensione ma che ha lavorato per quarant’anni al Musée de l’Homme: «A volte sul lavoro ci dicevano che dovevamo nasconderci. Il museo ha paura dello scandalo».