Hype ↓
19:14 venerdì 19 dicembre 2025
Di Digger di Alejandro G. Iñárritu non sappiamo ancora niente, tranne che un Tom Cruise così strano e inquietante non si è mai visto La trama della nuova commedia di Iñárritu resta avvolta dal mistero, soprattutto per quanto riguarda il ruolo da protagonista di Tom Cruise.
C’è un’estensione per browser che fa tornare internet com’era nel 2022 per evitare di dover avere a che fare con le AI Si chiama Slop Evader e una volta installata "scarta" dai risultati mostrati dal browser tutti i contenuti generati con l'intelligenza artificiale.
Kristin Cabot, la donna del cold kiss-gate, ha detto che per colpa di quel video non trova più lavoro e ha paura di uscire di casa Quel video al concerto dei Coldplay in cui la si vedeva insieme all'amante è stata l'inizio di un periodo di «puro orrore», ha detto al New York Times.
I Labubu diventeranno un film e a dirigerlo sarà Paul King, il regista di Paddington e Wonka Se speravate che l'egemonia dei Labubu finisse con il 2025, ci dispiace per voi.
Un reportage di Vanity Fair si è rivelato il colpo più duro inferto finora all’amministrazione Trump Non capita spesso di sentire la Chief of Staff della Casa Bianca definire il Presidente degli Stati Uniti una «alcoholic’s personality», in effetti.
Il ministero del Turismo l’ha fatto di nuovo e si è inventato la «Venere di Botticelli in carne e ossa» come protagonista della sua nuova campagna Dopo VeryBello!, dopo Open to Meraviglia, dopo Itsart, l'ultima trovata ministeriale è Francesca Faccini, 23 anni, in tour per l'Italia turistica.
LinkedIn ha lanciato una sua versione del Wrapped dedicata al lavoro ma non è stata accolta benissimo dagli utenti «Un rituale d'umiliazione», questo uno dei commenti di coloro che hanno ricevuto il LinkedIn Year in Review. E non è neanche uno dei peggiori.
C’è una specie di cozza che sta invadendo e inquinando i laghi di mezzo mondo Si chiama cozza quagga e ha già fatto parecchi danni nei Grandi Laghi americani, nel lago di Ginevra e adesso è arrivata anche in Irlanda del Nord.

La rinascita della Mostra del cinema di Venezia

Per qualche anno se n'è parlato pochissimo, oggi è tornata a essere un riferimento nell’immaginario popolare, italiano e non solo.

29 Agosto 2018

Quattro anni fa, alla Mostra del cinema di Venezia – di cui da oggi 29 agosto fino all’8 settembre si tiene l’edizione numero 75 – il Leone d’oro lo vinse Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza. Era un bel film di un bravo regista (Roy Andersson, svedese): ma oggi qualcuno, fuori dal Lido, se lo ricorda? Tre anni fa trionfò, va detto con merito minore, Ti guardo dell’esordiente Lorenzo Vigas, venezuelano. Due anni fa The Woman Who Left di Lav Diaz, filippino: fece parlare (ma chi?) perché durava quattro ore, nelle sale italiane non è nemmeno uscito. L’anno scorso il vincitore è stato La forma dell’acqua di Guillermo del Toro. Parecchi cinéphile lagunari hanno storto il naso: mica sarà grande cinema, questo. Sei mesi dopo quel film avrebbe vinto quattro premi Oscar, tra cui la statuetta per il miglior film e quella per il miglior regista. Conta? Non conta? Non importa. Certo è che il pubblico questo Leone se lo ricorda. Solo in Italia il film ha incassato più di otto milioni e mezzo di euro, quasi duecento nel mondo.

Questa premessa non serve a commentare gli esiti dei festival. I premi li assegnano le giurie, che sono ogni anno composte da artisti messi insieme a caso: il risultato è, per forza di cose, soggettivo e imprevedibile. Serve, piuttosto, a raccontare un’inversione di marcia. La Venezia che qualche anno fa sonnecchiava ora è tornata un riferimento nell’immaginario popolare. O almeno così sembra. Conta? Non conta (ai fini del discorso prettamente cinematografico)? Neanche questo importa. Importa la fotografia della sua creatura che il direttore Alberto Barbera vuole consegnare oggi: un happening a forte impronta cinefila ma anche un palcoscenico blindato per le grandi major (i poteri forti!), un luogo per i puristi del cinema d’essai (a patto che esista ancora) ma non alieno alle nuove possibilità dell’audiovisivo (leggi: Netflix. Ci arriviamo subito).

La locandina di Roma di Alfonso Cuarón, prodotto da Netflix.

Questa fotografia pare oggi più nitida che mai. Il presidente della giuria di quest’anno è Guillermo del Toro, premiato nell’ultima edizione, appunto. In concorso c’è il suo connazionale (e amico: conflitto d’interessi!) Alfonso Cuarón, con un’operona intitolata Roma (Virginia Raggi non c’entra niente: è una saga famigliare nella Città del Messico degli anni Settanta). Il film è prodotto da Netflix, ragion per cui (pare) a maggio è stato escluso dal cartellone di Cannes: il direttore Thierry Frémaux l’ha data vinta ai distributori ed esercenti francesi, impegnati a salvare le loro sale di fronte al dilagare dello streaming. Questi pochi gradi di separazione confermano una sinergia che pare ormai sottesa alla Mostra di Venezia, un territorio per autori nati fuori dai circuiti mainstream, cresciuti con il cinema indipendente, amati dai cinefili, che oggi sono diventati grandi nomi della cultura pop e pezzi cruciali dell’industria hollywoodiana. Di più, hanno fatto il giro: vengono addirittura finanziati dai nuovi network che mettono in crisi la produzione e la distribuzione tradizionali.

Barbera, di certo anche in risposta al protezionismo del rivale Frémaux, l’ha detto chiaro e tondo: non si può arginare la Storia. Che oggi è fatta di nuovi attori sul mercato. Tradotto: se un regista come Cuarón viene sovvenzionato da Netflix, un festival non dovrebbe forse prendere il suo ultimo film? Per quale motivo? Non fa forse Cinema (maiuscolo) come lo si intendeva una volta? Sono domande retoriche, ma non per tutti. Pure i distributori e gli esercenti italiani si sono lamentati di questa massiccia presenza della casa di Ted Sarandos al Lido. Vale a dire sei titoli, di cui tre in concorso: oltre a Cuarón, 22 July di Paul Greengrass, sulla strage di Utoya, e il western The Ballad of Buster Scruggs, diretto da – udite udite – i fratelli Coen (fuori concorso c’è invece l’inedito di un regista minore: Orson Welles). Ma, a differenza della potentissima gilda dei colleghi francesi che riesce a mettere in scacco un festival, quelli di casa nostra restano gnègnè da corridoi romani: qui al Nord non arrivano, o almeno si finge di non ascoltarli. A Venezia non si usa. Si va avanti verso la contemporaneità, anche perché si è capito che è la strada più furba e fruttuosa da percorrere.

La locandina del film di apertura: First Man di Damien Chazelle con Ryan Gosling

Accanto ai nuovi colossi della produzione, c’è la buona vecchia Hollywood, che si arrabatta come può per sfornare film che il grande pubblico voglia andare a vedere: film che non siano supereroi con la tutina o spin-off di Star Wars, s’intende. Apre la settantacinquesima Mostra Il primo uomo di Damien Chazelle, con Ryan Gosling nel ruolo di Neil Armstrong. Chazelle è stato consacrato a Venezia due anni fa con La La Land, glorioso intrattenimento d’autore che più classico non si può, di quei titoli che fanno contenti critici e pubblico e che poi sbancano la cosiddetta Awards Season (sei premi Oscar). Conta? Non conta? Stavolta la risposta è: sì. Per un festival, oggi, conta eccome. Contano i film con Lady Gaga (debuttante alla Mostra con A Star Is Born di Bradley Cooper), contano le prime puntate dell’Amica geniale (produzione Hbo più Rai) mostrate ai giornalisti di tutto il mondo, contano i tappeti rossi con Emma Stone e Natalie Portman, Jake Gyllenhaal e Jude Law. Contano, perché solo così si può tenere in piedi tutto il resto. I piccioni svedesi, le opere prime venezuelane, i mélo filippini: non sarà Guillermo o chi per lui a toglierveli, state tranquilli. Né tantomeno Netflix, che anzi questi autori, per così dire, esotici è sempre più interessato a produrli. E conta l’Hotel des Bains che riapre quest’anno dopo quasi un decennio, e cioè il grande albergo vista laguna di Morte a Venezia di Luchino Visconti. La morte a Venezia c’era davvero, adesso forse si può stracciare il testamento biologico.

Articoli Suggeriti
Di Digger di Alejandro G. Iñárritu non sappiamo ancora niente, tranne che un Tom Cruise così strano e inquietante non si è mai visto

Da quello che si vede nel trailer (pochissimo), di sicuro non è il Tom Cruise di Top Gun o di Mission: Impossible.

I migliori album del 2025

Una liberissima selezione degli album usciti quest'anno che ci sono piaciuti di più.

Leggi anche ↓
Di Digger di Alejandro G. Iñárritu non sappiamo ancora niente, tranne che un Tom Cruise così strano e inquietante non si è mai visto

Da quello che si vede nel trailer (pochissimo), di sicuro non è il Tom Cruise di Top Gun o di Mission: Impossible.

di Studio
I migliori album del 2025

Una liberissima selezione degli album usciti quest'anno che ci sono piaciuti di più.

Ludovica Rampoldi è da anni una delle più brave sceneggiatrici italiane ma ora è anche una regista

C'è la sua firma su 1992, Gomorra, The Bad Guy, Esterno notte, Il traditore e Il maestro. E adesso anche su una delle sorprese di questo anno cinematografico: Breve storia d'amore, la sua opera prima da regista.

Father Mother Sister Brother è il film perfetto da vedere a Natale, soprattutto per chi trema all’idea di passarlo in famiglia

Il film con cui Jim Jarmusch ha vinto il Leone d'oro a Venezia è un'opera apparentemente "piccola" che però affronta il mistero più grande di tutti: cosa passa per la testa dei nostri genitori? E per quella dei nostri figli?

I migliori film e serie tv del 2025

Una selezione delle cose che ci sono piaciute di più quest'anno, in televisione e al cinema.

Tra i 12 film in corsa per l’Oscar al Miglior film internazionale ben tre parlano di Palestina

È invece rimasto fuori dalla lista Familia: il film di Francesco Costabile, purtroppo, non ha passato neanche la prima selezione dell’Academy.