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23:59 venerdì 5 dicembre 2025
Quentin Tarantino ha detto che Paul Dano è un attore scarso e i colleghi di Paul Dano hanno detto che Quentin Tarantino farebbe meglio a starsene zitto Tarantino lo ha accusato di aver “rovinato” Il petroliere, definendolo «un tipo debole e poco interessante».
Già quattro Paesi hanno annunciato il boicottaggio dell’Eurovision 2026 dopo la conferma della partecipazione di Israele Spagna, Paesi Bassi, Irlanda e Slovenia hanno annunciato la loro intenzione di boicottare questa edizione se davvero a Israele verrà permesso di partecipare.
Pantone è stata accusata di sostenere il suprematismo bianco perché ha scelto per la prima volta il bianco come colore dell’anno L'azienda ha spiegato che dietro la scelta non c'è nessuna intenzione politica né sociale, ma ormai è troppo tardi, la polemica è esplosa.
L’acquisizione di Warner Bros. da parte di Netflix sta mandando nel panico tutta l’industria dell’intrattenimento La geografia del cinema e dalla tv mondiale cambierà per sempre, dopo questo accordo da 83 miliardi di dollari.
Lily Allen distribuirà il suo nuovo album anche in delle chiavette usb a forma di plug anale Un riferimento a "Pussy Palace", canzone più chiacchierata di West End Girl, in cui racconta come ha scoperto i tradimenti dell'ex marito, l'attore David Harbour.
Dario Vitale lascia Versace, appena nove mesi dopo esserne diventato direttore creativo Era stato nominato chief creative officer del brand, appena acquisito dal gruppo Prada, a marzo di quest'anno.
L’unica tappa italiana del tour di Rosalìa sarà a Milano, il 25 marzo Sono uscite le date del tour di Lux: partirà il 16 marzo 2026 da Lione e si chiuderà il 3 settembre a Portorico.
Secondo una ricerca, l’inasprimento delle leggi sull’immigrazione in Europa sta facendo aumentare e arricchire i trafficanti di essere umani Il Mixed Migration Centre ha pubblicato un ampio studio in cui dimostra che le politiche anti immigrazione stanno solo aggravando il problema che avrebbero dovuto risolvere.

L’era del RIP

Uno tsunami di commemorazioni iniziate nel 2016 con la morte di Bowie e arrivate all'apice nell'anno della pandemia. La cattiva notizia è che sarà sempre peggio.

29 Dicembre 2020

Tra fotografie e riassunti in grado di descrivere l’anno che si conclude, dovemmo includere anche l’umanissima incapacità di rassegnarci al fatto che i nostri idoli di gioventù possano passare a miglior vita. Poche cose sono in grado di suscitare riflessioni ed emozioni o approfondimenti come la morte, ed è un processo normalissimo, sia esso consapevolezza esistenziale della caducità delle cose terrene o più semplicemente presa di coscienza che non avremmo più il piacere di avere con noi quel determinato personaggio pubblico. Ma a ogni ondata di sorpresa emozione e di maledizioni verso l’anno infamissimo, bisognerebbe compiere lo sforzo di ricordare che ci stiamo avvicinando, lentamente ma inesorabilmente, al collo di bottiglia del processo di produzione di idoli (del mondo dell’intrattenimento, delle arti, della politica, dello sport, della moda): la pop culture ha avuto origine negli anni del boom e l’offerta si è diffusa lungo rivoli sempre diversi, prima canali televisivi e poi multimediali. Se questa che stiamo vivendo è davvero la vorticosa epoca del chiunque famoso per 15 minuti (in tutto il mondo, aggiungeva quel tale col caschetto), l’ovvio corollario è che a ciascuno verrà riconosciuto un momento di commemorazione pubblica. Siamo sull’uscio della “Era del RIP”, e che fortuna sarà per noi italiani condividere l’acronimo con i trend-setter mondiali a differenza del DEP spagnolo che evoca certificazioni e salumifici.

Il 2020 non è stato di certo gentile. C’entra, un po’ di striscio, la pandemia: nei mesi trascorsi chiusi in quarantena, il regolare flusso temporale si è legato in uno di quei nodi intrecciati stretti, annullando il filo del presente in giorni sempre uguali e rendendo il futuro un’ansiogena e lontanissima isola da raggiungere. A intrattenerci è rimasto solo il passato, come fosse una puntata speciale di sette ore di Techetecheté disponibile on demand, e la riscoperta di tesori passati ha assunto un ruolo principale anche nella missione di restare più o meno sani. In realtà, già in piena era di retromania e dell’onnipresenza del passato e dei suoi archivi, una prima presa di coscienza di questo meccanismo latente della società dello spettacolo era avvenuto nel 2016, vero trionfo di RIP, e tanto per cambiare il precursore fu David Bowie, a tal punto da trasformare la propria morte nell’estrema performance artistica dello splendido Blackstar. La scomparsa di Bowie risale ai primissimi giorni di quell’anno, quasi a marcare con più forza uno spartiacque: e, in effetti, da allora le notizie di morti celebri hanno preso ritmi molto più sostenuti. 

Ma è anche un effetto di scarico della “Long Tail Theory” di Chris Anderson, quella teoria socioeconomica, molto imbevuta del positivismo dell’internet di 15 anni fa, che celebra il potenziale aggregativo di migliaia di nicchie culturali nelle economie di settore: nicchie appunto ridotte ma in grado di esprimere elevati indici di fedeltà e quindi anche la moltiplicazione di nuovi idoli e guru, e pazienza se l‘applicazione in politica ha prodotto l’ascesa dei partiti sovranisti aggregatori di matti e infelici. Già impegnati nell’offrire un florilegio quotidiano di anniversari, trigesimi, compleanni e ricorrenze più da parroci di provincia, i giornali e le riviste si sono buttati a corpo morto sullo storytelling del caro estinto. Non più ridotto solo ai consueti due giorni massimo di lutto, il canovaccio online prevede lo speciale con foto poetica, spesso in bianco e nero, introdotto dall’anno di nascita e morte tra parentesi (altra evidenza dell’egemonia culturale di Wikipedia sulle nostre vite), un muro di video che tornano improvvisi tra cui immancabili le interviste ad amici, e bisogna dire che ogni archivio riesce a tratteggiare molto bene tutto il percorso di vita con pochissimi mezzi.

Siamo in presenza di eventi ad altissima carica emozionale, che accadranno sempre, anzi in maniera sempre più frequente, il cui pubblico per motivi affettivi è molto ben disposto a garantire click, consultare video di antica annata e anche acquistare uscite editoriali ad hoc, i cui contenuti per motivi di archivio sono relativamente facili ed economici da allestire. E se il ricordo dei morti fosse l’ancora di salvezza dell’editoria? È una spericolata fantasia pensare a una testata monografica che pubblichi esclusivamente necrologi, che azioni le rotative ad ogni scomparsa improvvisa anziché fermarle? Un futuro dalle commemorazioni ogni quindici minuti, in cui il celebre “È la stampa, bellezza, e non puoi farci nulla” assumerebbe nuovi significati.

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