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LinkedIn ha lanciato una sua versione del Wrapped dedicata al lavoro ma non è stata accolta benissimo dagli utenti «Un rituale d'umiliazione», questo uno dei commenti di coloro che hanno ricevuto il LinkedIn Year in Review. E non è neanche uno dei peggiori.
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Morgan sta benissimo

Da diversi anni viene ormai definito artista in declino, ma forse non è così, come dimostra la sua canzone-non-canzone diventata virale.

18 Febbraio 2020

Brillante promessa negli anni ’90, solito stronzo nel nuovo millennio, stronzo e basta agli inizi degli anni ’20. Marco Castoldi in arte Morgan reinterpreta il solito paradigma arbasiniano e assurge a unica rockstar maledetta attualmente rintracciabile in Italia. Da vari decenni viene ormai definito artista in declino e fa impressione mettere una dietro l’altra le definizioni che gli hanno dato nel corso di questi ultimi anni, nel tentativo, appunto, di definirlo. Nel 2008, Aldo Grasso, non un suo fan, aveva scritto: «È uno con la puzzetta sotto il naso, con le sue velleità artistiche e letterarie, con il suo maledettismo, con il suo francobattiatismo, con l’Antologia di Spoon River sotto il braccio, […] è al pari di un qualsiasi scalcinato partecipante del Grande Fratello». Sempre Grasso, nel 2010: «Uno che ha passato la vita a coltivare l’immagine dell’artista maledetto, ma dopo essersi costruito un’identità di trasgressivo e di personaggio fuori delle regole, poi partecipa come ospite d’onore al salotto più tradizionalista della tv». Prima ancora, nel 2007, una “cattiva della blogosfera” lo aveva fatto a pezzi definendolo senza troppi giri di parole «un coglione, quello eccentrico, sopra le righe, quello strano che dice cose strane, che soddisfa il desiderio d’esotico del bifolco teledipendente. Insomma, un megalomane».

Sono tante le cose che non vengono perdonate a Morgan. La prima è quella d’avere sprecato il suo talento, la seconda quella di auto-definirsi maestro da cui stilla il sapere vero da regalare alla plebe, con metodi a metà tra Sgarbi e Burioni. E poi la terza colpa, un vero peccato mortale, quella di unire l’alto col basso, anzi di far scontrare come neutroni impazziti cultura pop e cultura d’élite, creando deflagrazioni come quest’ultima che si è vista a Sanremo, che qualcuno ha definito performance degna della Biennale di Venezia. Di Morgan viene ricordata soprattutto la parte destruens: cacciato da X-Factor, cacciato da Amici, squalificato a Sanremo 2020, e da Sanremo comunque cacciato già nel 2010 per aver raccontato in un’intervista di aver fatto uso di crack contro la depressione. «Poverino, perché nessuno lo salva?», scrivono tutti in coro sui social, ipnotizzati dall’effetto Sara Tommasi: veder precipitare una celebrità è bellissimo. Morgan è come Bojack Horseman o Don Draper, che vediamo cadere nel vuoto fin dalla sigla delle serie a loro dedicate, un alfiere della mascolinità tossica che ironicamente ci ha regalato una delle storie d’amore più emozionanti nel mondo della musica italiana con una paladina del #MeToo, cioè Asia Argento.

Nel ricordare la parte costruens morganiana si fa sempre riferimento a tempi lontani, quando i Bluvertigo si diceva, erano i maggiori esponenti dell’alternative-rock italiano. Ci si rigira piacevolmente in bocca come fossero caramelle parole quali synth pop e psichedelia, ovviamente David Bowie (tirato in ballo ogni volta che si deve far riferimento a qualcosa-di-pop-ma-alto) e Robert Smith. Eh, ti ricordi quanto Metallo non Metallo (1997) vinceva l’European Music Award e Rolling Stone lo metteva tra i 100 dischi italiani migliori di sempre. Eh, ti ricordi “La Crisi” e “Altrove” e le “Canzoni dell’appartamento”, con quel recupero del cantautorato classico italiano quali Umberto Bindi, Luigi Tenco, Domenico Modugno e Sergio Endrigo.

Nel luglio del 2009, Morgan rilascia un’intervista sul momento più buio della sua esistenza, il suicidio del padre e lo chiama “il dono”. Ma è consapevole che è «un brutto dono, il marchio di Demian, direbbe Herman Hesse, quel­lo che stabilisce una distanza assolu­ta con il genere umano. Seduto in macchina continuavo a guardare gli altri ragazzi che uscivano da scuola. Ecco, pen­savo, loro adesso non sono più ugua­li a me, io non sono più uguale a lo­ro». Eppure, poi continuava: «Io sono esattamente ciò che da piccolo ave­vo immaginato che sarei stato». Da piccolo tra l’altro era un genio precoce della musica. Impara a suonare il pianoforte a 6 anni, vuole subito un sintetizzatore che i genitori gli compreranno previa iscrizione al conservatorio, che poi abbandona all’ottavo anno, così come abbandona il liceo, per andare altrove a fare la storia della musica italiana.

A vederlo da Barbara D’Urso mentre suona Tenco (sì, Tenco dalla D’Urso) e abbraccia la madre, e suona il pianoforte con lei in quella che è la riproduzione del tinello della casa materna, gli si dà ragione: è proprio come immaginava di diventare. Uno bravissimo, feroce, fin troppo lucido. Morgan sta bene anzi sta benissimo. Sono tutti ai suoi piedi che aspettano che gli sveli il segreto: come hai fatto a creare la performance sanremese che è già leggenda, come hai fatto ad essere sotto forma di meme in tutte le bacheche dei social media? Ma non è da oggi che Morgan è capace di plasmare dal fango dei diamanti di intrattenimento pop. Perché si scordano tutti che a X-Factor è il giudice che ha vinto il maggior numero di edizioni al mondo? Che senza Morgan, probabilmente non avremmo avuto Marco Mengoni, Noemi, Chiara Galiazzo, Michele Bravi, tutti talenti straordinari, però anche esaltati dalla bravura di Morgan, che da giudice e maestro gli ha fatto cantare pezzi bellissimi con arrangiamenti pazzeschi, che mai si erano sentiti (e mai più si sono sentiti) dentro un reality. A volte, ai suoi ragazzi ha persino predetto gli sbagli che non avrebbero dovuto fare una volta fuori, ad esempio alla Galiazzo (che all’epoca pareva una cantante che avrebbe avuto un successo inarrestabile) le aveva detto che avrebbe dovuto trovarsi una crew di gente fidata, come aveva fatto Noemi, altrimenti il grande salto non sarebbe riuscita a farlo (e così è andata).

È vero che a Sanremo 2020 Morgan c’è arrivato sottotono, dopo le vicende della sua casa all’asta e la vendita dei cimeli per tirar su qualche lira. L’esecuzione della prima serata era stata discreta ma non brillante: la canzone era promettente, Bugo faceva la parte del loser, Morgan era lì con il solito ciuffo, il solito make-up e l’assenza di voce. Erano scivolati subito in fondo alla classifica, e lì sarebbero rimasti, soprattutto “la sera della brutta figura” in cui si erano cantati l’uno sull’altro, Bugo in trance nel finire il dispetto a Morgan, Morgan che pestava sul piano per fargli capire che stava sbagliando tutto. Era in corso un litigio musicale furioso, sulle note di “Canzone per te” di Sergio Endrigo, e nessuno l’aveva capito. Potevano finire ultimi in classifica per giunta dopo Elettra Lamborghini e invece di nuovo Morgan ha scelto di fare la storia della musica italiana. «Le brutte intenzioni, la maleducazione, la tua brutta figura di ieri sera, la tua ingratitudine, la tua arroganza. […] Ringrazia il cielo sei su questo palco, rispetta chi ti ci ha portato dentro», le coriste in sottofondo che cantano il testo “giusto”, Bugo che gira i tacchi e se ne va, l’orchestra che si interrompe mentre il «Questo sono io» si spegne nella gola di Morgan che dice: «Che succede?».

Ed è subito leggenda, ed è subito meme. Ad Achille Lauro sono serviti quattro outfit di Gucci e una fatica bestiale, per un risultato comunque inferiore. Bugo totalizza in una settimana più ospitate televisive che in vent’anni di carriera, e canta quella canzone scritta da lui ma che praticamente è la parodia di una canzone di Morgan. Mara Venier durante il suo programma domenicale, abbraccia Bugo, gli dà pacche sulle spalle e lo tratta un po’ da bambino speciale. Ma è Morgan con quelle parole cambiate che ha compiuto il miracolo, regalandoci il testo della canzone-non-canzone più rilevante degli ultimi decenni, ed è sempre lui che continua a dirigere le danze e l’orchestra, almeno finché ne avrà voglia. Alla fine, Morgan è questo: sconclusionato, ambivalente, moralmente deragliato, che può essere contemporaneamente professionale e amatoriale, trash e raffinato, smart e stupido, uno che legge le partiture delle “Variazioni Goldberg” di Bach nel video di “Sincero”. Insomma, un vero coglione ma pure un genio.

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