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Il metaverso è sempre stato il vero scopo di Zuckerberg

La creazione di Meta non è solo un tentativo disperato di salvare l’azienda da un baratro reputazionale, ma un’operazione pianificata da tempo.

di Federico Gennari Santori

Il nuovo marchio aziendale, Meta, comparso il 28 ottobre 2021 a Menlo Park, in California (foto di Kelly Sullivan/Getty Images per Facebook)

Si dice che Peter Jackson, regista del Signore degli anelli, abbia realizzato la fortunata trilogia col solo scopo di fare i soldi necessari per prodursi un nuovo King Kong. Una diceria simile a quella sul noto regista dovrebbe ora colpire Mark Zuckerberg, che si è dato tanto da fare con i social network per un secondo fine, rimasto a lungo segreto. Rinominando la sua holding Meta e inaugurando così l’era del “metaverso”, il fondatore di Facebook promette di calarci in un nuovo mondo simulato. Come un tempo permise che anche i non smanettoni spiassero gli altri online, oggi punta a democratizzare tecnologie esclusive come la realtà virtuale e la realtà aumentata. E in qualche modo ritrova se stesso: inguaribile nerd dalle sfrenate velleità ecumeniche, intenzionato a realizzare qualcosa che nel 1992 esisteva soltanto nell’immaginario cyberpunk di Neal Stephenson e nel suo romanzo Snow Crash. Che fosse un sogno adolescenziale rimasto nel cassetto, come il remake diretto da Jackson? Probabile, anche perché negli ultimi anni le avvisaglie non sono mancate.

La storia della sterzata improvvisa per salvare l’azienda da un baratro reputazionale, iniziato con il caso di Cambridge Analytica e culminato con le testimonianze della whistleblower Frances Haugen, è stata ampiamente raccontata. Un’altra versione, ben più interessante, è quella di un’operazione pianificata da tempo e tutt’al più accelerata. Del resto, si può ragionevolmente pensare che Zuckerberg abbia messo in piedi una pantomima con il solo obiettivo di distogliere l’attenzione di politica, investitori e opinione pubblica dagli scandali che hanno colpito Facebook? Possibile che il metaverso sia soltanto una farsa, a cui però l’azienda si è legata a doppio filo al punto da cambiare il proprio nome?

Difficile, anche perché significherebbe perdere di vista un percorso di ricerca, sviluppo e investimenti cominciato fin dal 2014, quando Facebook acquisì Oculus, produttore di visori per la realtà virtuale. Un social network che si butta sull’hardware più astruso in commercio. Due miliardi di dollari sul piatto. Scalpore generale. Sette anni fa niente sembrava aver senso, ma già allora Facebook dimostrava di voler essere ben più del social network più grande al a mondo. Per questo adesso affermare che il rebranding di Facebook in Meta sia soltanto un’arma di distrazione di massa è riduttivo. La memoria dovrebbe farci unire i puntini per vedere un disegno che in realtà era annunciato da tempo. Letteralmente.

Affermare che il rebranding di Facebook in Meta sia soltanto un’arma di distrazione di massa è riduttivo

Era il 2017 quando Mark Zuckerberg, dal palco della conferenza F8, dichiarava: «Non lo mai fatto nessuno prima. Lanciamo la prima piattaforma informatica pubblica dedicata alla realtà aumentata». Non era un caso che pochi mesi prima su Facebook e Instagram fosse stato introdotto il format delle Storie, copiato di sana pianta da Snapchat, la prima piattaforma che – insieme a Pokemon Go – aveva trovato un modalità mainstream e dirompente per sovrapporre oggetti virtuali alla realtà che vediamo: i filtri della fotocamera. Spark Ar, la piattaforma informatica in questione, era nata con lo scopo di cavalcare questa nuova onda della comunicazione digitale dando a chiunque la possibilità non solo di condividere, ma anche di creare. Per intenderci, se uno sviluppatore vuole lanciare un’effetto per la fotocamera, come quelli che distorcono la fisionomia del viso o aggiungono oggetti virtuali tipo occhiali e orecchie da animali, lo fa con Spark Ar, che nel frattempo si è espansa: da questa estate può essere utilizzata anche per le videochiamate su Instagram e WhatsApp.

Se la ricordano in pochi, forse è perché all’epoca non sembrava nulla di così notiziabile. Invece era un momento chiave e a posteriori possiamo ribadirlo. Ricordando il flop commerciale dei Google Glass, non era il caso di lanciare un nuovo mirabolante paio di occhiali intelligenti, bensì di pazientare e puntare tutto sui device del momento: gli smartphone. Perché oltre ai dispositivi ci vogliono i contenuti che ne motivino l’utilizzo. Zuckerberg doveva aver capito che non aveva senso scommettere soltanto sull’hardware attraverso Oculus, ma anzitutto sul software che avrebbe permesso di realizzare agevolmente contenuti per la realtà aumentata e la realtà virtuale. Che cosa c’entra un social network in tutto questo? Semplice: ancora una volta potrà essere lo strumento attraverso cui questi nuovi contenuti si diffonderanno tra gli utenti, il brodo primordiale da cui nascerà il metaverso. Questa volta, però, per l’azienda ci sarà una differenza sostanziale, o almeno è quello che spera: non sarà più soltanto un servizio, ma un’infrastruttura. Per capirci, se oggi il vecchio Facebook è un’app importante ma pur sempre una delle tante, domani la nuova Meta sarà come l’ambiente informatico all’interno del quale le varie app dovranno essere create. Così, dopo i sistemi operativi per pc di Microsoft e Apple, e gli app store di Google e ancora Apple, potrà venire il tempo della piattaforma per il metaverso di Zuckerberg, che al momento del grande annuncio ha criticato la creatura di Steve Jobs come lui nel 1984 avrebbe fatto con Ibm.

In pratica, se oggi il vecchio Facebook è un’app importante ma pur sempre una delle tante, domani la nuova Meta sarà l’ambiente informatico all’interno del quale le varie app dovranno essere create

Il punto è che chiunque commercializzi un software deve sottostare alle regole dettate dai sistemi operativi in mano a tre colossi. La ex Facebook vuole un posto tra loro e da anni si sta preparando a batterli sul tempo. Al di là del contesto reputazionale e delle futuristiche anticipazioni video – un po’ staventose e un po’ goffe – in cui Zuck tira a scherma con un avversario immaginario, la nascita di Meta è la conferma definitiva di un obiettivo che ha radici profonde: quello di costruire la piattaforma informatica del futuro e dominarla. Il fondatore di Facebook è profondamente convinto che quel futuro sia rappresentato dalla realtà virtuale e soprattutto dalla realtà aumentata, e non ne ha mai fatto mistero. Già nel 2014 si diceva convinto che i device che rimpiazzeranno gli smartphone saranno gli occhiali intelligenti. Qualche anno dopo è arrivato a produrre i suoi, i RayBan Stories realizzati in collaborazione con Luxottica e ora pensa di aprire degli negozi offline brandizzati in cui commercializzarli. Ci crede e vuole arrivare primo a tal punto che ha deciso di legare il nome e l’identità di una delle maggiori aziende al mondo a un concetto astratto, fantascientifico, con lo scopo di appropriarsene.

Il guanto di sfida è lanciato tanto ai giganti del software quanto a quelli dell’hardware. I primi dovranno fare i conti con gli investimenti miliardari già fatti da Facebook in questo ambito e sulla sua capacità di raggiungere miliardi di utenti con i propri contenuti. Ai secondi starà progettare e commercializzare smart glasses e visori che siano efficienti, economici e magari tarati sulle regole dettate da Meta. In più dovranno affrontare la concorrenza di Meta stessa, che attraverso Oculus e la collaborazione con Luxottica, ambisce non soltanto a creare l’infrastruttura informatica ma anche ad offrire i device migliori per utilizzarla. Inoltre, se davvero i video mostrati da Zuckerberg dovessero tradursi in realtà, computer, televisioni e molti altri oggetti potrebbero essere di fatto rimpiazzati da ologrammi. Che cosa significherebbe per il mercato dell’hardware? Come potrebbero reggere il colpo e inventare qualcosa di nuovo? Sarà da vedere.

Che la realtà aumentata farà sempre più parte della nostra vita quotidiana è ormai chiaro. Per la realtà virtuale immersiva servirà più tempo e magari resterà di nicchia, anche se è abbastanza certo che sbancherà nel gaming, settore che la stessa Facebook ha iniziato a presidiare da tempo. È presto per dirlo, come lo è per decidere le sorti di Meta. Non è presto invece per iniziare a riflettere su cosa potrebbe comportare la costruzione di uno spazio-tempo a cavallo tra realtà sensoriale e simulazione digitale denominato “metaverso”. Quanti metaversi esisteranno? Se oggi discutiamo di filter bubble, l’ambiente che l’algoritmo dei social network costruiscono appositamente per noi mostrandoci soltanto ciò che è a noi affine, domani, dopo aver inforcato un paio di occhiali, ci saremmo direttamente immersi, circondati da oggetti virtuali che perfettamente integrati con la nostra visione della realtà fisica. Piaccia o no, il film si sta girando. Zuckerberg deve soltanto sperare di concluderlo. E che non finisca nel dimenticatoio come il King Kong di quello che – per tutti – resterà sempre il regista del Signore degli Anelli.