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18:07 martedì 14 ottobre 2025
Temu ha raddoppiato i guadagni in Europa nonostante una forza lavoro composta da otto dipendenti soltanto Otto persone per gestire gli ordini, il servizio clienti, il sito, oltre alla parte burocratica, amministrativa e fiscale.
Il Time ha dedicato la copertina a Trump ma lui si è offeso perché nella foto sembra che gli abbiano cancellato i capelli Il Presidente degli Stati Uniti d'America ha commentato così: «La più brutta foto di tutti i tempi».
Il Presidente del Madagascar è fuggito dal Paese per paura di essere ucciso ma rifiuta comunque di dimettersi Al momento nessuno sa dove si trovi Andry Rajoelina, ma lui sostiene di poter comunque continuare a fare il Presidente del Madagascar.
Maria Grazia Chiuri è la nuova direttrice creativa di Fendi La stilista debutterà alla prossima fashion week di Milano, nel febbraio 2026, e curerà tutte le linee: donna, uomo e couture.
Dopo il Nobel per la Pace vinto da Maria Corina Machado, il Venezuela ha chiuso improvvisamente la sua ambasciata a Oslo Una scelta che il governo di Maduro ha spiegato come una semplice «ristrutturazione del servizio diplomatico».
Giorgio Parisi, il fisico, si è ritrovato a sua insaputa presidente di una commissione del Ministero della salute perché al ministero lo hanno confuso con Attilio Parisi, medico E adesso sembra che nessuno al ministero riesca a trovare una maniera di risolvere il problema.
Il quotidiano del Comitato centrale del Partito comunista cinese ha fatto firmare un articolo a LeBron James, che però non lo ha mai scritto È vero che viviamo in un mondo strano, ma ancora non così strano da avere LeBron James tra gli editorialisti del Quotidiano del popolo.
Luca Guadagnino ha rivelato i suoi quattro film preferiti di tutti i tempi nel nuovo episodio di Criterion Closet Una classifica che comprende due film di culto abbastanza sconosciuti, un classico di Wong Kar-Wai e l'opera più controversa di Scorsese.

Il Met Gala è a un bivio

Come ogni anno, le scale del Met si sono popolate di celebrity per l’inaugurazione della mostra Sleeping Beauties: Reawakening Fashion. Ma è davvero quello di cui la cultura della moda ha bisogno?

07 Maggio 2024

Se dovessimo prendere il meglio dal red carpet di questo Met Gala, che ieri sera ha lanciato la nuova mostra del Costume Institute del Metropolitan Art Museum di New York, probabilmente dovremmo parlare di John Galliano. Che non ha sfilato sul red carpet (lo hanno fatto le sue creazioni, presenti anche all’interno della retrospettiva) e che, almeno sulla carta, era solo vagamente associato al tema, ma che di fatto è stato il vero protagonista dell’evento. Non solo perché la viralissima collezione Couture Artisanal di Maison Margiela, presentata lo scorso gennaio, è stata indossata da alcune delle star più in vista (Zendaya, Kim Kardashian, con cui il designer ha anche girato un un video per Vogue, Ariana Grande, Gwendoline Christie), ma soprattutto perché molti di quei look erano rimandi diretti al suo periodo da Dior (per gli appassionati: Dior Spring Summer Couture 1999 per Zendaya e Dior Fall Winter Couture 1997 per Kim). Una sovrapposizione che era sembrata un cortocircuito già all’epoca della sfilata, quando aveva provocato un innamoramento tardivo verso il designer da parte di una generazione che, è lecito pensarlo, per la prima volta vedeva in passerella tutta la sua teatralità. Un cortocircuito perché oggi Galliano è il direttore creativo di Maison Margiela, che ha perso il Martin a un certo punto del suo re-branding più o meno come Yves è caduto all’inizio di Saint Laurent, e lì sta facendo un ottimo lavoro, anche se forse, in particolare con quest’ultima osannata collezione, non tanto tenendo a mente Martin Margiela e la sua eredità, quanto sé stesso. Ma è di Galliano che parliamo, e va bene così: se c’è qualcuno a cui è concesso auto-riferirsi è proprio lui, come fa nel delizioso documentario di recente uscita e intitolato High & Low: John Galliano.

Stando a un ben documentato e succulento exposé di The Cut, Sleeping Beauties: Reawakening Fashion, questo il titolo della mostra che apre ufficialmente al pubblico il prossimo 10 maggio, sarebbe poi un piano b. Secondo The Cut, Andrew Bolton, Curator in Charge del Costume Institute, e Anna Wintour, madre madrina tanto del museo tanto dell’evento in questa sua forma sotto steroidi, pianificano da tempo una mostra dedicata a Galliano ma hanno più volte incontrato ostacoli sul loro cammino, sia da parte dei membri onorari del Museo sia da parte degli addetti ai lavori. Prima o poi ci riusciranno (lo speriamo tutti: chi non vorrebbe vedere una mostra su John Galliano?) ma nel frattempo a essere messa in discussione è la formula stessa del Met Gala, che dopo anni di successi inizia a mostrare le sue crepe. Soprattutto dal punto di vista metodologico. È ormai chiaro che la visione e la curatela di Bolton, al quale sono affidati i temi delle mostre, sia non solo un po’ troppo eurocentrica e per certi versi incapace di raccontare e scoprire altre storie di moda, ma soprattutto sia in qualche modo ostaggio delle necessità commerciali del Met Gala. Una mostra all’anno, intanto, che comporta dover lavorare contemporaneamente su più temi, cosa di per sé non inusuale per un museo. Quello che è ancora inusuale è invece l’adattamento, o la forzatura, che del tema scelto si fa una volta entrati gli sponsor (questa volta è Loewe, che fa parte di Lvmh): che sia Apple o uno dei grandi gruppi della moda, difficilmente non avranno niente da dire. Eppure il grande lascito di Wintour è proprio questo: con il suo reboot del Met Gala, è infatti riuscita negli anni non solo a costruire un grande evento che ha segnato la cultura pop, ma anche a garantire i fondi perché il Costume Institute potesse funzionare a dovere. Un risultato che nessuno potrà mai negarle e che ha tracciato un’altra via nel modo in cui la moda viene esposta in ambito museale.

Proprio il tema dell’archiviazione dei vestiti era al centro di Sleeping Beauties: la loro fragilità, il loro facile deteriorarsi e il rapporto che instaurano con i corpi che li indossano, soprattutto in assenza di quei corpi. Abiti esposti in orizzontale oppure protetti da teche di vetro: l’allestimento e lo stesso titolo della mostra, come ha raccontato Bolton sempre a Vogue, non ha a che fare con le belle addormentate Disney, ma con «quegli oggetti troppo fragili per essere esposti anche su un manichino e che perciò vengono adagiati in posizione “di riposo”». Sleeping Beauties, si spera, farà meglio di Karl Lagerfeld: A Line of Beauty, la mostra del 2023, che secondo The Cut non può definirsi un successo di pubblico o di critica. Lontani i fasti di Alexander McQueen: Savage Beauty (2011) e China: Through the Looking Glass (2015), due tra le retrospettive più popolari nella storia del Costume Institute e del Met, negli ultimi anni i risultati sono stati alterni o quantomeno modesti. La curatela ha bisogno di nuova linfa, forse, o magari abbiamo raggiunto il punto massimo di espansione di un progetto ambiziosissimo in cui, per la prima volta in maniera così massiccia e plateale, la ricerca curatoriale si univa alle esigenze commerciali, allo Zeitgeist e al bisogno di finanziare le istituzioni culturali. Un altro protagonista del red carpet di ieri, d’altra parte, è stato Alexander McQueen, o almeno il suo fantasma: era ispirato alla collezione da lui disegnata per Givenchy il look indossato da Kendall Jenner (Couture Fall Winter 1999), riprodotto dall’ufficio stile in mancanza di un direttore creativo dopo la dipartita di Matthew Williams, mentre Lana Del Rey, accompagnata dal neo direttore creativo di Alexander McQueen Séan McGirr, ha indossato un abito che si rifaceva a The Widows of Culloden (Fall Winter 2006). Se le reazioni online sono state miste (il debutto di McGirr è stato criticatissimo, ennesimo segnale di come le cose non siano affatto facili per i designer della sua generazione), una cosa è certa: la nostalgia di una moda che non esiste più ha finito per mangiarsi la moda di oggi, che sembra solo capace di guardarsi indietro senza farsi le giuste domande.

In apertura: Zendaya. Ph. by Dimitrios Kambouris/Getty Images for The Met Museum/Vogue.

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