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22:13 martedì 17 giugno 2025
Già nel 1986, in un’intervista della Rai, Netanyahu mostrava di essere un estremista Fa impressione vedere le risposte date dall'allora 38enne Netanyahu a Giovanni Minoli nel famoso programma Mixer.
A quanto pare Papa Leone XIV è imparentato con un sacco di celebrity Lo ha rivelato un'inchiesta del New York Times: tra i cugini alla lontana ci sono Madonna, Angelina Jolie, Justin Bieber, Justin Trudeau e pure Hillary Clinton.
Per i palestinesi che vivono in Israele non ci sono bunker antiaerei in cui cercare rifugio Non ci sono perché non sono stati costruiti: con i bombardamenti iraniani i civili non hanno via di scampo.
I veneziani le stanno provando tutte per rovinare il matrimonio di Jeff Bezos e Lauren Sánchez Striscioni, cartelli, assemblee, proteste, pure un adesivo anti Bezos ufficiale che si trova attaccato un po' ovunque in città.
La nuova grande idea di Mark Zuckerberg è mettere la pubblicità anche dentro Whatsapp Per il momento le chat sono state risparmiate dalla banneristica, ma c'è sa scommettere che non sarà così a lungo.
Pixar ha annunciato un film con protagonista un gatto nero e tutti hanno pensato che ricorda molto un altro film con protagonista un gatto nero Il film Disney-Pixar si intitola Gatto, è ambientato a Venezia e lo dirige Enrico Casarosa. Il film al quale viene accostato lo potete indovinare facilmente.
Tra Italia, Spagna e Portogallo si è tenuta una delle più grandi proteste del movimento contro l’overtourism Armati di pistole ad acqua, trolley e santini, i manifestanti sono scesi in piazza per tutto il fine settimana appena trascorso.
Will Smith ha detto che rifiutò la parte di protagonista in Inception perché non capiva la trama Christopher Nolan gli aveva offerto il ruolo, ma Smith disse di no perché nonostante le spiegazioni del regista la storia proprio non lo convinceva.

Siamo tutti malati immaginari

Nel libro È tutto nella tua testa, la neurologa Suzanne O’Sullivan racconta «il misterioso mondo delle malattie psicosomatiche» e di quanto sia poco capito.

03 Maggio 2018

Nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, la bibbia degli psichiatri, la definizione «disturbo psicosomatico» non compare. E, leggendo È tutto nella tua testa, il saggio edito da Mondadori in cui la neurologa inglese Suzanne O’Sullivan racconta «il misterioso mondo delle malattie psicosomatiche», si capisce che intorno alle disabilità provocate da fattori psicologici ancora oggi permane un’aura di mistero e diffidenza, che mina alla base qualunque tentativo di fornire aiuto concreto ai pazienti che ne soffrono. I disturbi psicosomatici sono sintomi fisici che mascherano un disagio interiore, un malessere generalmente rimosso a cui la somatizzazione dà sostanza rendendolo in parte accettabile agli occhi dei pazienti e dei loro familiari. Come ha scritto George Orwell in 1984, «se vuoi mantenere un segreto, devi nasconderlo anche a te stesso». Il riso, le lacrime e il rossore sono esempi del potere della mente sul corpo, ma sono risposte normali e non indicative di una patologia. È solo quando i sintomi psicosomatici vanno oltre la normalità e limitano la capacità funzionale o mettono in pericolo la salute che diventano un disturbo.

Perché nel XXI secolo la malattia psicosomatica appare un disturbo socialmente inaccettabile? Come sottolinea la dottoressa O’Sullivan «leggiamo con compiacimento che qualcuno si è fatto operare ricorrendo all’ipnosi anziché all’anestesia, accettiamo senza problemi l’effetto placebo, la psicologia dello sport, l’omeopatia e la medicina alternativa, gli effetti della meditazione, la dieta per il cancro e molti altri esempi di come la mente agisca in modo benefico sul corpo». Perché allora l’idea di una mente che produce sintomi fisici è più difficile da digerire? Se la mente può avere tutti questi effetti positivi, può altrettanto facilmente averne di negativi. La società contemporanea ama l’idea che possiamo migliorarci con il pensiero. Se non stiamo bene, diciamo a noi stessi che adottando un atteggiamento mentale positivo avremo maggiori possibilità di guarire. Tuttavia, non ci siamo ancora resi conto di quanto spesso la gente faccia invece il contrario, pensandosi inconsciamente malata.

I casi raccolti dalla dottoressa O’Sullivan nella sua esperienza di primario del National Hospital of Neurology and Neurosurgery di Londra dimostrano come la malattia psicosomatica si manifesti in modi strani e sfuggenti, per esempio, con paralisi, convulsioni o disabilità di ogni tipo, non solo con l’affaticamento o il dolore, i due sintomi più comuni. C’è Matthew convinto di soffrire di sclerosi multipla, ma le cui analisi cliniche sono impeccabili; Yvonne, inspiegabilmente cieca; Pauline, con le gambe paralizzate e crisi convulsive che la scuotono da un decennio; Rachel, ex ballerina costretta sulla sedia a rotelle. In quanto disturbi dell’immaginazione, sono circoscritti solo dai limiti dell’immaginazione stessa. Le molte ricerche compiute negli ultimi decenni ci dicono che tale fenomeno fa poca distinzione tra culture e sistemi sanitari. Nel 1997 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha svolto un vasto studio sulla frequenza dei sintomi psicosomatici a livello di assistenza sanitaria di base in quindici città del mondo, dagli Stati Uniti alla Nigeria, dal Giappone all’Italia fino all’India. In ogni centro è stata quantificata la frequenza dei sintomi «clinicamente inspiegabili» (cioè con una sospetta causa psicosomatica). La ricerca ha evidenziato che il 20 per cento dei pazienti che si rivolgeva al medico lamentava almeno sei sintomi inspiegabili, vale a dire un numero ampiamente sufficiente a pregiudicare la qualità della loro vita. E, soprattutto, le percentuali di sintomi clinicamente inspiegabili erano simili in ognuno dei paesi presi in esame, tanto in quelli sviluppati quanto in quelli in via di sviluppo. La maggiore o minore qualità dell’assistenza sanitaria non incideva sulla prevalenza dei disturbi.

La domanda che emerge con più forza è: ci sono personalità con spiccate tendenze alla somatizzazione? «L’evidenza scientifica suggerisce che le persone con tratti ansiosi o nevrotici portate a preoccuparsi, arrabbiarsi, sentirsi in colpa o deprimersi, sono più predisposte a sviluppare disturbi somatici», spiega la O’Sullivan. «Lo stesso vale per chi ha un’eccessiva tendenza a dipendere dal prossimo e per chi vede gli altri come persone forti e vincenti e se stesso come un incapace. Il 50 per cento dei pazienti psicosomatici ha anche una pregressa patologia psichiatrica; ma questo significa che l’altro 50 per cento non ce l’ha». In un certo senso siamo tutti vulnerabili, abbiamo tutti una soglia oltre la quale potremmo sviluppare un disturbo psicosomatico. I nostri trascorsi contribuiscono a determinare dove si colloca questa soglia, e che cosa potrebbe volerci per farci reagire allo stress con un problema psicosomatico o con sintomi psichiatrici.

Al di là dei numeri e dei diversi casi, per tutti i pazienti è molto complicato accettare l’idea che il loro problema fisico abbia un’origine psicologica. «Dire a qualcuno che la sua disabilità ha una causa psicologica lo fa sentire accusato; gli stai dicendo che mente, che finge o che immagina i suoi sintomi», scrive O’Sullivan. È una diagnosi che i medici formulano con una certa riluttanza, in parte per paura di contrariare i pazienti, in parte per paura di non essere riusciti a individuare il vero problema – e se il futuro dovesse portare con sé nuovi strumenti diagnostici e rivelare che la diagnosi era sbagliata? Non è raro che i pazienti restino così intrappolati in un limbo tra il mondo della medicina e quello della psichiatria, senza che nessuna delle due comunità si assuma piena responsabilità del loro caso. Oggi in un certo senso siamo ancora fermi al XVIII secolo, quando si evitava di formulare un giudizio definitivo per il reciproco vantaggio di medico e paziente. Siamo passati dai primi studi sull’isteria condotti da Jean-Martin Charcot alla fine dell’Ottocento ai tentativi freudiani di curarla attraverso l’ipnosi, eppure rimane la stessa paura con cui si guarda ai disturbi psichiatrici, la diffidenza e il silenzio che circonda coloro che ne soffrono. Quando il paziente si sente messo all’angolo, finisce per rassegnarsi al ruolo del malato senza diagnosi, perché qualunque cosa sembra preferibile all’umiliazione di un disturbo psicologico.

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