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Tutte le recensioni di Una battaglia dopo l’altra di Paul Thomas Anderson dicono la stessa cosa: è un capolavoro Il film, con protagonista Leonardo DiCaprio, arriverà nelle sale cinematografiche italiane il 25 settembre.
Siccome una creator l’ha “accusata” di essere transgender, Brigitte Macron mostrerà in tribunale il suo Dna per dimostrare di essere nata donna E vincere così la causa per diffamazione contro Candace Owens, creator dell'alt-right Usa che sostiene che la Première dame abbia cambiato sesso.
Israele vuole cancellare la sua versione degli Oscar perché ha vinto un film che parla di un ragazzino palestinese Anche perché, vincendo, The Sea è automaticamente candidato a rappresentare Israele agli Oscar quelli veri.
Il candidato della Francia all’Oscar per il Miglior film internazionale è un film ambientato in Iran, che parla di Iran e diretto da un iraniano Dalla Palma d’Oro a Cannes alla candidatura francese agli Oscar, il viaggio di Jafar Panahi attraverso le crepe della politica e del cinema
Sulla tv del ministero della Difesa russo c’è uno show fatto con l’AI che trolla i politici stranieri Macron con i bigodini rosa, Trump che parla di gabinetti dorati, von der Leyen in versione soviet: questo il meglio che la "satira" russa offre.
Il late show di Jimmy Kimmel è stato sospeso per dei commenti di Kimmel su Charlie Kirk Commenti che però Jimmy Kimmel non ha mai fatto.
Nel nuovo film di Carlo Verdone ci sarà anche Karla Sofía Gascón, la protagonista caduta in disgrazia di Emilia Pérez La notizia ha permesso a Scuola di seduzione di finire addirittura tra le breaking news di Variety.
Enzo Iacchetti che urla «Cos’hai detto, stronzo? Vengo giù e ti prendo a pugni» è diventato l’idolo di internet Il suo sbrocco a È sempre Cartabianca sul genocidio a Gaza lo ha fatto diventare l'uomo più amato (e memato) sui social.

L’ultima dei grillini: le fake news vanno salvaguardate

Lo stato del dibattito pubblico, i fatti alternativi e cosa c'è dietro la proposta del sottosegretario Crimi di abolire l'ordine dei giornalisti.

10 Agosto 2018

L’indicazione del giornalista Marcello Foa alla presidenza della Rai, bocciata dalla Commissione di Vigilanza, e il caso ancora oscuro dell’attacco informatico al presidente Sergio Mattarella, assieme alle inchieste americane sul Russiagate e ai tentativi dei giganti della Silicon Valley di trovare un rimedio contro la disinformazione, hanno riacceso i riflettori sulle fake news, sull’ingerenza straniera nei processi democratici occidentali e sulle tecniche di manipolazione del consenso attraverso l’uso dei social network. Le notizie false, assieme alla post truth politics, ovvero alla politica che non si basa più sui dati di fatto, sono la grande novità del nostro tempo, dai vaccini all’alta velocità fino all’acrobatica aritmetica per cui i soldi per il reddito di cittadinanza si troverebbero riducendo i vitalizi dei parlamentari.

Propaganda, dietrologie e bugie politiche non sono una novità, basti ricordare la fake news più grande della storia, il Protocollo dei Savi di Sion creato dalla polizia segreta della Russia zarista per diffondere l’odio anti ebraico, ma anche le bufale sul virus dell’Aids fabbricato dagli americani secondo la macchina della propaganda sovietica ai tempi della Guerra Fredda. La differenza rispetto ad allora è la velocità di diffusione, la capacità di penetrazione e la dimensione di un fenomeno che si affida a tecniche psicometriche e a software, i cosiddetti bot, per automatizzare il processo di fabbricazione, divulgazione e infiltrazione delle notizie false.

Un dibattito pubblico senza punti di riferimento certi porta a un mutamento della società, della politica e del processo democratico i cui effetti sono ancora da valutare. Parlare di fake news è già obsoleto, quando si rivendica apertamente l’esistenza di alternative facts, di fatti alternativi, come se due più due potesse fare sia quattro sia cinque. Le notizie false diventano fatti alternativi e il discorso pubblico si abbassa ancora di più in una sfida tra competing lies, tra bugie in competizione tra loro: due più due, insomma, fa cinque oppure sei; e chi prova a dire che veramente due più due fa sempre e solo quattro viene tacciato di essere un propagatore elitario di fake news.

Nessuno ha ancora trovato una soluzione contro le nuove forme virali di disinformazione, ma è improbabile che possa essere una strada percorribile quella invocata dal sottosegretario con delega all’editoria Vito Crimi, durante un evento organizzato dall’associazione Rousseau di Davide Casaleggio. È passato quasi inosservato, ma Crimi ha rivendicato l’importanza strategica, liberale e democratica delle fake news, sostenendo che «se reprimiamo le fake news, reprimiamo la libertà di informazione. E dovremmo anche sanzionare le bugie che ci diciamo tra noi». La sua tesi è che i giornali sono tenuti alla correttezza, mentre il web è semplicemente un luogo di libero scambio di informazioni tra cittadini.

In questo modo, diffondere privatamente le bufale, cioè le notizie create per corrompere il dibattito pubblico, costruire surrettiziamente consenso e creare allarme sociale, assurge a diritto fondamentale da salvaguardare. Nelle audizioni in Parlamento, e poi sul blog delle stelle, Crimi ha proposto anche altre cose, alcune anche condivisibili, come per esempio l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti, ipotesi che i cittadini però bocciarono nel 1997, disertando le urne cui erano stati chiamati da un referendum popolare che, fino a prova contraria, è lo strumento supremo di democrazia diretta tanto caro a Casaleggio e ai Cinquestelle. Sono passati più di vent’anni da quel referendum: in una democrazia rappresentativa il Parlamento è sovrano, può dimenticarsi del voto del 1997 e quindi procedere, se c’è la maggioranza, all’abolizione dell’Ordine. Ma se contemporaneamente si vuole tutelare la diffusione delle fake news, be’, più che abolire l’Ordine dei giornalisti sembra che si voglia semplicemente abolire i giornalisti.

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