Attualità | Coronavirus

Londra città quasi aperta

Una testimonianza di come si vive adesso nella città che sta provando a tornare alla normalità dopo i vaccini di massa.

di Alessandro Busco

Soho, Londra 12 aprile 2021 (Photo by TOLGA AKMEN/AFP via Getty Images)

Il 12 aprile è stato il giorno in cui il Regno Unito ha offerto al mondo il profilo più pop dell’avanzamento della vaccinazione di massa: la concessione ai locali pubblici di riaccogliere i clienti rigorosamente all’esterno, insieme all’apertura di altri settori tra quelli ritenuti più controllabili in spazi interni (biblioteche, negozi, parrucchieri e palestre ad uso individuale per citarne alcuni). L’espressione “variante inglese” non suona più come linguaggio medico ma segna ormai la differenza nella qualità di vita attuale che i britannici son riusciti a costruire, mese dopo mese. Occorre introdurre per forza lo scomodo elefante nella stanza, e trattandosi di Boris Johnson sappiamo che quella stanza sarà una cristalleria di pregio. Lo si vede troneggiare ogni giorno da ogni angolazione possibile, con le dita indice e medio ormai in paresi a formare la V griffata Churchill, costante aspirazione di vita. Sebbene la sua strategia sembri sempre un po’ sibillina (e non ha certo a che fare con la classica storia del sopravvissuto che riscopre la retta via, essendo stato lui stesso ricoverato in ospedale per il Coronavirus, quanto piuttosto con fattori di carattere economico), ha dato i primi risultati. Se possiamo sorridere e uscire finalmente a riveder le Stelle Artois lo dobbiamo al rollout della campagna vaccinale, che ha sfruttato anche l’elevato capitale sociale nel Paese dalle migliaia di charity cui dedicare anche un piccolo intervallo del proprio percorso lavorativo.

Aiuta moltissimo anche essere il centro mondiale delle pubblicazioni scientifiche e mediche, ed è facile immaginare che il governo sia stato molto abile nel cogliere in tempo reale le dritte dal mondo della scienza e farne con largo anticipo la base della propria strategia di geopolitica dei vaccini, come sta aiutando anche la fascinazione tutta inglese per le file in cui ognuno sta al suo posto senza accampare privilegi. Viene persino da riabilitare il brutale sistema elettorale di Westminster, che in genere relega i matti in un angolo di Hyde Park e non all’interno di commissioni parlamentari o in equilibri governativi da Cencelli.

Come è normale che sia, non abbiamo però vissuto solo in un mondo di eroi. Grazie a quella clamorosa arma di autodenuncia di massa meglio nota come Instagram, abbiamo comunque potuto sbirciare il mercato nero delle feste di compleanno degli altri (Rita Ora ha chiesto scusa), raduni clandestini che in altre epoche hanno prodotto l’antiproibizionismo, la cultura rave anni ’90 o creato oasi d’arte in capannoni abbandonati, e che oggi hanno ingrassato i produttori di palloncini giganti a forma di numero e i proprietari di appartamenti orfani da un anno di turisti e pendolari. È stato doloroso anche riconoscere nella metropoli spoglia una terra di conquista dei drivers, personificazioni in quei tre secondi di consegna merce di un business plan che fa colare a picco gli standard qualitativi di tutti coloro che vi partecipano. Avendo invaso da tempo le nostre tavole dopo aver persuaso che un pasto in una scatola di cartone possa valere quanto uno servito al piatto, per le compagnie di delivery sembra che il prossimo passo sia la conquista dei marciapiedi, zeppi di recenti licenziati che non possono investire denaro in uno scooter, e tamponano il misero assegno di disoccupazione vestendo i panni di Lance Armstrong.

Nella transizione da città chiusa a semiaperta hanno inoltre svolto un ruolo fondamentale sfoghi all’aria aperta sempre più tollerati al progredire delle vaccinazioni. Ogni città vanta quel luogo eletto per incontri a norma o anche furtivi che viene trattato sotto il microscopio ossessivo di immagini dalla prospettiva schiacciante: i Navigli per Milano, il lungosenna per Parigi, le viuzze attorno le sedi della politica per Roma. Qui c’è London Fields, parchetto spelacchiato e quindi amatissimo vittima dell’equivoco storico di un omonimo libro di Martin Amis ambientato in tutt’altra parte della capitale. London Fields è il cuore di una gemma di quartiere incastonata in una delle zone più deprivate e povere della città, un contrasto evidente lungo la lingua di strada che di solito ospita il Broadway Market ogni sabato e che ai suoi lati comprende rosterie di caffè colombiano, un’iconica pescheria, due librerie di nicchia, enoteche e negozi di alimentari hipster, un ristorante italiano talmente tradizionalista da esporre barattoli di pomodoro pelati, un notevole locale di cucina fusion jap-pacifica. Più in là, in uno spiazzo colorato camioncini riforniscono di burger, ravioli in più salse e bao coreani chi si dirige al parco o è reduce da una nuotata outdoor al Lido. Un arcobaleno di gusti al quale è venuto a mancare il tocco classico East London del negozio di pie and mash F Cooke, chiuso poco prima della pandemia dopo 120 anni di servizio, e sul compensato in legno che serra i finestroni l’esilarante firma “RIP proper Cockney grub” riassume nel maligno aggettivo sovranista “proper” la reazione alla gentrification necessaria ma spesso aggressiva in questa parte di metropoli.

Ai pub, ai pub dunque! Solo all’esterno, massimo in sei o in due nuclei abitativi, raccomandata prenotazione con tavolo riservato a tempo altrimenti fuori della porta ci sono file che solo autoctoni da mille generazioni possono sopportare. Proprio in un angolo di London Fields c’è il locale più pronto alla ripartenza di tutti, avendo Pub on the Park un paio di terrazze enormi con una celebre vista sul parco che tiene fede al nome. C’è chi non aveva riaperto nemmeno nel luglio-dicembre, come l’adorato Shacklewell Arms che nella sua ambientazione cheap Hawaii programma già il consueto cartellone di band emergenti. Per buona parte dei ristoranti, invece, non vale lo stesso discorso: il tempo inclemente e gli affitti astronomici di Londra non hanno mai reso molto vincente l’opzione di aggiungere metratura all’aria aperta. Alcuni hanno sfruttato un angolo chiuso al traffico spostando i tavolini in mezzo alla strada magari sotto ombrelloni da riviera o gazebo, come si nota nelle foto da Soho che avete tutti osservato sospirando, ma la maggior parte dovrebbe tornare a pieno regime al prossimo giro di riaperture del 17 maggio, quando rispettando il ciclo di quattro settimane per analizzare i dati della progressione del contagio e una per comunicazione al pubblico dovrebbe toccare agli spazi interni, inclusi quindi cinema, teatri e concerti seppur con distanziamento già previsto.

Non c’è ancora una data, però, per il momento che simboleggerà l’autentico ritorno alla normalità, ovverosia la ricomparsa dei divanetti nello show di Graham Norton del venerdì sera dove gli ospiti si assembrano scambiandosi aneddoti, sketch e promozioni. Per ora, ci accontentiamo di questo lontano e costante vociare proveniente dalla strada, sottofondo che non pensavamo di rimpiangere dai nostri lavori da casa nella metropoli che è tornata a governare il tempo che fugge.