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08:17 giovedì 18 settembre 2025
Nel nuovo film di Carlo Verdone ci sarà anche Karla Sofía Gascón, la protagonista caduta in disgrazia di Emilia Pérez La notizia ha permesso a Scuola di seduzione di finire addirittura tra le breaking news di Variety.
Enzo Iacchetti che urla «Cos’hai detto, stronzo? Vengo giù e ti prendo a pugni» è diventato l’idolo di internet Il suo sbrocco a È sempre Cartabianca sul genocidio a Gaza lo ha fatto diventare l'uomo più amato (e memato) sui social.
Ci sono anche Annie Ernaux e Sally Rooney tra coloro che hanno chiesto a Macron di ripristinare il programma per evacuare scrittori e artisti da Gaza E assieme a loro hanno firmato l'appello anche Abdulrazak Gurnah, Mathias Énard, Naomi Klein, Deborah Levy e molti altri.
Per Tyler Robinson, l’uomo accusato dell’omicidio di Charlie Kirk, verrà chiesta la pena di morte  La procura lo ha accusato di omicidio aggravato, reato per il quale il codice penale dello Utah prevede la pena capitale. 
Una editorialista del Washington Post è stata licenziata per delle dichiarazioni contro Charlie Kirk Karen Attiah ha scoperto di essere diventata ex editorialista del giornale proprio dopo aver fatto sui social commenti molto critici verso Kirk.
In Nepal hanno nominato una nuova Presidente del Consiglio anche grazie a un referendum su Discord Per la prima volta nella storia, una piattaforma pensata per tutt'altro scopo ha contribuito all'elezione di un Primo ministro.
Amanda Knox è la prima ospite della nuova stagione del podcast di Gwyneth Paltrow Un’intervista il cui scopo, secondo Paltrow, è «restituire ad Amanda la sua voce», ma anche permetterle di promuovere il suo Substack.
Luigi Mangione non è più accusato di terrorismo ma rischia comunque la pena di morte L'accusa di terrorismo è caduta nel processo in corso nello Stato di New York, ma è in quello federale che Mangione rischia la pena capitale.

Perché i grandi brand stanno togliendo le parole dai loghi

09 Settembre 2016

Mastercard ha rivelato il suo nuovo logo in estate: al centro sono rimasti i due cerchi, quello rosso e quello giallo, ma il nome del brand per la prima volta appare al di sotto del simbolo. Un primo passo verso un futuro – già annunciato – che prevede la scomparsa completa del nome della compagnia. Quella di Mastercard non è una novità assoluta: molte aziende hanno già fatto una cosa simile in passato. Nel 1995 fu la Nike a cancellare il nome, lasciando il suo simbolo, il celebre swoosh, accompagnato soltanto da tre parole, «Just Do it», che negli anni sono poi scomparse completamente. Lo stesso hanno fatto anche Apple e McDonald’s, che sono passate dall’usare i loro slogan «Think different» e «I’m loving it» all’eliminare completamente le lettere dai loghi.

Secondo The Atlantic ci sono varie motivazioni dietro a questa scelta. Innanzitutto, rispetto a frasi più o meno lunghe, i simboli oggi funzionano meglio sugli schermi dei computer e sulle app, e garantiscono una maggiore flessibilità alla compagnia. Se, infatti, associamo nomi come MasterCard e Starbucks, ad esempio, a prodotti specifici, i loro loghi invece hanno un potenziale più ampio che gli permette di espandersi ad altri campi senza creare troppa confusione nei clienti.

Nike

Un simbolo, a differenza delle parole, non ha bisogno di traduzioni, e può oltrepassare i confini linguistici e geografici più facilmente. E soprattutto, tolte le motivazioni pratiche, il motivo principale per cui i loghi hanno sempre meno lettere riguarda il rapporto che i consumatori hanno col brand. «I clienti sono esausti in un modo in cui non lo erano decenni fa. È più difficile attrarli, perché tendono a vedere oltre le strategie di marketing» ha commentato Adam Alter, un professore di marketing alla New York University. Secondo Alter, uno dei metodi per attirare questo tipo di pubblico è il “debranding”, o “decorporatizing”, una strategia basata su un approccio più sottile, che può funzionare soltanto quando questo è molto conosciuto. Secondo gli esperti di marketing, i loghi puramente visivi possono avvicinare le aziende ai consumatori suscitando reazioni più immediate e personali. «I ricercatori hanno dimostrato che l’uso di immagini aumenta l’attenzione dei clienti e li porta a interpretare i messaggi delle pubblicità in modo più attivo» ha detto Jill J. Avery della Harvard Business School.

Un esempio di debranding è quello di Coca Cola e la campagna «Share a Coke», con cui ha sostituito il suo nome con quello dei potenziali clienti. La campagna ha aumentato del 2% le vendite, invertendo un declino che andava avanti da oltre dieci anni. Non va sempre così bene, però: anni fa la Sony ha pubblicato un dvd senza logo di Uomini che odiano le donne: i clienti, non vedendo il marchio della società giapponese, in diversi casi hanno pensato si trattasse di un falso e l’hanno restituito.

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