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Sesso, potere e nudi salvati sul telefono secondo Lillian Fishman

Intervista alla scrittrice, in Italia per presentare il suo romanzo d'esordio: Servirsi.

di Valentina Della Seta

«A volte ci convinciamo di avere visto cose che non esistono». Lillian Fishman dice questa frase qualche minuto prima di iniziare una conversazione sul suo romanzo di esordio Servirsi. Sono le undici di mattina di un giorno caldo in una stanza luminosa nella sede della casa editrice e/o, dentro un bel palazzo di una strada non molto trafficata nel quartiere Prati a Roma. C’è l’editrice Eva Ferri, un’addetta stampa e un’altra scrittrice che è venuta a intervistare Fishman prima di me. Le parole di Fishman sono riferite a qualcosa di poco importante, scivolano tra le chiacchiere volatili di persone che si sono appena incontrate e le dimentico subito. Ma mi tornano in mente mentre trascrivo le risposte alle domande su Servirsi (uscito in Usa e Germania in contemporanea a maggio, a fine giugno in Italia con traduzione di Silvia Montis, e ai primi di luglio in UK), recensito con entusiasmo trasversale nelle pagine di critica culturale e su Tik Tok.

«Nel mio primo libro avrei voluto scrivere di qualcosa che non fosse legato al corpo, al sesso e al potere, ma questa storia non mi lasciava in pace» dice Fishman. Servirsi è narrato in prima persona da Eve, una ragazza queer della stessa età e provenienza di Fishman – ventisette anni, ricca cittadina del Massachusetts – che vive a New York, lavora in una caffetteria, abita con un’amica di nome Fatima e sta insieme alla medica Romi, che la adora e la va a prendere al lavoro munita di ombrello quando piove. La prima volta che la vediamo, Eve ci sta raccontando un segreto: «Avevo centinaia di nudi salvati sul telefono ma non li avevo mai mandati a nessuno». Poco dopo, decide di caricare alcune foto in rete. La mattina trova una montagna di messaggi e risponde a Olivia. Le sembra garbata, ma soprattutto è una ragazza. Ma Olivia, quando si conoscono, rivela di agire anche per conto di Nathan, il suo datore di lavoro e amante. Eve accetta di incontrarli insieme e si ritrova ad avere a che fare con qualcosa che va contro la sua appartenenza politica e sentimentale alla comunità queer: il desiderio nei confronti di un maschio. Un maschio giovane, affascinante, ricco (e abbastanza fastidioso, nella sua arroganza e certezza di potersi togliere ogni sfizio con uno schiocco di dita).

Qui Servirsi avrebbe potuto diventare facilmente un romanzo basato sulla convinzione di avere visto cose che non esistono. A me sono sempre piaciuti, i romanzi di struggimento e privazione, con la protagonista che fantastica su un’attrazione che crede corrisposta e non lo è mai. Negli anni sono stata al fianco di Eugenie Grandet e Emma Bovary, al fianco di Jay Gatsby. Ho consumato le pagine, ho coltivato amori fatti di attesa e di vuoti da riempire con l’immaginazione.

Al contrario, Eve in Servirsi ha una voce implacabile e analizza sé stessa e gli altri personaggi con spietata lucidità e consapevolezza teoretica: «Per la mia formazione accademica tendo naturalmente a scrivere in uno stile da saggistica filosofica: il libro era pieno di analisi. Ma le prime persone che lo hanno letto mi hanno consigliato di rendere il materiale più organicamente fuso dentro l’azione di ogni scena».

Quanto tempo ci è voluto per finire il libro?
La prima stesura era di quattrocento pagine, il doppio di adesso. L’ho scritta di getto in sei mesi. Ho passato più di due anni ad appaiare le scene e il problema che presentavano, quello su cui volevo argomentare. Trovare una struttura e mettere insieme l’arco narrativo è stata la parte più difficile».

Come hai trovato la voce di Eve, che hai definito “implacabile”?
Trovare la sua voce è stata la parte che mi è venuta più naturale, ho scritto tanto con questa voce prima di capire quali sarebbero state le scene centrali del romanzo.

Eve pensa di abitare in un romanzo queer, ha una ragazza e va a questo appuntamento al buio perché è attratta da Olivia. Ma poi Nathan si prende tutto lo spazio, mettendola in crisi. «Quando ero sotto di lui mi accorgevo di essere esausta di tutte le incertezze del romanticismo: di aspettare, sperare, convincere, tentare, persino di riuscire», scrivi a un certo punto.
Mi interessava pormi delle domande sulla natura dei rapporti senza per forza dover trovare delle risposte. E questo vale anche per Eve, che affronta un problema che per qualcuno non significa nulla. Ma si tratta di questioni centrali per le femministe delle varie ondate, che si sono chieste ad esempio se possa esistere il piacere sotto il patriarcato, o hanno indagato temi come il consenso e la negoziazione. In ogni caso credo sia difficile, dopo che ti sei costruita un’idea di te stessa come radicale e come parte di una comunità che ti sei scelta e in cui ti sei formata attivamente, mettere in crisi quel tipo di appartenenza. Ma oggi stiamo entrando in una cultura queer che è molto più flessibile.

Eve ammette e rivendica la superficialità e la vanità, due caratteristiche che tendiamo a considerare negative. Nelle prime pagine dice (ed è forse la mia frase preferita del libro, per come apre finestre su infiniti mondi): «Non c’era niente mi interessasse di più di una ragazza carina per strada».
In realtà Eve si vergogna di queste caratteristiche, le ammette ma le nasconde. Per questo l’incontro con Nathan è importante, Nathan le fa capire che è tutto accettabile, che fa parte di quello che siamo. Nella cultura americana, ma credo che succeda anche qui, si tende a distinguere tra vanità e amore per sé stessi. L’amore per sé stessi comprende l’accettazione delle caratteristiche che non ci piacciono, si conquista, si fatica per averlo, e allora è etico, va bene. Ma se ti godi la tua bellezza, qualcosa che hai avuto in dono dalla vita, è immorale e vergognoso. Eve vuole uscire da questa concezione puritana per cui puoi godere solo le cose che ti sei meritata.

In molta letteratura contemporanea il sesso rappresenta un mezzo per scoprire il centro più autentico delle persone. Pensi che sia così?
Vale per qualcuno forse, non per tutte e tutti. Quando sei giovane tramite il sesso vivi delle trasformazioni sorprendenti e scopri molte cose. Per Eve il sesso è utile nel contesto di una relazione in cui può avere delle conversazioni molto oneste che portano all’intimità. In generale risponderei di no, è una questione troppo personale.

Sei in tour per promuovere il tuo primo libro, che effetto ti fa scoprire la parte performativa della vita da scrittrice?
Sono una persona riservata, non ho profili social pubblici. Sono molto onorata e felice dell’attenzione che sta ricevendo il libro, ma questa parte della cosa mi mette un po’ in crisi. Non credo che parlare in pubblico sia un mio punto di forza. D’altra parte è uno dei motivi per cui ho scelto la scrittura: ti dà molto tempo per pensare e ripensare a quello che cerchi di dire. Avere poco tempo mi fa paura. Vorrei che l’interesse delle persone fosse rivolto all’oggetto artistico e non a chi lo ha creato.

Ti faccio solo una domanda che non riguarda strettamente il libro. Come ti fa sentire, da persona americana con un utero, l’abortion ban?
Mi fa sentire malissimo. Penso sia una tragedia. E non è un caso che arrivi proprio adesso, come un backlash per contrastare la rivoluzione culturale e sociale in atto. Temo che la prossima frontiera riguarderà il matrimonio gay e i diritti delle persone trans.