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Perché Instagram vuole eliminare i like

Il test partito anche in Italia lo scorso luglio è stato esteso in tutto il mondo. Tra psicologia, business e controllo, le ragioni della rimozione dei cuori.

di Federico Gennari Santori

Una donna guarda il suo smartphone mentre cammina in una stazione ferroviaria a Bangkok (foto di Nicolas Asfouri /Afp/Getty)

Sembra proprio che anche una delle poche certezze che nell’era della post-verità ci erano rimaste stia per venire meno. Immaginate un web in cui i cuori e i pollici in su che oggi monitoriamo non rappresentino più un’ansia. Un mondo in cui il like non sia più l’unità di misura del successo. Una trasformazione epocale per le modalità che ci hanno fatto scoprire e interiorizzare l’utilizzo dei social media. Ebbene, Instagram, la piattaforma che tra gioie e dolori dei suoi utenti genera più like di ogni altra (4,2 miliardi al giorno secondo SmashSocial) ci sta provando seriamente. La scorsa settimana l’app ha attivato anche negli Stati Uniti e nel resto del mondo il test per la rimozione del conteggio dei like sui post. Partito in Canada come progetto pilota, lo scorso 18 luglio era stato esteso ad Australia, Brasile, Giappone, Irlanda, Italia e Nuova Zelanda. Ora è ovunque. 

Dichiarazione di intenti
«L’idea è quella di depressurizzare il social network, renderlo meno competitivo e dare agli utenti più spazio per focalizzarsi sulla connessione con le persone che amano e le cose che li ispirano», ha dichiarato il ceo di Instagram Adam Mosseri. «Vogliamo che i tuoi amici si concentrino sulle foto e sui video che condividi, non su quanti like prendono», spiegava l’azienda in un tweet estivo, «puoi ancora vedere i like su un tuo post toccando l’elenco delle persone a cui è piaciuto, ma i tuoi amici non saranno in grado di vedere quanti sono». L’obiettivo dichiarato, dunque, è quello di migliorare l’esperienza che un miliardo di utenti nel mondo fanno per un periodo medio di 53 minuti al giorno (SimilarWeb, 2018) eliminando le diseguaglianze nel gradimento dei contenuti.

Gli elogi che il test ha ricevuto in rete fanno da contraltare alla montagna di studi su ansia, invidia e frustrazione prodotte dai social network (tra i primi, Il potere dei like nell’adolescenza dell’Università della California). Del resto, togliere terreno alle critiche e migliorare Instagram prima che diventi la locomotiva del suo gruppo è il minimo che Mark Zuckerberg possa fare dopo gli errori già commessi con Facebook e le ripercussioni che stanno avendo, dalla multa di 5 miliardi di dollari inflitta negli Stati Uniti ai controlli sempre più stringenti da parte delle istituzioni americane ed europee.

Ribadiamolo per dovere di cronaca: si tratta di un test. Gli indizi lasciano però intendere che Instagram sia decisa a ufficializzare questo cambiamento e che l’operazione rientri in una strategia più ampia. Quella strategia che Mark Zuckerberg ha lanciato nell’ultima conferenza F8, quando esordì dichiarando che «il futuro è privato». Fu proprio quella l’occasione in cui, non a caso, per la prima volta fu nominato il test sui like attualmente in corso.

Tra psicologia e business
Possiamo ipotizzare che la cancellazione del conteggio indurrà molti utenti a sentirsi liberi di pubblicare contenuti senza essere pesati sulla base dei like ottenuti. Così i più ansiosi prenderanno confidenza con i post, mentre i più vanitosi troveranno nella fugacità delle Storie la loro valvola di sfogo. L’assenza del contatore di cuoricini potrebbe persino favorire l’utilizzo dei commenti e dei messaggi diretti, assecondando l’ossessione di Zuckerberg, quella di «connettere le persone». Il risultato sarà un Instagram tendenzialmente più intimo, ma anche popolato da utenti più attivi e quindi più ricco di contenuti. Ed è qui che alla psicologia subentra il business. Il feed, che sia dei post o delle Storie, è come un’autostrada in costruzione, lungo la quale il concessionario può piazzare migliaia di cartelloni pubblicitari da mostrare ai viaggiatori. Avere molti utenti significa attrarne altri e ospitare molti contenuti significa di fatto creare nuovi spazi per l’advertising.

Ecco perché la manovra su Instagram ne ricorda un’altra, avvenuta circa due anni fa su Facebook, quando una modifica dell’algoritmo del News Feed ridusse pesantemente la visibilità dei post delle pagine aziendali in favore di quelli degli amici. Motivo? Disincentivare la passività degli utenti favorendo le interazioni private tra loro tra chat, eventi e gruppi, e spingere le aziende a fare investimenti pubblicitari per non sparire dalla piattaforma. Risultato? Da allora gli utenti di Facebook nel mondo sono quasi 200 milioni in più e i ricavi dell’azienda continuano a crescere nonostante lo scandalo di Cambridge Analytica e i suoi strascichi. Insomma, se è vero che la storia si ripete forse la pacchia sta per finire anche su Instagram: bisognerà iniziare a investire di più e – se anche il probabile incremento di post e Storie pubblicati dagli utenti attutirà l’impatto dei contenuti sponsorizzati in aumento – non mancheranno vittime.

Addio bot e falsi influencer
Facendo sfoggio dei propri like, gli influencer hanno costruito piccole e grandi fortune. Ma prima di loro saranno i bot a cadere. Si parla spesso dei fake che popolano Instagram seguendo, commentando e mettendo like. Beh, se loro e il giro d’affari che c’è dietro esistono è soltanto in virtù dell’ansia da conteggio che la piattaforma genera. Per emergere, molte aziende e aspiranti web star hanno alimentato una bolla di numeri totalmente falsi, che presto potrebbero non essere più visibili se non a loro stessi. Per tenere botta allora gli resterà soltanto una cosa da fare: dare soldi non ai bot ma a Instagram stesso. Lo stesso si può dire per i molti tool che permettono di monitorare il tasso d’interazione dei concorrenti: probabilmente la loro era è al tramonto.

Ma veniamo agli influencer. La fine di Chiara Ferragni è vicina? No. Ci vorrebbe ben altro per scalfire la notorietà sua e di quelli come lei. Come avvenuto su Facebook dopo il cambiamento dell’algoritmo, vinceranno i migliori (e probabilmente i più ricchi). Chi si è affidato ai bot, se non saprà reinventarsi o calibrare al meglio le proprie sponsorizzazioni, soccomberà. Ad andare avanti saranno le celebrità “vere”, che siano macro o micro: quelle che si sono caratterizzate per la qualità o l’originalità dei loro contenuti e che sono in grado di generare un interesse più forte del cosiddetto “effetto gregge”, per cui un conteggio elevato di like ne attira molti altri. Diverse celebrità statunitensi hanno criticato fortemente il test, presagendo un calo dei like e lamentando il fatto che su quel conteggio si basano le loro sponsorship. Secondo uno studio di HypeAuditor, nei Paesi in cui è stato attivato il test gli influencer di tutte le taglie hanno perso interazioni negli ultimi mesi. Per quelli con un numero di follower compreso tra 100mila e un milione si va dal -3,26% dell’Italia al -28,33% del Brasile. Unica eccezione il Giappone, dove si registra quasi un +7%.

Sono numeri notevoli, che non possono non allarmare i diretti interessati. Il punto, però, è che nei piani di Zuckerberg forse il like non dovrebbe più essere la misura del successo, quindi che gli utenti ne distribuiscano di meno non dovrebbe essere un grande problema perché non è la prova di un interesse autentico. In più, fare a pezzi l’influencer marketing non è nei suoi interessi: certi fenomeni non si possono arginare, l’importante è controllarli. Togliere di mezzo gli influencer falsi previene gli inserzionisti dai raggiri e rafforza la credibilità della piattaforma. E poi viene al pettine il nodo della visibilità dei dati, che potrebbe rappresentare un win-win per influencer/aziende e piattaforma. Se il conteggio dei like non è più visibile, chi garantisce all’inserzionista che l’influencer a cui si è affidato non gli fornisca dati gonfiati? Ecco allora che il ruolo di Instagram come intermediario, che moltissimi finora hanno bypassato, potrebbe diventare sostanziale. E se informare Instagram degli accordi commerciali tra influencer e aziende sarà l’unico modo per avere un accesso condiviso a metriche certe, questo sarà modo all’azienda di conoscere (e controllare) tutte le partnership attive. E, chissà, un domani di trattenere una percentuale.

Comuni mortali, algoritmi dèi
Eliminando il conteggio dei like Instagram fa una scelta di campo che sembra andare in direzione opposta a quella dell’app che sta portando all’estremo finzione e spettacolarizzazione nei contenuti: la cinese TikTok. Le modifiche dell’interfaccia cambieranno le modalità di utilizzo di Instagram in modo che diventino più autentiche e «private». Che cosa implicherà tutto ciò per i comuni mortali, oltre forse a una minor frustrazione? Anzitutto, invitare gli utenti a raccontare la loro vita ai follower senza vergogna e senza troppi artifici significa indurli a condividere sulla piattaforma una quantità ancora maggiore di informazioni personali, utili anche per allenare i sistemi di intelligenza artificiale e affinare la profilazione degli utenti a scopi pubblicitari. Se si somma questo all’aumento di contenuti e quindi di avvisi pubblicitari di cui parlavamo sopra, il risultato sono più profitti per l’azienda.

Con tutti i limiti del caso, infine, non dobbiamo dimenticare che contare i like è in fondo il criterio che per anni ci ha permesso di distinguere contenuti popolari e non, e di stabilire una gerarchia, per quanto fittizia. È ciò che, soprattutto, ha indirizzato le scelte di molte aziende nella definizione dei loro piani marketing. C’è da chiedersi che cosa sarà ora ad orientarci. Se Instagram non mostrerà al pubblico metriche diverse, è assai probabile che, dopo un iniziale spaesamento, non potremo che affidarci ancora di più agli algoritmi e alla selezione che curano su misura per noi, avendo meno criteri per misurare l’interessamento della community e quindi, giusto o sbagliato che sia, anche il nostro. Non ci resta che aspettare il responso del test. Grandi inserzionisti e influencer lo faranno con una certa impazienza.