Cultura | Cinema

Letterboxd salverà il cinema?

Diventata popolare durante la pandemia, l'app sta portando moltissimi utenti, soprattutto Gen Z, a riscoprire film di culto e classici del passato. Una comunità di cinefili sempre più numerosa alla quale ora si è unito anche Martin Scorsese.

di Francesco Gerardi

Come per tutto in questa epoca, la storia di Letterboxd consiste di due capitoli: prima della pandemia e dopo la pandemia. Prima della pandemia, Letterboxd era una carinissima e irrilevantissima app disegnata dai neozelandesi Matthew Buchanan e Karl von Randow. Web designer d’alto bordo, fondatori e proprietari della loro azienda (Cactuslab), cinefili nel tempo libero, Buchanan e von Randow lanciano Letterboxd nel 2011 per riempire un vuoto che nessuno fino a quel momento aveva avuto voglia di riempire: i bibliofili avevano Goodreads, gli amanti della fotografia Flickr, i cinefili invece erano dispersi in una diaspora che li aveva sparpagliati tra centinaia di app caserecce e siti sgangherati.

Letterboxd doveva essere un lavoro a tempo perso, un vanity project al quale dedicarsi se e quando ce ne fosse stata la voglia. È per questo che Buchanan e von Randow hanno realizzato la app nella sua versione più semplice, persino banale: meno offerta per loro – gli utenti – significa minore sforzo di mantenimento/manutenzione per noi. È così che hanno deciso di basare Letterboxd sul principio del minimo indispensabile: una app per valutare film – con un voto da una a cinque stelle – recensirli, consigliarli, catalogarli. Design essenziale, catalogo sterminato, una sola concessione alla vanità: a ogni film è associata la locandina, scelta che ha fatto dell’aggiungere i film visti alla propria lista Letterboxd un piacere collezionistico simile a quello di riempire un album di figurine. I primi a scaricare Letterboxd sono stati gli amici cinefili di Buchanan e von Radow: utile e carina, ma a chi volete che interessi una app per tenere traccia di una passione ormai minore, di un intrattenimento oggi secondario, fu il responso di questi primi beta tester.

Per i dieci anni successivi, Letterboxd è stato poco più di un club del cinema e dell’audiovisivo, un cineforum digitale. Tra i veterani dell’app c’è Mike D’Angelo, che di mestiere scrive recensioni di film per Entertainment Weekly ed Esquire. Al New York Times, D’Angelo ha raccontato in cosa consisteva il fascino di Letterboxd per i suoi utenti “anziani”: lui lo ha scoperto cercando un’applicazione che gli permettesse di creare una lista di tutti i film che aveva visto a partire dal 1992, nella quale potesse caricare le sue vecchie recensioni e scriverne di nuove, che giornali e riviste non gli avrebbero mai permesso di pubblicare. Questa è una delle caratteristiche che hanno fatto il successo, modesto ma pur sempre successo, di Letterboxd prima della pandemia: le sue recensioni. Chi c’era quando i blog erano la frontiera di internet legge nelle recensioni di Letterboxd lo stesso caos creativo fatto di punteggiatura ignorata, abuso di caps lock e pensieri in libertà. Ad avere il tempo e la pazienza di cercare, nella sezione Review si trovano perle. Le mie preferite: una recensione del Joker di Todd Philips in cui l’utente CloserLook Media spiega che «This happened to my buddy Eric» e una di American Psycho in cui Luke si autodenuncia dicendo che «la gente non ha idea di come io sia a tanto così dal fare le stesse cose». Non a caso, su KnowyourMeme c’è già una pagina dedicata alle Insane Letterboxd Reviews.

Uno dei motivi per i quali Letterboxd è stato così amato dalla sua prima generazione di utenti è questo: la possibilità di scrivere e leggere di cinema come in nessun’altra parte di internet, la capacità di tenere assieme la prolissità intellettualoide del blog e la comicità surreale (volontaria o no, vai a sapere) di Amazon Movie Reviews. Già prima della pandemia, per i cinefili Letterboxd aveva riempito il vuoto lasciato dai social media: il vuoto lasciato dai gruppi Facebook e dalla loro ripetitività, dalla seriosità logorroica dei thread Twitter, dai tediosi format ormai al limite del conformismo di Instagram e TikTok. Lo ha spiegato bene D’Angelo: «Qui non mi devo preoccupare di formalità come la sinossi. Posso fare battute e citazioni che solo una persona con una certa conoscenza cinematografica può capire. È una cosa che trovo liberatoria». Niente format, niente content, niente algoritmo, niente spunte colorate, niente “Nei per te”: queste recensioni – che su Letterboxd si sono evolute in una vera e propria forma d’intrattenimento – sono diventate un fenomeno nella maniera in cui ogni cosa lo diventava prima dell’enshittification di internet: per caso, come naturale conseguenza di una user base fedele, confusionaria e appassionata.

Arriviamo alla pandemia e alla trasformazione di Letterboxd nel «Tinder dei cinefili», come titolava un pezzo del Telegraph dello scorso agosto. Costretti a rimanere a casa, cinema chiusi fino a data da destinarsi, nuove uscite rimandate a chissà quando, gli immensi cataloghi delle piattaforme streaming a disposizione: ci vuole poco a mettere assieme i pezzi e capire perché Letterboxd sia passato da culto di nicchia a passione mainstream. Dal 2020 a oggi l’app ha raggiunto e superato i dieci milioni di utenti, numeri che hanno attirato compratori sempre più numerosi e facoltosi, attratti dalle fin lì inesplorate – Letterboxd è rimasto sostanzialmente identico per quasi quattordici anni, in design e funzionalità – potenzialità. Inesplorate per scelta precisa di Buchanan e von Randow, troppo avvezzi alle cose di internet per non sapere lo spiacevole finale della storia che comincia con la creazione di contenuti e la ricerca della monetizzazione. Ma è l’economia, bellezza: alla fine Buchanan e von Rudow hanno ceduto davanti all’offerta da cinquanta milioni di dollari fatta da Tiny, azienda canadese specializzata in acquisizioni di promettenti realtà.

La notizia del passaggio di proprietà ha prevedibilmente gettato nello sconforto gli utenti di Letterboxd, già rassegnati a un destino simile a quello di Bandcamp dopo l’acquisizione da parte di Epic, a una sentenza pari a quella inflitta a Twitter dopo l’arrivo di Elon Musk (è l’enshittification, bellezza). Buchanan e von Randow assicurano che non andrà così: loro due continueranno a sedere nel consiglio di amministrazione dell’azienda e saranno i custodi della sua missione. Nelle intenzioni dei fondatori, Letterboxd deve continuare a essere ciò che è diventata negli anni della pandemia: una app usata soprattutto da utenti giovani – il 50 per cento di chi usa Letterboxd ha meno di 35 anni, la metà di questo 50 per cento ha tra i 16 e i 24 anni – per scoprire film “vecchi” (tre quarti dei titoli che gli utenti inseriscono nelle loro liste dei film visti non sono nuove uscite né uscite recenti). Letterboxd, dicono Buchanan e von Randow, esiste per quegli utenti che nel 2022 hanno fatto di Va’ e vedi, sconvolgente film sovietico del 1985, capolavoro apocalittico ambientato nella Bielorussa occupata dai nazisti, il secondo film più popolare della piattaforma. Con effetti tangibili nel mondo reale: tanti biglietti strappati in proiezioni speciali organizzate per rispondere a una domanda tanto inaspettata.

Vedremo se Buchanan e von Randow riusciranno a mantenere la promessa. Nel frattempo, Letterboxd è già diventato un contenuto editoriale – da tempo ha una redazione, composta anche e soprattutto da utenti le cui recensioni sono state particolarmente apprezzate – e uno strumento di promozione. Sui social ormai è un’abitudine vedere video in cui le celebrity rispondono alla domanda sulla loro Top Four cinematografica, la stessa alla quale devono rispondere tutti i neo iscritti a Letterboxd prima di completare il loro profilo. Le stesse celebrity che cominciano anche loro a iscriversi alla piattaforma: Rian Johnson, il regista della saga di Knives Out, e Christopher McQuarrie, regista feticcio di Tom Cruise, sono stati tra i primi a farlo. Durante la promozione di Barbie tantissimi utenti si erano convinti che dietro l’account MaggieAckerley ci fosse Margot Robbie. Le prove: Maggie, diminutivo di Margot; Ackerley, il cognome del marito di Robbie, l’attore e produttore Tom Ackerley; il fatto che MaggieAckerley postasse solo liste che consigliavano film da vedere per capire meglio quelli con protagonista Robbie (nello specifico: Babylon e Barbie). Alla fine è dovuto intervenire il team di Letterboxd per smentire la cosa e disperdere la calca che si era creata attorno a MaggieAckerley.

Prova della popolarità acquisita da Letterboxd è però il fatto che nessuno trovasse così strano che una delle attrici più famose del mondo fosse un’utente attiva. Un’altra prova di questa popolarità è arrivata qualche settimana fa, con l’iscrizione alla piattaforma di Martin Scorsese. Nel pieno della campagna promozionale di Killers of the Flower Moon, il regista ha esordito su Letterboxd pubblicando due liste. Aspettiamo con ansia la sua prima recensione.