Attualità

L’era delle persone sole

Quando è diventato socialmente accettabile vivere da soli senza essere scambiati per pazzi? Come un cambiamento sociale ha stravolto le nostre vite (e si appresta a trasformare le nostre città).

di Pietro Minto

«L’uomo isolato, incapace di condividere i benefici dell’associazione politica o che non ha necessita di condividerli perché autosufficiente, non fa parte della polis, e dev’essere una bestia oppure un dio». Così Aristotele nel IV secolo a.C., discettando dell’uomo in quanto cittadino – e animale sociale, diremo oggi. La stravaganza che per millenni è stata associata al “vivere da soli” si è spesso trasformata, nel corso della Storia, in paura vera e propria: le piccole comunità antiche vivevano insieme o una contro l’altra. La figura del “solitario” era spesso l’anticamera del “nemico” – pazzi, criminali, streghe – o dell’asceta saggio e misterioso. Oggi invece è protagonista principale della nostra società.

Conosciamo tutti persone che vivono da sole. Sono giovani o di mezz’età e la loro “scelta” rappresenta quasi un lusso (una persona, un tetto, uno stipendio, un affitto). Sono anziani, la cui solitudine è spesso causate da fattori diversi e percepita diversamente, più come una costrizione che una scelta di vita. In entrambi i casi, chi abita da solo rappresenta secondo l’Istat (pdf) «una famiglia senza nuclei», precisamente una persona sola, il cui ruolo e significato nella società è cambiato molto in pochi decenni. Dal 1983 al 2011, sempre secondo l’Istat, la categoria delle «persone sole non vedove» è passata dal 5,7% al 17,7% della popolazione. E bisogna soffermarsi su quel «non vedove» per capirci qualcosa di più.

Matrimonio, lavoro e guerra sono state storicamente le tre grandi forze che nei secoli hanno spinto le persone fuori casa. La realtà italiana odierna la conosciamo: il numero di figli per nucleo famigliare è crollato, i figli se ne vanno di casa sempre più tardi e tendono a trasferirsi molto vicini ai genitori: «Le persone che hanno la madre che vive nello stesso caseggiato sono il 5,5%; l’11,9% ha la madre che abita entro un chilometro e l’11,2% nel resto del comune. In relazione alla distanza abitativa dal padre, i valori sono rispettivamente del 4,8%, 10,5% e 11%», rivela una recente ricerca “Famiglia e soggetti sociali” dell’Istat. Ma la categoria “persone sole” – come la burocrazia statistica l’ha crudelmente battezzata – non è solo composto da ventenni e trentenni in cerca di autonomia: riguarda soprattutto la mezza età. Ed è un fenomeno globale: nel Regno Unito una persona sessantenne su cinque vive sola (dati: National Statistics, 2011) mentre negli Usa il settore immobiliare dedicato alle “persone sole” rappresenta oggi il 27,5% del totale (era il 16,2% nel 1970, dati U.S. Census Bureau, 2012). Pratica diffusa soprattutto nelle zone più urbanizzate, il vivere da soli è passato in meno di un secolo da stramberia al limite della devianza a prassi accettata, dettata da esigenze personali. Ad estendere la pratica nelle fasce più vecchie della popolazione han contribuito il divorzio e la separazione (raddoppiati in Italia dal 2001 al 2011), che colpiscono economicamente e socialmente più le donne degli uomini.

Negli Usa il settore immobiliare dedicato alle “persone sole” rappresenta oggi il 27,5% del totale

È anche una rivoluzione urbanistica e architettonica perché ci vogliono più case, in ognuna delle quali abitano meno individui. Abitazioni più piccole? No, anzi. Succede soprattutto negli States, dove «i nuclei familiari diventano più piccoli mentre le loro case si ingrandiscono». Non tutte i Paesi sono però pronti a sopportare il dilagare di appartamenti singoli. Nel settembre 2013, per esempio, il governo turco ha avviato una nuova regolamentazione residenziale che, secondo alcuni commentatori, sembra pensata a costringere alla convivenza. Le nuove leggi «hanno vietato la creazione di nuovi monolocali rendendo obbligatorio per ciascun appartamento avere almeno una camera da letto, o “alcova”, separata di almeno otto metri quadri», scrive Vocativ. Ed ecco come abitare da soli può di trasformare una società. Dev’essersene reso conto il governo turco, che secondo alcuni critici vorrebbe con le nuove leggi conservare le tradizioni del Paese. La regolamentazione è fatta per colpire i più giovani e la loro ambizione. Sembra funzionare, sembra una legge fatta per incentivare matrimoni a fini immobiliari.

Torre David/Gran Horizonte by Justin McGuirk, Urban-Think Tank and Iwan Baan

L’era delle “persone sole” ha finito per cambiare anche l’idea di solitudine. La parola “monaco” deriva dal greco monos (solo, uno solo) e riassume bene la caratteristica primaria di quell’ordine clericale: l’isolamento. Ma rispecchia anche la solitudine umana atavica, fatta di villaggi e cittadine poco affollate (deserte per i canoni europei), abitati da famiglie enormi, comunità quasi tribali estese in cui la persona sola era spacciata, o pericolosa, o “non utile”. Nelle metropoli moderne è tutto diverso: a Istanbul, Roma, Pechino o New York si può vivere da soli senza essere veramente soli. Lo ha scoperto Eric Klinenberg, autore del saggio Going Solo, studiando statistiche e intervistando circa 300 persone sole, scoprendolo attive socialmente, con un ottimo numero d’amici e contatti sociali. Persone non meno sole di un membro di una famiglia numerosa.

Le grandi metropoli dovranno comunque affrontare questo problema, unito a quello della sovrappopolazione. E la Turchia non è l’unico Paese a farlo toccando corde edilizie. Non solo siamo in tanti ma ognuno di noi vuol vivere da solo, nella sua casetta personale anche se lo spazio metropolitano è finito: qualcosa andrà pur fatto. Prendiamo ad esempio il caso estremo di Seoul, capitale sudcoreana da 25 milioni di abitanti (la metà della popolazione del Paese) la cui opulenza sta diventando una maledizione. Qui si spera di evitare l’implosione cittadina con delle isole artificiali in grado di ospitare circa 100 mila persone oppure facendo della seconda città coreana, Sejong City, una vice-capitale, rendendola in qualche modo attrattiva per una parte della popolazione. Sembra l’equivalente urbanistico delle sanguisughe usate per abbassare la pressione sanguigna – e c’è chi pensa che l’isolamento di Sejong City sia un ostacolo insormontabile. Rimane poi il dubbio che in centri urbani sempre più congestionati e in continua espansione, vivere da soli, per quanto possa essere una scelta “non etica“, rimanga un’ambizione legittima, il desiderio ultimo di trovare un minimo di pace: entrare a casa, apprezzare la pace del proprio nido, godersi un po’ di solitudine loggandosi a Facebook.

Immagine: un momento de Il Ragazzo di Campagna, in cui Renato Pozzetto va a vivere da solo a Milano negli anni Ottanta; “la gattara”, personaggio dei Simpson, una persona disturbata che vive (non a caso?) da sola; un’immagine di una baraccopoli di Caracas (Justin McGuirk)