Attualità

L’era del G-zero

Secondo Ian Bremmer ci aspetta un futuro con più potenze mondiali ma nessuna superpotenza

di Fabrizio Goria

Articolo tratto dal numero 8 di Studio

 

Sarà l’incertezza a governare il mondo nei prossimi anni. E non sarà un caos creativo. Lo scenario economico, sebbene in costante mutazione, ha già dato alcune certezze. La crisi che sta flagellando l’Europa non è che il primo capitolo di un libro che ancora deve essere scritto, ma che avrà riscontri globali. Le prime avvisaglie già ci sono, già si possono percepire. Cina e Brasile, due fra le economie più floride degli ultimi vent’anni, hanno lottato duramente per evitare di essere gli unici a pagare per salvare l’eurozona. E quest’ultima ancora cerca una pace sempre più lontana, mentre gli Stati Uniti cercano di riprendere il cammino della crescita economica.

Benvenuti nel mondo del G-Zero. A coniare questo termine è Ian Bremmer, presidente dell’Eurasia Group e analista politico di lungo corso. Nel suo ultimo saggio Every nation for itself: winners and losers in a G-Zero World (230 pagg, Penguin Group), Bremmer traccia una mappa di quelli che saranno gli equilibri di potere fra le nazioni nei prossimi decenni. E, intrecciando i fili, emerge che dal G-20 si passerà al G-Zero, nel quale non ci saranno nazioni dominanti e dominate, ma tutte avranno un peso analogo. E tutte cercheranno di prevalere sulle altre. «Una guerra commerciale e finanziaria tra vecchi e nuovi poveri è già nata», spiega Bremmer. E non sembrano esserci soluzioni sostenibili per evitarla. Non un caso infatti che «per la prima volta in settant’anni non c’è un singolo potere oun’alleanza di poteri in grado di assumere la leadership globale».

Da un lato c’è l’Europa, invischiata in una crisi con radici ben più profonde di quanto si possa immaginare. Il settimanale britannico The Economist qualche settimana fa ha ricordato al mondo che quella europea «non è solo una crisi del debito sovrano». No, quella che sta vivendo il Vecchio continente è prima di tutto una crisi strutturale, che va a toccare tutti i settori sociali, dall’economia al welfare. Come ha sottolineato il presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi, «è morto il modello sociale europeo». Con la Grecia fallita di fatto, l’Irlanda e il Portogallo sotto il commissariamento del Fondo monetario internazionale (Fmi), Italia e Spagna nuove protagoniste diquesta fase della crisi, più Germania e Francia come potenziali vittime, l’eurozona ha dato dimostrazione che con questa struttura non può sopravvivere. Al posto della ricerca di una maggiore integrazione europea, i governanti stanno cercando delle scappatoie. Dall’altro lato ci sono gli Stati Uniti, che stanno cercando di risollevarsi dopo aver vissuto uno dei più grandi shock economici dai tempi della Grande depressione. A preoccupare Washington non è solo l’universo della finanza, impegnato in una lenta ristrutturazione, ma anche quello dell’economia reale. Il tasso di disoccupazione continua a salire e, se non fosse intervenuta la Federal Reserve lungo questi ultimi cinque anni, sarebbe ancora maggiore. Dopo due misure di stimolo per l’economia, la Fed guidata da Ben Bernanke potrebbeintervenire nuovamente nella seconda metà dell’anno. Ma quest’operazione implicherebbe un minor spazio di manovra per salvare nel caso la crisi europea peggiorasse ancora.

A margine, ma non troppo, ci sono i Brics, ovvero Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Dopo decenni di crescita economica quasi senza freni, stanno sperimentando per la prima volta un rallentamento. Se gli analisti finanziari sono d’accordo che Beijing avrà una frenata progressiva, i cui segnali già ora si possono scorgere, diverso potrebbe essere il destino degli altri Brics. I timori vertono specialmente su Brasile e India che, come fa notare Bremmer, sono state le due nazioni più contrarie a un incremento delle dotazioni del Fondo monetario internazionale per la creazione di un firewall in grado di proteggere l’Europa. Ipotesi confermata durante l’ultimo meeting di primavera del Fmi.

Infine, ci sono tutti i Paesi, come Vietnam, Mozambico, Turchia e Cile, che nei prossimi anni prenderanno il posto dei Brics. «La loro fame di potere e peso politico sarà uno dei leit motiv di questo decennio», afferma Bremmer, facendo anche notare come sarà proprio questa corsa a deteriorare in via ulteriore gli equilibri fra nazioni. A meno di sorprese non ci sarà un asse tanto forte quanto legittimamente riconosciuto in grado di sbilanciare gli equilibri e prendere il potere. «I Paesi occidentali non vorranno mai lasciare i loro scranni», avverte Bremmer, «e questo non farà che peggiorare la loro situazione».

Il mondo è cambiato. Bremmer non nega che davanti a noi ci saranno anni difficili, in cui l’individualismo degli Stati prenderà il posto dell’apparente solidarietà di questi ultimi vent’anni. «Non esistono più nazioni capaci di fornire pasti gratis», spiega Bremmer. Il motivo è facile da intuire. Dopo il fallimento di Lehman Brothers, la quarta banca statunitense crollata nel settembre 2008, il contagio è stato globale e ha costretto tutti a un ripensamento delle proprie posizioni nei confronti degli altri Paesi. E, avverte Bremmer, «ormai tutti pensano a se stessi e non si prevedono inversioni di tendenza nei prossimi anni». Ritorno al protezionismo, guerre valutarie, battaglie commerciali: il nuovo mondo è servito.