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Porno Le Corbusier

Storia di come la LC4, uno dei più noti oggetti di design del Novecento, sia diventata un elemento ricorrente sui set della pornografia mainstream.

di Caterina Capelli

La LC4 è una sedia molto famosa. Con la sua struttura reclinabile d’acciaio cromato, il materassino rivestito in pelle nera e la silhouette ondulata, è considerata un simbolo del design modernista degli anni ‘30, e l’incarnazione del “nuovo spirito” dell’abitare, modellato sulle forme del corpo umano e libero dai fronzoli delle arti decorative. La LC4 compare da sempre in libri e film d’autore, ed è una presenza costante nelle pagine dei magazine di design di tutto il mondo. E, a quanto pare, anche sul set di molti film porno.

Questo 20 novembre uscirà la terza ristampa di We Don’t Embroider Cushions Here, il successo editoriale pubblicato da Sammlung Preislos che nel 2017 ha rivelato il lato più kinky della lounge chair modernista disegnata da Le Corbusier, Charlotte Perriand e Pierre Jeanneret. Le autrici – gemelle misteriose classe 1995 che si fanno chiamare Augustine e Josephine Rockebrune, una reference al luogo dove Le Corbusier morì nel 1965 – hanno raccolto nel libro quasi duecento immagini della poltroncina usata come fuck-prop nel porno mainstream.

Il progetto è nato per caso. Cercando su Google foto dello scrittore americano Tom Wolfe, le Rockebrune si erano invece imbattute in una scena di sesso gay in atto sulla LC4. Avevano intuito che non si trattava di un caso isolato, e iniziato ad analizzare video su siti come PornHub simili. Ma dopo averne guardati un centinaio, spiegano, hanno «assunto una squadra di persone che lavorano su Internet con sede a Chandigarh, in India, per aiutarci col resto dei film. Guardare porno in grandi quantità corrompe un po’ la mente». Nel complesso, le curatrici sono riuscite a rintracciare più di 800 apparizioni della poltroncina in film per adulti. Certo, vedere la LC4 leccata da Sasha Grey fa un certo effetto, almeno per chi è abituato a trovarsi davanti questo classico del design in contesti più istituzionali. Ma il contrasto tra la serietà dell’oggetto e i threesome che vi avvengono sopra, sotto o di lato, è solo apparente.

Secondo Liara Roux – artista, ricercatrice, sex worker e autrice del libro Whore of New York – la chaise longue ha tutte le caratteristiche di un arredo Bdsm, e in effetti anch’io non ci ho messo molto a rintracciare i thread Reddit su come trasformare la propria “slutty LC4” in una vera e propria “bondage chair”. Per Roux, l’accostamento tra pelle nera e tubolare d’acciaio fa pensare a una “cavallina”, a un “fetish stick”, o qualche altro arredo costrittivo da sex dungeon. «La freddezza del metallo richiama un’esperienza sessuale distaccata», dice. «Probabilmente, le scene che ci vengono girate sopra non sono gli amplessi di una tenera coppia, ma un tipo di sesso iperperformativo».

Quando uscì, si disse che la LC4 aveva elevato gli standard della seduta in tubo metallico, affrancandola dagli ambienti medicali a cui era stata relegata per la sua freddezza, ritenuta inadatta agli ambienti domestici. Era nata come “relaxing machine”, ma nelle pagine di We Don’t Embroider Cushions Here, la LC4 sembra tutt’altro che rilassante, con le protagoniste legate alla sua struttura cromata in modi innaturali. «È un oggetto pensato per forzarti in posizioni scomode» dice Roux, «È eccitante proprio per questo». Charlotte Perriand sarebbe diventata una delle più grandi designer di sempre, ma quando nel 1927 si presentò nello studio di Le Corbusier col suo portfolio l’architetto la liquidò con una frase: «Noi non ricamiamo cuscini qui» — “We don’t embroider cushions here”, che ha ispirato il titolo del progetto. Per fortuna, tornò subito sui suoi passi, e da lì a poco iniziò con lei una delle collaborazioni più proficue e significative della sua carriera, da cui nacque proprio la LC4.

Con la sua figura atletica, un taglio di capelli da “monello”, e un’inclinazione a fare ginnastica all’aperto, Perriand incarnava davvero l’Esprit Nouveau dell’epoca. Amava farsi ritrarre con indosso una collana di cuscinetti a sfera cromati, che aveva realizzato lei stessa. «La chiamavo la mia collana di sfere, simbolo della mia adesione all’era delle macchine del XX secolo». A parte le tre sedie in acciaio tubolare che progettò con Le Corbusier e Pierre Jeanneret come membro del loro studio, il lavoro di Perriand – che include anche macro progetti come lo ski resort Les Arcs – è ancora poco conosciuto. Dopo l’occupazione nazista della Francia, la designer si traferì in Giappone, dove rimase per tutta la durata della seconda guerra mondiale, concentrandosi su una florida produzione di arredi in materiali naturali come legno e bambù. Nella sua lunga carriera, Perriand lavorò, oltre che in Francia e in Giappone, anche in Brasile, Congo, Inghilterra, Nuova Guinea Francese, Svizzera e Vietnam.

In We Don’t Embroider Cushions Here, Augustine e Josephine Rockebrune hanno puntato il riflettore sulla vita vera (e poco raccontata) della famosa chaise longue, provando a rendere un po’ di giustizia alla carriera di Charlotte Perriand, che sta ancora aspettando il giusto riconoscimento per la LC4, passata alla storia sotto la firma di Le Corbusier. Insieme a Eileen Gray e Lilly Reich, Perriand è infatti annoverata tra le “eroine” sottorappresentate del Movimento Moderno, le cui realizzazioni progettuali sono state eclissate dal lavoro di giganti riconosciuti: Mies van der Rohe e Le Corbusier. Da come era iniziato il loro rapporto, non è assurdo pensare che anche la designer fosse stata espropriata del suo successo dal capo, più famoso di lei. Ma restiamo nel mondo delle ipotesi, perché – nonostante l’architetto fosse un noto accumulatore di qualsiasi cosa riguardasse la sua attività – nel suo studio non si è mai trovato nulla circa le origini del progetto, e la paternità della LC4 è tutt’oggi discussa. Nel libro però, le autrici hanno attribuito i credits delle foto solo alle attrici presenti in scena: una sorta di “frecciatina” contro il torto subito dalla Perriand.

Dopo We Don’t Embroider Cushions Here, le Rockebrune hanno preso di mira altre icone del design contemporaneo. In How a Table Works l’operazione di ricerca, identificazione, catalogazione è stata compiuta sul coffee table di vetro e acciaio cromato E 1027 disegnato dalla designer irlandese Eileen Gray nel 1927, anch’esso iper rappresentato nel porno. Secondo Liara Roux, anche qui i motivi del successo pornografico del tavolino sono da ricercare nel materiale: è la predominanza del vetro a rendere sexy, più o meno consapevolmente, il design di Eileen Gray. «Il vetro ha sia una componente riflettente, che è facilmente sessualizzata – un esibizionista ama avere uno specchio vicino al letto – sia un elemento voyeuristico che ti fa sentire come se stessi spiando attraverso qualcosa.»

Roux – che ha un paper in uscita per Nieuwe Instituut / PIN-UP Magazine sul rapporto tra sesso e architettura – spiega di aver vissuto per anni in un edificio realizzato da Richard Meier, l’archistar “cancellata” dal movimento #metoo dopo essere stato accusato di mostrarsi alle proprie dipendenti senza consenso. Meier è noto per l’uso importante del vetro, e Roux non può fare a meno di vederci un atteggiamento voyeuristico. «Si parla degli edifici realizzati da Richard Meier come “architettura esibizionista”. Ho vissuto in uno dei suoi palazzi per un periodo. La mia camera confinava col salotto dei vicini, e le pareti erano tutte di vetro. Mentre facevo sesso potevo vedere dall’altra parte la famiglia dei vicini seduta a cena», racconta. «Costruire case interamente in vetro in città enormi dove ci sono migliaia di passanti ogni giorno, vuol dire progettare uno stile di vita molto esibizionista».

L’uso di arredi iconici e costosi nel porno non è una sorpresa per Roux, un’insider, che spiega come molte case di produzione oggi «facciano molta attenzione al setting, affittando enormi ville sulle hills di Hollywood e scegliendo arredi che comunichino benessere economico». E questo ha a che fare con la rappresentazione del potere. Un potere prevalentemente maschile, lo stesso che ritroviamo nelle pagine di We Don’t Embroider Cushions Here. Oggi la LC4 torna a farsi vedere proprio nel porno mainstream, incarnando ciò da cui il suo destino è stato maggiormente influenzato: le dinamiche di potere. E il porno, come sottolinea Polly Barton in questa intervista, non fa altro che mettere in scena i “feticci del patriarcato”. Sarebbe andata diversamente se la Perriand fosse stata celebrata da subito come legittima proprietaria di questo grande successo?

Nota: Liara Roux è una persona queer che usa i pronomi “they/them”. Con il suo consenso, abbiamo scelto di riferirci a Roux con pronomi femminili, dato che l’italiano non prevede forme codificate per riferirsi a persone non binarie.