Attualità

La sfida di Renzi

Si può muovere qualsiasi tipo di critica al Sindaco di Firenze, tranne quella dell'inconsitenza programmatica.

di Federico Sarica

Alle 12.15 di un giovedì di metà settembre, ieri, a Verona è iniziata la corsa elettorale per diventare il candidato premier del Pd di Matteo Renzi, il sindaco di Firenze che vanta le maggiori richieste di chiarimenti sul programma con cui intenderebbe governare degli ultimi 64 anni (a parte quello di Marco Rizzo che vuole il governo dei soviet, come ha raccontato a La7 quest’estate, non mi sembrano così delineati nella forma e nella sostanza i programmi dei vari Bersani, Casini, Vendola, Alfano, Berlusconi, di cui però sappiamo tutto su come la pensano su alleanze e formule algebriche dei vari patti fra moderati, moderati un po’ di meno, progressisti, montiani con la riga destra e montiani con la riga a sinistra, eccitante).

Dello scandalo del camper in doppia fila vi hanno già ampiamente riferito i giornali con la schiena dritta, la barra al centro e il colonnino morboso a destra, come vi hanno riferito dell’intenzione del sindaco di provare a farsi votare anche da chi non ha scelto il centrosinistra alle ultime elezioni (ah, quello che non vi hanno detto in molti è che Renzi ha specificato di voler i voti della destra alle politiche non alle primarie, “che è bene che ognuno si faccia le sue”, quindi evitatevi la fatica di leggere i pezzi allarmati sulle regole delle primarie da bullonare e proteggere dall’avanzata dei nuovi nemici del popolo, i berluscon-renziani).

 

Inutile sottolineare che per me i punti rilevanti di quanto ufficializzato ieri nel buon discorso (un filo macchinoso, ma d’altronde quando ti chiedono il programma ogni 32 secondi, alla fine qualcosa devi spiegare e il rischio è di annoiare) sono ben altri: la rottamazione dei simboli e delle battaglie ormai scadute di una sinistra vecchia in un mondo che non esiste più – ieri è stato esplicito il riferimento critico al ’68 e a ciò che ha prodotto; il tentativo di declinare una versione italiana di quel che le migliori esperienze democratiche in giro per il mondo hanno capito da anni e cioè che l’idea di una società dove gli individui hanno pari opportunità passa dallo scardinamento di alcuni moloch che si chiamano egualitarismo senza se e senza ma (che è l’opposto del merito), invadenza di uno stato che spende troppo e soprattutto male, e l’idea di futuro usato a mo’ di discarica (una delle immagini a mio avviso più vincenti di queste prime parole d’ordine renziane). Son cose grosse, lampanti, con cui si può essere d’accordo o meno, sostenerle o combatterle. Tutto legittimo, ma la critica che non sia chiaro dove vogliano parare Renzi e i suoi fa francamente ridere.

Con tutte le sfumature possibili in mezzo – e ben vengano, è la politica bellezza – è infatti ormai chiaro che sono in campo, non solo qui ma in tutta Europa, due ricette ben distinte da come si esce da questa situazione economica brutta in cui ci siamo cacciati da molto prima che fallisse Lehman Brothers: la prima è grosso modo lasciare che ci pensi lo stato a cacciare fuori il grano per tutti e, al grido perenne di “Giù le mani da”, intanto saldare e potenziare una rete di protezione e diritti pensata molte decine di anni fa. La seconda è mettere a dieta la voracità degli enormi debiti pubblici e intanto provare, faticosamente e senza certezze in tasca, a ridisegnare modelli di sviluppo e crescita coraggiosi che liberino le tante potenziali energie esistenti (che il risparmio privato in Italia sia molto elevato è un fatto e non un’opinione) affiancandoli a un totale ripensamento in chiave contemporanea di ciò che chiamiamo welfare.

Mi pare molto semplice. Semplice a tal punto che, ne parlavamo ieri sulle scalinate in attesa del camper (si, l’ha già usato Craxi, e “Adesso!” l’ha già usato Franceschini, yawn), molti pensano che questa prossima campagna elettorale sia del tutto inutile che tanto la politica economica la farà Bruxelles per tutti.

Vero. A maggior ragione ha quindi ancora più senso, a mio avviso, distinguere fra chi promette di poter fare da sé aprendo i cordoni della borsa statale (l’ha fatto Hollande, oggi in piena marcia indietro) e chi invece dice che la dieta imposta dall’Europa è necessaria e continuerà e intanto però, che poi è il compito della politica, prova a immaginare cosa mangeremo dopo. Nel futuro. Che per inciso rimane un concetto vuoto, astratto e nuovista solo per quelli che fino a oggi, del futuro, se ne sono bellamente fregati le mani.