Attualità

La seconda volta di Salinger

Il libro/documentario di David Shields e Shane Salerno fa nuova luce sulla figura di uno degli autori più misteriosi e amati della letteratura mondiale.

di Fabio Guarnaccia

Dopo aver affrontato Salinger, il libro/documentario di David Shields e Shane Salerno, si prova la sensazione di aver tolto di mezzo molti segreti che hanno avvolto la vita dello scrittore newyorkese. Una sensazione che a ben vedere dura un battito di ciglia perché subito nuovi misteri, ancora più grossi, vengono fuori con l’aria di voler essere definitivi.
Diciamo subito che di Salinger scrittore al duo Shields e Salerno interessa poco o nulla. L’autore de Il Giovane Holden viene indagato più che altro come un rompicapo da risolvere, con tutti i limiti che questo approccio comporta. Per farlo hanno realizzato più di 200 interviste assemblate nel libro, come nel documentario omonimo, in modo che la testimonianza di un vicino di casa, di un “amico” del 1948 e di un divo di Hollywood contribuiscano a formare una rete di opinioni dalla quale risulta impossibile districare i fatti. Una forza, però, il lavoro ce l’ha. La chiarezza con la quale risponde a queste tre domande: perché Salinger ha smesso di pubblicare? Quali sono i motivi della sua scomparsa dal mondo? Che cosa ha scritto negli ultimi 45 anni della sua vita?

Per farlo, gli autori hanno individuato due momenti centrali nella vita dello scrittore: l’esperienza di soldato nella Seconda Guerra mondiale e l’incontro con il Vedanta, religione sviluppata da Sri Ramakrishna nel XIX secolo. La tesi è la seguente: la guerra ha distrutto l’uomo ma ha creato lo scrittore, il Vedanta ha curato l’uomo ma lo ha sottratto al mondo.
In tutti questi anni Salinger ha continuato a scrivere ogni giorno della sua vita lasciandoci almeno cinque libri pronti per la pubblicazione post mortem, tra questi ci sarebbe proprio un manuale sul Vedanta. Su questo aspetto della vita e dell’opera di Salinger di solito si tende a glissare, magari malcelando un po’ di imbarazzo per la sua deriva mistica. Ma la religione riveste un ruolo troppo importante nella sua opera, edita e non, perché possa essere liquidata con una semplice alzata di spalle.

Il Gospel di Sri Ramakrishna, il libro che ha diffuso il Vedanta in Occidente, è stato pubblicato dal Ramakrishna e Vivekananda Center di New York nel 1942. La sede del centro sorgeva proprio dietro la casa dei genitori di Salinger a Park Avenue, con esso l’autore ha mantenuto per tutta la vita un rapporto intenso, come testimoniato da numerose lettere. Salinger disse che Il Gospel era l’opera religiosa più importante del secolo e che la sua lettura aveva provocato in lui un cambiamento profondo e definitivo. In Hapworth 16, 1924 fece dire al suo personaggio feticcio Seymour Glass che Vivekananda, lo swami che diffuse il Vedanta in Occidente, era: «Uno dei più eccitanti, originali e dotati giganti di questo secolo». Secondo Shields e Salerno sarebbe stato proprio questo libro la ragione del suo clamoroso ritiro dal mondo. Ma cosa insegna Il Gospel di Sri Ramakrishna? Ovviamente non è possibile affrontare qui la saggezza e la complessità di quest’opera che affonda le sue radici nei Veda e in altri testi sacri dell’Induismo e del Buddhismo. Possiamo però limitarci a riportare alcune sue convinzioni di fondo. Ramakrishna crede che ogni religione fornisca alle anime più sincere una strada per arrivare a Dio. Per raggiungere questo obiettivo, però, l’uomo deve meditare e possedere un forte spirito di rinuncia alle cose terrene e vivere in solitudine.

Dopo Il Giovane Holden Salinger ha deciso, affermano Shields e Salerno, di mettere la propria scrittura al servizio del Vedanta, di diventarne un profeta e di offrire ai molti ragazzini protagonisti dei suoi racconti, e ai suoi lettori, una via di salvezza

I racconti di Salinger, com’è noto, sono pieni di personaggi alla ricerca di Dio. In Franny e Zooey, Zooey dice alla sorella: «Puoi dire la preghiera a Gesù da adesso fino al giorno del giudizio, ma se non riesci a capire che nella vita religiosa l’unica cosa che conta è il distacco non vedo proprio come potresti andare avanti anche di un solo centimetro. Distacco, sorellina, nient’altro che distacco. Assenza di desideri. “Astensione da ogni brama”».
Il distacco è centrale sia nell’Induismo sia nel Buddhismo, ma non corrisponde alla rinuncia di ogni azione o del lavoro. Non comporta, nel caso che ci interessa qui, la rinuncia alla scrittura ma solo all’attaccamento ai risultati: pubblicazioni e fama. Non è un caso che Salinger faccia leggere a Zooey proprio questa citazione del Baghavad Gita sulla lavagna in Eternit nella stanza di Seymour: «Tu hai diritto di lavorare, ma solo per il piacere di lavorare. Non hai diritto ai frutti del tuo lavoro». Affermazione che ricorre molte volte nel vangelo di Krishna come nel lavoro di Salinger, se ne possono trovare esempi in Teddy, in Alzate l’architrave, carpentieri e Seymour. Introduzione, in Hapworth 16, 1924 e ovviamente in Franny e Zooey.

Dopo Il Giovane Holden Salinger ha deciso, affermano Shields e Salerno, di mettere la propria scrittura al servizio del Vedanta, di diventarne un profeta e di offrire ai molti ragazzini protagonisti dei suoi racconti, e ai suoi lettori, una via di salvezza. Se la rabbia di Caulfield rimane senza soluzione, dopo l’incontro con il Vedanta la soluzione è la religione. Nei suoi racconti parla al lettore con la saggezza di qualcuno che ha appena finito di tribolare con i suoi stessi problemi, con tutta la comprensione e l’aiuto possibili. Nella biografia dal titolo In cerca di Salinger (minimum fax, 2001), Ian Hamilton scrive: «Ora, con l’aiuto di Vivekananda, Salinger può offrire all’innocenza un libro di regole: non devi crescere se non lo vuoi; e non devi nemmeno morire».

Il primo gennaio 1953, il giorno del suo compleanno, Salinger si trasferì nella casa di Cornish, New Hampshire. Una casa priva di elettricità e di acqua calda. Aveva 34 anni. Da allora fino alla fine, con alcune interruzioni, ha cercato di tenere il mondo fuori dalla sua vita. Ha continuato a scrivere senza sentire il bisogno di pubblicare e ha meditato. Come afferma in chiusura della lettera alla sua giovane amante Joyce Maynard: «I always was a poor yogi. It somethimes seemed to me all my real yoga was knowing that».
L’intera faccenda sembrerebbe chiusa, persino chiara se osservata da questa angolazione. Ogni mistero sembrerebbe svanire, lasciando spazio solo a un sentimento di rispetto e di attesa per i suoi inediti. Questo, se non altro, è quello che lascia intendere il lavoro di Shields e Salerno. Ma le cose non stanno affatto così.

Il 24 luglio 2008 Salinger ha creato il J.D. Salinger Literary Trust che detiene il copyright della sue opere, edite e non. Oltre ad assicurarsi che nessun film verrà mai tratto da Il giovane Holden, il trust ha il compito di gestire la pubblicazione degli inediti secondo una precisa scansione temporale voluta dall’autore. Le opere in questione, sulla base di quello che Shields e Salerno hanno potuto scoprire, sono: un libro dedicato alla Famiglia Glass, un romanzo ambientato durante la Seconda Guerra mondiale, i diari di un agente del controspionaggio, nuovi racconti che hanno per protagonista Holden Caulfiled, oltre al già citato manuale sul Vedanta. La veridicità di questa notizia non è stata né confermata né smentita dal Salinger Literary Trust. Ma la cosa più sorprendente è che la loro pubblicazione inizierà tra il 2015 e il 2020 e potrebbe richiedere un numero imprecisato di decenni per essere completata.

Al momento attuale non sappiamo ancora quanto ci vorrà per leggere l’intera produzione letteraria di JD Salinger, ma l’idea stessa del trust e il bisogno estremo di controllo post mortem della sua opera lasciano basiti. Perché ha deciso di edificare questo immane tempio alla sua memoria? Un tempio del genere non sembra adeguato a un povero yogi.
La sua vita raccontata come quella di un uomo che ha cercato l’ascesi spirituale attraverso il distacco dalla vita terrena, che ha coltivato la scrittura per il piacere della scrittura, stona con questa scelta. Viene il sospetto che ricorrere al Vedanta per spiegare il suo isolamento non sia del tutto una buona idea. La costruzione voluta da Shields e Salerno comincia a mostrare la corda. Salinger sfugge a questo tentativo riduzionista perché oltre che uno yogi era un essere umano, e uno scrittore, complesso e contradditorio. Se l’ostinazione nel gestire le sue opere è incoerente con gli insegnamenti della religione induista, la stessa risulta del tutto coerente con il suo caratteraccio maniacale.
Salinger amava i suoi personaggi più dei propri figli. Ognuno era una parte di sé. Parlava di loro come fossero reali, riportando, come molte testimonianze raccontano, le loro opinioni praticamente su tutto. Nei loro confronti nutriva un sentimento iperprotettivo. Come tutti i padri anche Salinger ha fatto qualunque cosa, fino alla fine, per assicurare loro una vita lunga e ricca, infischiandosene della saggezza vedantica che afferma: «Servi i tuoi figli ma ricordati che non ti appartengono».
Pretendere di scoprire la verità su Salinger è un intento fallace. Pensare che i suoi racconti inediti possano svelarla significa commettere lo stesso errore di Shields e Salerno. L’unica cosa che tutti possono fin da ora affermare con assoluta certezza, anche chi non crede nella reincarnazione, è che Salinger sta per vivere una seconda volta. Come scrittore.

 

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