Attualità

La notte delle femme fatale

Un'indagine personale sia investigativa che intima, su cosa si nasconde dietro l'ondata anomala di richieste di amicizia da parte di discinte ragazze.

di Ivan Carozzi

Nel weekend tra venerdì 15 e domenica 17 novembre sono piovute su Facebook decine e decine di anomale richieste di amicizia. Forse addirittura centinaia. E così nei giorni successivi. Si trattava, nove su dieci, di richieste dirette ad utenti maschi e spedite dall’account di bellissime donne. Tutte di colore. Philomena, Justine, Royal, Favour, Diana, Miracle, Lovelyne. Molti dei miei amici avevano postato in bacheca il testo dei messaggi che accompagnavano le friend request. Se la cerchia dei miei contatti era stata colpita da una pioggia di richieste di amicizia, ho immaginato che lo stesso fenomeno si fosse verificato, o si stesse per verificare, sopra altre cerchie. Come una perturbazione che si spostava da una regione all’altra del mondo. O forse l’episodio aveva riguardato soltanto la mia cerchia, e strisce di Facebook contigue, per motivi difficilmente sondabili che dipendevano dal calcolo di chi (ma chi esattamente: una persona, un’azienda, la mafia, un software?) aveva stabilito che gli utenti maschi della mia cerchia fossero un buon target per stringere amicizia con una giovane donna.

Si tratta, naturalmente, di profili fake. Non è la prima volta che ricevo richieste di amicizia di questo tipo. Ma che cosa c’è dietro, esattamente? E perché nell’ondata tra il 15 e il 17 novembre quasi tutti gli account interessati appartenevano a donne di colore?

Nella notte fra sabato 16 e domenica 17 la notifica di una richiesta di amicizia è apparsa anche sullo schermo del mio computer. L’account d’origine rispondeva al nome di tale Mimi Mimi, ma il messaggio era firmato Joy Boldeng. Joy – o Mimi Mimi – m’informava di aver guardato il mio profilo e che le era piaciuto. Poi, nell’ultima riga, aggiungeva che aveva qualcosa di molto importante da dirmi. Come una Bond girl in un romanzo di Ian Fleming. E m’invitava ad accettare la sua amicizia.

Si tratta, naturalmente, di profili fake. Non è la prima volta che ricevo richieste di amicizia di questo tipo. Ma che cosa c’è dietro, esattamente? E perché nell’ondata tra il 15 e il 17 novembre quasi tutti gli account interessati appartenevano a donne di colore? Ho iniziato una ricerca, come in una detective story, e ho cominciato postando una domanda sul famoso servizio Yahoo! Answers.

Ho ricevuto soltanto tre risposte. Tutte evasive. La terza, curiosamente, m’invitava a visitare un sito e in automatico ogni giorno gratuitamente riceverai centinaia di fan. Poi non ho più ricevuto risposte. Ho aperto una chat con Giacomo, un amico che si occupa di Internet da anni. Giacomo mi ha riferito che, a quanto ne sa, si tratta semplicemente di un modo per fare pubblicità e spam. Così come nel caso di altri falsi profili creati su Twitter o Google Plus. Ne ho poi parlato per telefono con Andrea Nepori, responsabile editoriale di Apple Lounge. «Da quel che ne so, molto spesso l’account non è curato da una persona reale che si finge qualcun altro, ma viene gestito in automatico da unbot, che fa parte di una botnet più estesa. Lo scopo è quello di entrare nel tuo profilo per rubare informazioni non pubbliche che poi vengono aggregate, impacchettate e vendute. Giusto mezz’ora fa mi è arrivata una richiesta di scambio banner. La mail sembrava abbastanza credibile, ma c’era qualcosa che non funzionava, che suonava strano all’orecchio. Ho googlato “Eva Alberti”, il nome e cognome con cui l’account si era presentato, ed è risultato che era già stato più volte segnalato come falso».

Che fossero bot o software era intuibile anche dalle comiche sgrammaticature contenute nei messaggi spediti con le richieste di amicizia: «Ciao caro, io sono la signorina Miracolo chiedo, possiamo diventare amici?»

Poi ho fatto una Skype call con Alessandro Caleandro, dottore di ricerca in Sociologia e membro del comitato scientifico di etnografiadigitale.it. Alessandro mi ha sostanzialmente confermato le parole di Andrea. «Ci sono profili di ragazze che si suppone siano prostitute o pornostar che chiedono amicizia per farsi promozione. Ma non è il tuo caso. Nel tuo caso si tratta di profili fantasma gestiti da un bot, che è un software, un robot, e una volta concessa l’amicizia il bot entra nel tuo profilo e nel tuo “grafo”, cioè nel tuo sistema di relazioni, con lo scopo di scendere sempre più in profondità nella struttura di Facebook, e poi scaricare dati per ricerche di mercato, per individuare abitudini, consumi, gusti».

Che fossero bot o software era intuibile anche dalle comiche sgrammaticature contenute nei messaggi spediti con le richieste di amicizia: «Ciao caro, io sono la signorina Miracolo chiedo, possiamo diventare amici?»; «Ciao am Signorina Josephine ho letto da voi attraverso il vostro profilo e divenne interessante sapere di più di voi. Si prega di rispondere tramite il mio indirizzo di posta elettronica in modo che posso dirvi di più su di me e ti invieremo le mie foto». Diversi miei contatti hanno incollato e postato in bacheca questo genere di frammenti, che tuttavia costituiscono qualcosa di più di una gaffe del software di traduzione. Forse sono come minuscole, impercettibili scosse del sisma che ogni giorno determina una nuova evoluzione della sintassi.

Nella foto Joy mi si offriva così: molto giovane, molto bella, fotografata in un seducente tre quarti sotto una luce scarna. Nessun glamour ma una sensualità ruvida, come nei servizi di moda dei vecchi I-D magazine. Intorno a lei sembrava di poter immaginare un piccolo appartamento dentro un palazzone proletario di una periferia inglese. Secondo altre informazioni reperite in rete, in realtà, Joy è nata nel 1989 e vive a New York. O forse in Sudan. E cambia spesso identità, come le dark ladies nel cinema noir. A volte si chiama Joy e a volte Monica. A volte il cognome diventa Bol-Deng. In un caso, cliccando sul suo nome, sono arrivato su questa schermata, indecifrabile.

Ci sono siti che segnalano Joy, dove si denunciano le sue incursioni, dove viene bollata come truffatrice e dove vengono pubblicate foto di lei particolarmente giovane. Forse minorenne. Tra le femme fatales, sulla pagina Wikipedia dedicata, vengono elencate le attrici Theda Bara, Marlene Dietrich, Greta Garbo, Rita Hayworth. Fino a Nicole Kidman e Angiolina Jolie. Neppure una donna di colore. Ma Joy è chiaramente un fake, un profilo fantasma, un robot che si aggira per il mondo indossando una foto e bussando alla porta di decine di uomini. Forse la Joy reale è stata vittima di un furto? Qualcuno si è appropriato delle sue foto? Oppure è stata lei, eroina proletaria che s’ingegna come può nella cyber economy, a consentire che le immagini venissero usate, dopo averle vendute?

Nella foto profilo, che ho visto domenica mattina 17 novembre, indossava una canottiera nera che lasciava scoperto un pancino tondo. Ho percepito, in qualche modo, che sotto il margine inferiore della fotografia i piedi erano scalzi. Joy aveva lo sguardo imbronciato. E una mano appoggiata sul ventre che sembrava dire: «aspetto un figlio». Per un istante, guardato dai suoi occhi, ho pensato di esserne il padre. Ma questo è un fatto che interroga qualcos’altro: il potere dello sguardo umano e della fotografia.