Attualità

La fiducia nel mattoncino

Lego e la crisi: come evitare la fine reinventando l'intrattenimento per bambini, anche in tempo di Internet, consolle e videogiochi.

di Michele Boroni

In questa rubrica quindicinale ho trattato spesso di brand e aziende che meritavano un’analisi approfondita a parte.

È successo con Patagonia, con Ikea e con Moleskine, un marchio quest’ultimo che, per sua natura, era destinato all’estinzione, ma grazie ad una intelligente strategia e un modo di porsi nei confronti dei propri clienti, è diventato un brand di culto.

Ecco, la storia che vi voglio raccontare segue più o meno questo percorso.

Oggi si parla di Lego, azienda danese sinonimo di mattoncini di plastica a incastro che, dopo cinquant’anni di perenne crescita, nei primi anni del nuovo millennio subì un tracollo che poteva diventare fatale, seguito poi da una nuova ascesa. Questo grazie a una coraggiosa capacità di rimettersi in gioco, entrando nel mondo digital che era stato la principale causa del proprio crollo, declinando la propria attitudine e tradizione in qualcosa di nuovo, creando originali percorsi e mondi narrativi, senza mai perdere il contatto diretto con i propri clienti, in maggioranza bambini, ma trattandoli come se fossero clienti dell’American Express Platinum. Proprio su quest’ultimo punto, c’è una storia esemplare che in questi giorni sul web ha fatto il giro del mondo.

Ma forse prima vale la pena raccontare brevemente la storia recente di Lego (per quella più remota guardatevi questo bel video d’animazione)

Chi di noi non ha avuto una scatola delle costruzioni, chi non si è mai soffermato ad osservare l’incastro perfetto delle sporgenze rotonde sulla faccia superiore del mattoncino con le cavità rettangolari presenti sul fondo. Nonostante molti tentativi di imitazione (no, dico, avete mai provato a giocare con i Mega Bloks?) la Lego era riuscita a diventare non solo leader nel campo del gioco delle costruzioni, ma anche sinonimo di prodotto, sogno di qualunque marchio minimamente innovativo. Il passaggio dagli impianti di produzione dalla Danimarca agli Stati Uniti, la costruzione di parchi tematici (Legoland), la vittoria contro altri competitor che si affacciano sullo stesso comparto (sì, Playmobil) sono solo alcuni degli eventi simbolici di un successo.

A partire dalla fine degli anni 90 una serie di concause fanno però piombare l’azienda in un declino che sembra irreversibile. Innanzitutto una serie di errori del management: Lego era una società lenta e presuntuosa, che da molti anni non investiva sull’innovazione, compiaciuta di se stessa e dei propri risultati, a tal punto da non vedere la crisi che stava vivendo l’industria del giocattolo e i suoi principali attori (Mattel, Hasbro..), crisi generata dal decisivo mutamento della domanda e dalle nuove esigenze dei consumatori che si erano rivolti all’elettronica e ai primi giochi per console. Risultato del 2003 per Lego: 251 milioni di euro di perdite nette e un calo delle vendite di oltre il 30%. Tutto nel giro di pochi anni.

Insieme ad un profondo cambiamento delle dinamiche interne del management, un netto taglio dei costi e un’intensa attività di crowdsourcing tra i progettisti-fans, Jørgen Vig Knudstorp – il Ceo che ha traghettato il gruppo Lego dal quasi fallimento alla rinascita – ha anche condotto un profondo ripensamento del prodotto Lego.

Due sono state i principali concetti su cui si è basata la rinascita del gruppo.

Primo: la fantasia dei bambini è cambiata, oggi questa prende vita solo se legata ad un forte immaginario condiviso. Da qui inizia una serie di strategici accordi con Hollywood e in particolare LucasFilm (Star Wars e Indiana Jones), con la DC Comics (Batman), Disney (I Pirati dei Caraibi) e Warner Bros (Il Signore degli Anelli) per creare nuove linee di prodotto, o attraverso la creazione del gioco di ruolo online Lego Universe.

Lego poi si inventa dei nuovi mondi narrativi, prima ancora degli italianissimi Gormiti, come quella ad esempio dei Bionicle, Hero Factory e Ninjago, saghe di lotta tra bene e male che hanno generato film, videogiochi e una sterminata linea di giocattoli che hanno acceso l’immaginazione del bambino basandosi però su un canovaccio di storia e su immagini molto potenti.

Secondo: il mattoncino in realtà è un modulo versatile, un’unità che noi vediamo fisica e concreta, ma che può diventare anche un pixel, un bit, cioè un’altra unità base di costruzione e creazione di altri mondi, anche digitali. Così Lego è entrata con decisione nel mondo nel mondo dei videogiochi: i titoli Lego Star Wars e Lego Harry Potter, basati sulla trama dei popolari blockbuster declinati nel mondo del colosso danese, sono tra i più venduti e, cosa ancor più interessante, sono vissuti dai genitori come utili ed educativi e non osteggiati come gli altri videogame. Questo nuovo approccio – oltre a vedere le vendite risalire del 20% anno su anno – ha stimolato una diffusissima “sottocultura Lego”: su Youtube si possono trovare centinaia di migliaia di video di parodie e remake di film, trasmissione tv o videoclip girati in stop motion con i mattoncini di Billund, gli omini Lego sono da tempo le icone preferite dalla geek generation e Lego è diventato anche un player competente in tema di didattica robotica e all’interno del mondo dell’open source.

Per non commettere gli errori del passato, l’azienda continua a sperimentare e ad evolversi: dopo essersi resa conto che il brand era fortemente posizionato sui maschietti lo scorso anno ha creato Lego Friends, una nuova linea di giochi dedicata alle bambine, Lego Lifestyle una gamma completa di abbigliamento e accessori e stanno preparando un lancio in grande stile per il prossimo film The Legend of Chima e per Lego – The Movie che uscirà nel 2014.

Troppo? Eccessivo? Forse. Ma a fianco di queste mastodontiche operazioni globali c’è anche una maniacale attenzione alle microrelazioni con il cliente finale, un’importante lavoro di ascolto e di customer care.

Come accennavo all’inizio c’è questa storia che grazie al passaparola spontaneo delle persone ha fatto il giro del mondo. Luka, un bambino inglese di sette anni, su consiglio del papà, aveva scritto mestamente al servizio clienti Lego per richiedere un personaggio di un kit della serie Ninja Go, acquistato a Natale investendo tutti i suoi risparmi (parte lacrimosa della storia), e che aveva distrattamente perduto durante un giro di compere con i genitori. Il customer service Lego ha preso sul serio la richiesta del piccolo Luka, non solo spedendogli il pezzo smarrito ma con una risposta che la dice lunga sull’approccio che l’azienda danese. Eccola:

Luka, ho detto al sensei Wu che la perdita di Jay è stato solo un incidente e che mai e poi mai avresti fatto in modo che si ripetesse.

Mi ha quindi incaricato di dirti:”Luka, tuo padre sembra davvero una persona molto saggia. Devi sempre proteggere i tuoi personaggi NinjaGo come i draghi proteggono le armi di Spinjitzu!”.

Il Maestro Wu mi ha anche detto che va bene spedirti un nuovo Jay e di aggiungerci anche un piccolo extra perché chiunque risparmi tutti i suoi soldi di Natale per comperare il Predatore Ultrasonico deve essere davvero un grande fan di Ninjago.

Quindi, spero ti godrai il tuo Jay con tutte le sue armi. Avrai in realtà l’unico Jay che combina 3 differenti personaggi in uno ! Ti spedirò anche un cattivo con cui farlo combattere!

Solo ricorda ciò che ti ha detto il Maestro Wu : proteggi i tuoi personaggi come le armi di Spinjitzu e dai sempre retta al tuo Papà.

La lettera ovviamente non è stata diramata dalla Lego ma dal padre del bimbo che l’ha diffuso via Twitter e Facebook. Se fate un giro su Youtube, non è il solo esempio.

I giochi sono cose da trattare seriamente, specie quelli per bambini e comunque, in generale, quando parliamo di fiducia verso un’azienda ci riferiamo anche a storie come questa.