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08:53 venerdì 31 ottobre 2025
L’operazione anti narcos a Rio de Janeiro è stata la più sanguinosa nella storia della città 2.500 agenti delle forze speciali brasiliane hanno attaccato il noto gruppo di narcotrafficanti Commando rosso, provocando 138 morti.
Al Mak di Vienna si terrà la prima mostra mai realizzata sul lavoro da designer di Helmut Lang "Helmut Lang. Séance De Travail 1986-2005" inaugura il 10 dicembre e durerà fino al 3 maggio 2026.
La quarta stagione di The White Lotus sarà ambientata tra Parigi e la Costa Azzurra Saltato l’accordo commerciale con la catena di hotel Four Seasons, HBO sta cercando hotel di lusso vista Senna come set della nuova stagione.
Robert Pattinson sta per lanciare la sua carriera da cantante  L’attore di Batman e Mickey 17 ha registrato sette canzoni da solista, realizzando un’ambizione che coltiva sin dai tempi di Twilight. 
67, l’intercalare preferito della Generazione Alfa, è stata scelta come parola dell’anno anche se non significa niente Dictionary l’ha scelta come parola simbolo del 2025: è la prima volta che un termine senza un significato specifico ottiene questo titolo. 
Luigi Mangione in carcere ha iniziato ad ascoltare Taylor Swift e Charli XCX Lo ha scritto in una lettera in cui dice di «voler capire l’hype che c’è per Taylor Swift e Charli XCX» e di aver inserito "Cardigan" nella sua playlist.
Dopo Barbie, Warner Bros. ha annunciato che farà anche il film di Hello Kitty La pellicola animata non sarà solo per bambini e arriverà nelle sale a giugno 2028, ma non è chiaro se la protagonista parlerà oppure no.
La regista della quinta stagione del progetto Crossroads di Giorgio Armani sarà Celine Song Cinque artiste in altrettanti video per parlare di cosa voglia dire trovarsi di fronte a un bivio (e poi scegliere). Nel primo episodio la protagonista è Tecla Insolia.

Kosovo is Kosovo

Perché la recente svolta nelle trattative tra Kosovo e Serbia non è solo una buona notizia per Pristina ma anche per Belgrado.

22 Aprile 2013

«Kosovo is Serbia!». Un giorno dello scorso novembre sedevo in un kiosk alle pendici del Blok 23 di Novi Beograd e mangiavo cevapi e discutevo in inglese con un ultra-trentenne alto e spigoloso di nome Darko Listic. All’inizio degli anni ’90, quando era all’alba dell’adolescenza e la Jugoslavia sul punto di spaccarsi, Darko era un junior dei Delije (I Duri), gli ultrà più agguerriti ed estremisti della Stella Rossa, molti dei quali pochi mesi dopo si sarebbero ribattezzati Le Tigri per seguire il capo-branco fuori da uno stadio e dentro una pulizia etnica. Arkan, così si chiamava il capo-branco. Solo la ferma opposizione della madre ha evitato che Darko imboccasse un percorso che per quasi tutti si è concluso con una fossa o davanti un tribunale per i crimini di guerra, e solo entrando nella mentalità di un ultra-nazionalista è possibile abbozzare i motivi per cui, anziché essere grato di non aver preso quella strada, almeno a parole Listic mostrasse di rimpiangerla. Finita la guerra, nei turbolenti anni successivi Darko è stato un pesce piccolo della criminalità locale invischiato soprattutto in scorribande legate al mercato nero e infine, quando i tempi sono cambiati e la situazione della malavita di Belgrado si è leggermente normalizzata, ha aperto il chiosco dove ogni giorno griglia cevapi, il chiosco dove ci trovavamo. Per come me la descriveva, la sua vita sembrava una pozza di nostalgie su cui galleggiavano sporadiche certezze. Una di esse, l’ho riferita all’inizio del paragrafo.

Qualche giorno prima di incontrare il signor Listic mi trovavo in un ufficio del dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Belgrado. Di fronte a me, dietro una scrivania che non poteva avere meno di 60 anni, era seduto Mladen Lazic, un coetaneo della sua scrivania a giudicare dalla barba imbiancata e uno dei sociologi serbi più rispettati e attenti alle trasformazioni delle società balcaniche. Parlavamo dei livelli di nazionalismo nel paese, in diminuzione ma comunque sensibilmente sopra la media europea, e  io gli avevo appena chiesto quali erano, a suo parere, le condizioni per vederli decrescere ulteriormente. «Credo che risolvere la questione dei confini del Kosovo sia prioritario. Finché resta una ferita aperta su entrambi i fronti sarà sempre un facile pretesto per eccitare gli animi dei nazionalisti e mandare a monte qualunque iniziativa improntata al progressismo, specie per quanto riguarda la politica interna della Serbia» era stata la sua risposta.

Quando la sera del 19 aprile,  ho ricevuto la notizia che c’era stata una svolta positiva nel negoziato tra Kosovo e Serbia, per un attimo ho sperato che si trattasse del pieno riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo da parte Serba. Ovviamente era un’aspettativa ingenua. I tempi non sono ancora maturi e nei palazzi del potere di Belgrado c’è ancora chi teme che una simile concessione equivarrebbe a una drastica perdita di consensi (cosa in parte vera, ma sempre di meno fortunatamente) alle prossime elezioni. È così che si spiegano le dichiarazioni smargiasse ma ormai sempre più di facciata dei principali leader politici serbi, il neo-Presidente Tomislav Niklolic in primis («Finché vivrò la Serbia non riconoscerà mai il Kosovo, ci potete giurare», non più tardi di febbraio). La realtà sulla tratta Pristina – Belgrado è però molto diversa da come i politici serbi la rappresentano allo zoccolo duro dell’elettorato interno e venerdì davvero si è compiuto un passo storico nei negoziati patrocinati dall’UE tra i due stati.

Un passo che se non equivale a una legittimazione dell’esistenza di un Kosovo indipendente da parte serba lo ricorda molto da vicino: con la promessa di una migliore regolamentazione dei diritti in materia di educazione e sanità della minoranza serba che vive nel nord del territorio kosovaro, la Serbia concede al Kosovo alcune facoltà che di fatto sono quelle che preludono al pieno riconoscimento dell’indipendenza del paese: l’esercizio dell’autorità legale su tutto il territorio e la formazione di un corpo di Polizia autonomo. Per un’ironia della Storia, da parte serba i firmatari dell’accordo sono gli stessi uomini, il Presidente Nikolic e il Primo Ministro Ivica Dacic, che per anni hanno sparso nazionalismo a piene mani e il cui percorso personale è legato a personaggi già passati in giudicato dalla Storia come Voji Seselij e Slobo Milosevic.

È un’ironia della Storia che non va sottovalutata e che mi ha fatto ripensare a Darko Listic, a Mladen Lazic, alle settimane che ho passato a Belgrado lo scorso inverno e a come avessi costantemente la sensazione che in Serbia esista ormai una maggioranza di persone pronta a voltare pagina rispetto a un passato costellato di violenze e risentimenti. Una maggioranza silenziosa che ha solo bisogno di trovare legittimazione in un nuovo corso politico per smettere di percepirsi minoranza di un paese che per venti anni è stato alla mercé di spudorati demagoghi, gli stessi che hanno convinto ragazzi all’epoca solo un po’ più anziani di Darko dell’infallibilità delle loro ragioni e dell’impunibilità delle loro azioni e che in generale sono stati promotori e responsabili di una diffusa (in)cultura improntata a un nazionalismo cieco e senza condizioni. Gli stessi uomini che ogni giorno si trovano sempre più costretti, se non per convinzione personale quanto meno per calcolo opportunistico, a rivedere le loro posizioni e fare implicita ammenda firmando accordi come quello firmato venerdì e che, al di là dei “bullismi” di facciata, stanno dando un esempio e tracciando una direzione che forse, si spera, lentamente verrà seguita anche da quelle sacche di resistenza nazionalista che ancora permangono. Immagino Darko e i suoi amici riuniti ieri da qualche parte a intonare slogan contro il Kosovo e contro l’Unione Europea; le tre dita alzate al cielo. Li immagino urlare sempre più forte perché da venerdì sono ancora più soli.

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