Hype ↓
20:54 martedì 15 luglio 2025
Il figlio di Liam Gallagher si sta facendo bello ai concerti degli Oasis indossando le giacche del padre Gene Gallagher è stato pizzicato a indossare una giacca Burberry di papà al concerto di Manchester: l’ha definita un «cimelio di famiglia».
In una piccola città spagnola, una notizia che non si sa se vera o falsa ha portato a una caccia all’immigrato lunga tre giorni Tutto è partito da una denuncia che ancora non è stata confermata, poi sono venute le fake news e i partiti di estrema destra, infine le violenze in strada e gli arresti.
Una ricerca ha scoperto che quando sono stressate le piante ne “parlano” con gli animali Soprattutto con gli insetti, attraverso dei suoni specifici. Gli insetti però non sono gentilissimi: se una pianta sta male, loro la evitano.
Hbo ha pubblicato la prima foto dal set della serie di Harry Potter e ovviamente ritrae il nuovo Harry Potter L'attore Dominic McLaughlin per la prima volta volta in costume, con occhiali e cicatrice, sul set londinese della serie.
Nel nuovo disco di Travis Scott c’è un sampling di Massimo Ranieri In uno dei più improbabili crossover di sempre, nella canzone "2000 Excursion" di Scott si trova anche "Adagio Veneziano" di Ranieri.
L’annuncio dell’arrivo a Venezia di Emily in Paris lo ha dato Luca Zaia Il Presidente della Regione Veneto ha bruciato Netflix sul tempo con un post su Instagram, confermando che “Emily in Venice” verrà girato ad agosto in Laguna.
Ancora una volta, l’attore Stellan Skarsgård ha voluto ricordare il fatto che Ingmar Bergman era un ammiratore di Hitler «È l’unica persona che conosco ad aver pianto quando è morto Hitler», ha detto. Non è la prima volta che Skarsgård racconta questo lato del regista.
Superman non ha salvato solo la Terra ma anche Warner Bros. La performance al botteghino dell'Uomo d'acciaio è stata migliore delle aspettative, salvando lo studio dalla crisi nera del 2024. 

Khaled Said

14 Aprile 2011

Figu 2.0. Immagino lunghe didascalie sotto le foto, i ritratti, le immagini, i video dei protagonisti di quel che accade nel pianeta. Link. Pop-up. Algoritmi. Questa serie di ritratti contemporanei è talmente contemporanea che non comincia con una faccia, ma con una pagina di facebook.

Leggo uno degli ultimi commenti sulla bacheca di “We are all Khaled Said”, postato 23 ore fa secondo l’orologio di Facebook. È forse il più importante di tutti. Dice: “La giustizia ha prevalso. Mubarak il criminale, che ha ucciso, torturato e umiliato migliaia di egiziani, e ha rubato miliardi dalle casse dell’Egitto (…) è finalmente in galera”. Nata quasi un anno fa poco dopo l’assassinio ad Alessandria d’Egitto di Khaled Said, a lui è dedicata. “Piace a 110.779 persone”: la cifra più alta per una pagina originata da laggiù, e il riconoscimento ormai consolidato di essere la scintilla dalla quale ha preso le mosse la rivoluzione egiziana.

Ed ecco il primo ritratto. Ventotto anni, figlio di una famiglia benestante di Alessandria, Khaled Said si occupava di import-export, aveva studiato computer programming negli Stati Uniti, suonava e componeva musica, frequentava spesso un Internet Cafè nel quartiere di Sidigaber. Da qui ,probabilmente, aveva postato su youtube un filmato ripreso segretamente col cellulare dove si vedono due poliziotti egiziani corrotti trafficare con uno spacciatore. E’ qui che lo beccano altri due poliziotti, in borghese. Le due cose non sono necessariamente collegate, o meglio lo sono. In Egitto, fino a quel momento, vige lo stato di emergenza. Non sai mai davvero quando ti ferma la polizia se hai fatto qualcosa oppure no, è come Il processo di Kafka.

Khaled è descritto come un tipo tranquillo, non coinvolto in alcun tipo di opposizione politica al regime. L’unica colpa che ha di fronte ai due poliziotti è quella di chiedere il motivo dell’irruzione nel locale e della spiccia richiesta di perquisire i presenti. Lo picchiano davanti a tutti. Lo trascinano fuori. Massacrato di botte, muore con il cranio sfondato e il volto ridotto a una maschera spaventosa. E’ il 6 giugno 2010. La polizia lo accusa di resistenza e possesso di armi, lo sospetta di terrorismo, renitenza alla leva, spaccio di droga. Sostiene che è morto soffocato dal sacchetto di cellophane pieno di hashish che ha inghiottito per nascondere le prove.

Quando il fratello di Khaled entra all’obitorio e riesce a scattare di nascosto un foto col suo telefonino, le bugie della polizia si rivelano per quel che sono. In pochi giorni quella foto arriva ai milioni di utenti facebook in Egitto, grazie alla pagina “We are all Khalid Said”. L’ha aperta Wael Ghomin, ed ecco il secondo ritratto. Ghomin ha 30 anni. E’ un executive del marketing di Google, vive e lavora a Dubai ma è egiziano, ha studiato al Cairo e ha sposato una ragazza americana. In gennaio, quando anche grazie alla pagina che ha aperto iniziano le manifestazioni contro il regime di Mubarak, Ghomin lascia la scrivania e torna nella sua città. Viene arrestato il 27 gennaio, passa 11 giorni in carcere senza che nessuno sappia neppure dov’è. Gli dà una mano il vento nuovo che ha preso a soffiare a piazza Tahir. Liberato, lo stesso giorno compare in diretta su DreamTv.

L’intervista a Wael Ghomin è un pezzo di televisione memorabile. Alla fine della conversazione la conduttrice manda in onda le foto di alcuni ragazzi morti in quei giorni durante gli scontri, a pieno schermo, accompagnate da una musica grave, emozionale. Comincia a recitarne i nomi. E’ qui che Ghomin scoppia in un pianto irrefrenabile, si piega sulla sedia sconvolto dai singhiozzi. Il regista, o è un genio o immaginava tutto: mette in un riquadro Ghomin, alza la musica: “A tutti i padri e le madri che hanno perso un figlio… – piange – Lo giuro, non è colpa nostra… non è colpa nostra… la colpa è di quelli che non vogliono lasciare il potere”. Precipitosamente Ghomin si alza ed esce dallo studio, seguito dalla conduttrice.

La folle chiamata alla rivolta usa tutte le armi del melodramma egiziano, ma funziona e si conclude a piazza Tahir qualche giorno dopo. Wael Ghomin parla al microfono: “La nostra rivoluzione è come Wikipedia, ok? Ognuno aggiunge un contenuto, ma non si sanno i nomi di chi ha aggiunto cosa. Questo è quel che sta accadendo. E’ la rivoluzione 2.0. Abbiamo disegnato insieme l’immagine della Rivoluzione. Ma nessuno è un eroe in questa immagine”.

Di fronte alle rivoluzioni scoppiate a sorpresa in Medioriente ci si è rifugiati dietro le vecchie categorie arrugginite dell’islamismo e del terzomondismo, della realpolitik e persino dello scetticismo nei confronti della Rete. Il governo si preoccupa per l’aumento degli immigrati e per altre idiozie, come quelle rivoluzioni non parlassero anche a noi. I più fini, sempre qui da noi, si chiedono se il tasto del “mi piace” e tutto il resto dell’attivismo politico in Rete via facebook – petizioni, adesioni, immagini nel profilo – non sia per caso l’ultima consolatoria fregatura alla quale stiamo andando incontro. Non posso escluderlo. Ma quella di Khaled e Wael è la rivoluzione di “quelli che non hanno fatto niente”. E’ la rivoluzione della tv, della Rete, della democrazia radicale.
Funziona. Si può fare.

Sono davanti a un computer, di fronte a una pagina facebook. Provo la stessa invidia e la stessa impotenza che Joe Strummer sperimentò di fronte agli scontri tra polizia e immigrati giamaicani sotto la Westway, a Notting Hill, Londra, 1976. In un impulso di populismo rock’n’roll vi copioincollo le parole di White Riot: “I neri hanno un sacco di problemi/ma non si fanno problemi a tirare un mattone/I banchi vanno a scuola/ Dove gli insegnano a essere degli idioti”.
No che non spengo il computer, adesso. Se qualcuno ha intenzione di scrivere White Riot 2.0 mi comunichi almeno il link.

Articoli Suggeriti
Ripensare tutto

Le storie, le interviste, i personaggi del nuovo numero di Rivista Studio.

Il surreale identikit di uno degli autori dell’attentato a Darya Dugina diffuso dai servizi segreti russi

Leggi anche ↓
Ripensare tutto

Le storie, le interviste, i personaggi del nuovo numero di Rivista Studio.

Il surreale identikit di uno degli autori dell’attentato a Darya Dugina diffuso dai servizi segreti russi

La Nasa è riuscita a registrare il rumore emesso da un buco nero

Un algoritmo per salvare il mondo

Come funziona Jigsaw, la divisione (poco conosciuta) di Google che sta cercando di mettere la potenza di calcolo digitale del motore di ricerca al servizio della democrazia, contro disinformazione, manipolazioni elettorali, radicalizzazioni e abusi.

Odessa ex città aperta

Reportage dalla "capitale del sud" dell'Ucraina, città in cui la guerra ha imposto un dibattito difficile e conflittuale sul passato del Paese, tra il desiderio di liberarsi dai segni dell'imperialismo russo e la paura di abbandonare così una parte della propria storia.

Assediati dai tassisti

Cronaca tragicomica di come non sia possibile sfuggire alla categoria più temuta e detestata del Paese.