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C’è un’associazione simile agli Alcolisti Anonimi che aiuta le persone dipendenti dall’AI Si chiama Spiral Support Group, è formato da ex "tossicodipendenti" dall'AI e aiuta chi cerca di interrompere il rapporto morboso con i chatbot.
I massoni hanno fatto causa alla polizia inglese per una regola che impone ai poliziotti di rivelare se sono massoni Il nuovo regolamento impone agli agenti di rivelare legami con organizzazioni gerarchiche, in nome della trasparenza e dell’imparzialità.
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Jumi Bello, colpevole di plagio o vittima?

Scoperta ad aver copiato intere pagine dopo aver ricevuto un anticipo di 95 mila dollari per un libro, per alcuni intellettuali afroamericani è solo una vittima del razzismo sistemico dell'editoria americana.

26 Luglio 2022

Anche se leggiamo sempre meno libri, il mondo dell’editoria continua a produrre storie di scammer, truffe e inganni molto interessanti. Negli ultimi anni ci ha deliziato con l’incredibile storia di Dan Mallory, l’autore del best seller La donna alla finestra e, ancora più recentemente, ci ha reso orgogliosi del genio trasformista dell’italiano Mr. Bernadini. L’ultima storia di truffa letteraria l’ha raccontata Johanna Berkman su Air Mail in un articolo dal titolo “Under the Influence” pubblicato il 23 luglio. La protagonista è una scrittrice di 31 anni, Jumi Bello, con cui Berkman si dà appuntamento fuori da una pasticceria di Brooklyn. Il suo romanzo d’esordio The Leaving sarebbe dovuto uscire proprio questo mese per la casa editrice Riverhead Book grazie al lavoro di Calvert Morgan, uno dei top editor di New York. Dopo essersi accaparrato il libro per 225 mila dollari, Morgan riesce a piazzarlo in tutte le liste delle uscite più attese del 2022. A gennaio, però, un brevissimo articolo su Publisher’s Marketplace annuncia che il libro non sarebbe più uscito: né Riverhead, né Bello, e nemmeno l’agente di Bello, Amy Williams, che però guarda caso non la rappresenta più, hanno voluto commentare. Cinque mesi dopo Bello pubblica un saggio su Literary Hub dal titolo: “Ho plagiato parti del mio romanzo di debutto. Ecco perché”. Racconta di aver rubato online alcune descrizioni di scene che non riusciva a scrivere perché non le aveva vissute in prima persona, ad esempio di cosa si prova durante una gravidanza, e di averle ficcate nel libro come segnaposti, con l’idea di rielaborarle in un secondo momento.

Dopo aver concluso la sua residenza al prestigioso Iowa Writers’ Workshop, durante la quale aveva concluso la prima stesura del libro, Bello ha avuto una crisi psicotica ed è stata ricoverata. Racconta di soffrire di disturbo schizoaffettivo (un disturbo psichiatrico caratterizzato da alcuni sintomi di schizofrenia e sintomi di disturbo dell’umore) e di disturbo da stress post-traumatico cronico. Il giorno dopo essere stata dimessa, ha firmato il suo contratto per il libro. Non ha detto niente del ricovero, né alla sua agente né al suo editor: «Non volevo che Cal o Amy capissero davvero quanto fossi malata, perché temevo che se l’avessero fatto non avrei pubblicato il libro», spiega alla giornalista di Air Mail, a cui racconta anche che dopo la morte di sua madre, quando aveva 12 anni, ha tentato il suicidio due volte. Non appena sta un po’ meglio ricomincia a lavorare al libro, continuando però a non modificare le parti prelevate online. Nel pezzo uscito su Lit Hub non specifica da quali autori ha copiato né in quale misura. Ammette: «I told myself it was merely an act of influence», per poi attribuire un po’ di colpa alle pressioni dell’editoria, specificando che Riverhead le aveva chiesto di rivedere il suo manoscritto in due mesi invece degli otto originariamente concordati. E poi un’altra stranezza: poche ore dopo essere apparso su Lit Hub, il pezzo sparisce.

Kristen Arnett, un’altra autrice Riverhead che fa in tempo a leggerlo, scopre qualcosa di incredibile: la parte del pezzo sulla storia del plagio… è plagiata. Coincide perfettamente con il paragrafo di un testo di Jonathan Bailey sul sito Plagiarism Today. Arnett condivide la sua scoperta su Twitter e la polemica esplode. Il discorso si trasforma in un dibattito sul razzismo, con una serie di autori Bipoc (black, indegenous and people of color) che si schierano in difesa di Bello: «Questa industria non è sicura per gli scrittori neurodivergenti neri e le persone al potere non sono interessate a renderla sicura» twitta l’apprezzatissima autrice Akwaeke Emezi, aggiungendo: «Quando va bene, tutti si sentono coinvolti, comprese le loro mamme, ma quando va in merda è solo l’autore che si prende la colpa». Terese Marie Mailhot, autrice del best-seller Heart Berries, commenta l’entusiasmo con cui i bianchi si sono fiondati a giudicare con crudeltà una donna nera che soffre di un disturbo mentale.

Interrogata da Berkman sulla questione, Bello risponde: «Non credo che quello che mi è successo sia dovuto al fatto che sono nera. Penso sia dovuto al fatto che ho commesso un plagio». Ma poi aggiunge: «Il motivo per cui la notizia è stata coperta dal New York Times e dal Guardian è che sono una donna nera». Oltre a rivelare gli episodi di plagio che avevano coinvolto Bello in passato (e a quanto pare già noti durante lo Iowa Writers’ Workshop, senza che nessuno si fosse preoccupato di fare qualcosa), nel suo lungo articolo Berkman indaga sulla questione seguendo il ragionamento di Emezi: possibile che nessuna delle persone che hanno lavorato al libro di Bello si sia accorta dei plagi e che sia dovuta essere l’autrice stessa a segnalarli? La ricostruzione della giornalista solleva diverse questioni relative al razzismo sistemico del mondo editoriale, compreso l’improvviso interesse per gli scrittori neri seguito al caso George Floyd: come è successo a molti altri, il libro di Bello è stato gestito con molta fretta e poca cura. Come sottolinea una scrittrice amica di Bello, due mesi di tempo per editare un libro sono «una quantità di tempo ridicola per chiunque, soprattutto per chi ha dei problemi di neurodiversità e salute mentale. Il suo romanzo avrebbe dovuto ricevere il tempo e il rispetto dovuti a un’opera letteraria».

Leggendo il manoscritto, Berkman identifica con grande facilità moltissimi altri plagi oltre a quelli confessati dall’autrice al suo editore (a causa dei quali il libro non è più potuto uscire, anche se Jomi era già stata pagata 95 mila dollari). Dalla prima all’ultima pagina (letteralmente) The Leaving è un collage di testi autobiografici che parlano di gravidanza, schizofrenia, dipendenza e include frasi rubate a memoir e personal essay di Rebecca Solnit, Marie Cardinal, Carole Maso, James Baldwin, Matthew Olzmann, Jennifer Nansubuga Makumbi, Bassey Ikpi. Tra tutte queste frasi, che appartengono agli scrittori preferiti di Bello, compaiono delle parti autobiografiche. Secondo quanto segnalato da Berkman sono molto intense e infatti al momento sta scrivendo un memoir.

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