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Il Ceo di Google ha detto che nessuna azienda si salverebbe dall’eventuale esplosione della bolla dell’intelligenza artificiale Sundar Pichai ha detto che la "corsa all'AI" è un tantino irrazionale e che bisogna fare attenzione: se la bolla scoppiasse, nemmeno Google uscirebbe indenne.
La cosa più discussa del prossimo Met Gala non è il tema scelto ma il fatto che lo finanzierà Jeff Bezos Il titolo e il tema del Met Gala di quest'anno è Costume Art, un'edizione realizzata anche grazie al generoso investimento di Bezos e consorte.
Per la prima volta è stata pubblicata la colonna sonora di Una mamma per amica In occasione del 25esimo anniversario della serie, su tutte le piattaforme è arrivata una playlist contenente i migliori 18 brani della serie.
Jeff Bezos ha appena lanciato Project Prometheus, la sua startup AI che vale già 6 miliardi di dollari Si occuperà di costruire una AI capace poi di costruire a sua volta, tutta da sola, computer, automobili e veicoli spaziali.
Le gemelle Kessler avevano detto di voler morire insieme ed è esattamente quello che hanno fatto Alice ed Ellen Kessler avevano 89 anni, sono state ritrovate nella loro casa di Grünwald, nei pressi di Monaco di Baviera. La polizia ha aperto un'indagine per accertare le circostanze della morte.
Vine sta per tornare e sarà il primo social apertamente anti AI Jack Dorsey, il fondatore di Twitter, ha deciso di resuscitarlo. A una condizione: sarà vietato qualsiasi contenuto generato con l'intelligenza artificiale.
C’è una app che permette di parlare con avatar AI dei propri amici e parenti morti, e ovviamente non piace a nessuno Se vi ricorda un episodio di Black Mirror è perché c'è un episodio di Black Mirror in cui si racconta una storia quasi identica. Non andava a finire bene.
In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.

John Le Carré: lo scrittore è come una spia

È morto a 89 anni il maestro del romanzo di spionaggio: praticò entrambe le discipline, ma non fu l'unico. Il secolo scorso è ricco di esempi meno conosciuti, da Orwell a Graham Greene, con qualche sospetto su Hemingway.

14 Dicembre 2020

All’inizio del XXI secolo John le Carré, in procinto di scrivere un’autobiografia, assunse per un breve periodo due detective privati. Non per aiutarlo a scovare informazioni sensibili o chissà quali oscuri misteri sulle trame delle diplomazie imperiali, ma più banalmente per svolgere ricerche sulla storia della sua famiglia. Per uno che era cresciuto con un padre truffatore, che aveva servito per un discreto numero di anni i servizi segreti di sua maestà, fino al successo internazionale del romanzo La spia che venne dal freddo, e che era poi diventato il gran maestro della spy fiction, fenomenale nel costruire intorno al racconto di un folle mondo spionistico una cornice storico-intellettuale che rendesse le sue storie più accattivanti e credibili – cosa che Ian Fleming non riuscì quasi mai a fare – cosicché districarsi tra verità e finzione era diventato sorprendentemente complicato. «Sono un bugiardo», spiegò una volta, «sono nato per mentire, addestrato a farlo da un’industria che mente per vivere». Come romanziere si era oramai abituato a costruire diverse versioni di una stessa storia e dunque faceva più fatica quando si trattava di individuare quella corrispondente al vero.

La lunga lista di scrittori, sopratutto inglesi – abbiamo pur sempre un Impero da difendere, avrebbe detto Churchill – che hanno avuto un passato come agenti più o meno segreti aiuta ad avvalorare la tesi che in fondo, a cavallo della Guerra Fredda, essere una spia e scrivere storie di fiction non significava vivere in mondi così diversi. Anzi. «In entrambi sei costretto a elaborare e costruire qualcosa di artificiale. Più realistico ed emotivamente credibile è quel mondo, come spia e come romanziere, meglio uno ci si troverà», diceva sempre le Carré. D’altronde in quegli anni le storie che ruotavano intorno al grande gioco dello spionaggio erano talmente assurde, con personaggi che potevano essere allo stesso tempo tragici e comici, a seconda delle circostanze, che per uno scrittore non sarebbe stato affatto facile trovare più soddisfacenti fonti di ispirazione.

«Lo scrittore rassomiglia a un agente che fa il doppio gioco: di volta in volta difende e condanna i suoi personaggi», raccontò in un libro intervista con Marie-Francoise Allain Graham Greene, uno che credeva letteralmente nel peccato, nell’inferno e nella redenzione, seppur non è dato sapere in quale ordine. La sua ambiguità, unita a uno stile di scrittura veloce, a tratti scarno, era perfetta per raccontare, alla sua maniera, più ironica e meno melodrammatica di Le Carré – come si fa a non sorridere leggendo le disavventure del protagonista di Il nostro agente all’Avana? – quel sottobosco di doppi e tripli giochi, spesso inconsapevoli agli stessi protagonisti, di cui lo scrittore inglese aveva fatto parte in gioventù. Con l’aiuto della sorella Elisabeth nel ’42 era entrato a par parte del Foreign Office, il temuto servizio segreto inglese, e come prima destinazione venne spedito in Africa con l’incarico di introdurre agenti nelle colonie del Governo Vichy. «Futili tentativi», commenterà anni dopo. Il suo capo a Londra fu un certo Kim Philby, uno delle famigerate spie di Cambridge (noti come “Cambridge Five”),  la più famosa, e forse brillante, dell’intero Novecento, fuggito a Mosca nel ’63 appena prima di evitare l’arresto per tradimento. Episodio che non precluderà in alcun modo le comunicazioni tra i due, che si scriveranno con una certa frequenza tra gli anni Settanta e Ottanta.

Chi non fece mai mistero del suo passato di spia fu Somerset Maugham, agente operativo al servizio di Sua Maestà in Svizzera, a Lucerna, durante la prima Guerra Mondiale. Fu inviato anche in Russia, nel ’17, con l’obiettivo, amava raccontare, forse esagerando un tantino il suo compito, «di impedire lo scoppio della rivoluzione bolscevica e mantenere il Paese in guerra». Terminate le sue avventure segrete scrisse Ashenden, considerato il primo romanzo di spionaggio moderno, dove il protagonista è uno scrittore di stanza nella Confederazione alle prese  con la tragicommedia degli intrighi internazionali.

Molto più controverso, e opaco, fu invece il rapporto tra George Orwell e i servizi segreti. Emerso con un certo clamore solo alla fine degli anni Novanta quando il Public Record office rese pubblica la famigerata lista di “criptocomunisti”, una lista che l’autore della Fattoria degli Animali aveva inviato, poco prima di morire, alla sua amica Celia Kirwan, funzionaria dei servizi, contenente i nomi «di giornalisti e scrittori che a mio parere sono criptocomunisti, simpatizzanti o compagni di strada dei comunisti». Lista che includeva, tra gli altri, anche il nome di Charlie Chaplin, contrassegnato da un punto interrogativo, quasi a rivendicare una qualche forma di dubbio ultimo.

Se in Inghilterra l’attività spionistica novecentesca sembra quasi un affaire legato alla tradizione stessa della cultura britannica, in America al contrario il fenomeno delle spie-scrittori è stato molto più marginale. Anche se tempo addietro un ex archivista della Cia, Nicholas Reynolds, scrisse un libro, Writer, Sailor, Soldier, Spy, (titolo che ammicca a quello di La Talpa Le Carré) in cui sosteneva che Hemingway fosse stato reclutato nel ’41 dal NKVD, i servizi segreti sovietici precursori del KGB. Tesi in realtà smentita da gran parte degli storici. In ogni caso si può esser certi che Papa, che non aveva sicuramente bisogno di spunti per raccontare le sue storie, lo avrebbe fatto alla sua maniera. Quando una volta Dorothy Parker gli chiese che cosa era per lui il coraggio, rispose senza pensarci un attimo: «Grace under pressure».

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