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03:31 giovedì 18 settembre 2025
Nel nuovo film di Carlo Verdone ci sarà anche Karla Sofía Gascón, la protagonista caduta in disgrazia di Emilia Pérez La notizia ha permesso a Scuola di seduzione di finire addirittura tra le breaking news di Variety.
Enzo Iacchetti che urla «Cos’hai detto, stronzo? Vengo giù e ti prendo a pugni» è diventato l’idolo di internet Il suo sbrocco a È sempre Cartabianca sul genocidio a Gaza lo ha fatto diventare l'uomo più amato (e memato) sui social.
Ci sono anche Annie Ernaux e Sally Rooney tra coloro che hanno chiesto a Macron di ripristinare il programma per evacuare scrittori e artisti da Gaza E assieme a loro hanno firmato l'appello anche Abdulrazak Gurnah, Mathias Énard, Naomi Klein, Deborah Levy e molti altri.
Per Tyler Robinson, l’uomo accusato dell’omicidio di Charlie Kirk, verrà chiesta la pena di morte  La procura lo ha accusato di omicidio aggravato, reato per il quale il codice penale dello Utah prevede la pena capitale. 
Una editorialista del Washington Post è stata licenziata per delle dichiarazioni contro Charlie Kirk Karen Attiah ha scoperto di essere diventata ex editorialista del giornale proprio dopo aver fatto sui social commenti molto critici verso Kirk.
In Nepal hanno nominato una nuova Presidente del Consiglio anche grazie a un referendum su Discord Per la prima volta nella storia, una piattaforma pensata per tutt'altro scopo ha contribuito all'elezione di un Primo ministro.
Amanda Knox è la prima ospite della nuova stagione del podcast di Gwyneth Paltrow Un’intervista il cui scopo, secondo Paltrow, è «restituire ad Amanda la sua voce», ma anche permetterle di promuovere il suo Substack.
Luigi Mangione non è più accusato di terrorismo ma rischia comunque la pena di morte L'accusa di terrorismo è caduta nel processo in corso nello Stato di New York, ma è in quello federale che Mangione rischia la pena capitale.

Biden o Sanders?

Le primarie americane entrano nel vivo: da una parte l’America riformista di Biden e dall’altra quella socialista di Sanders. Quale prevarrà?

07 Marzo 2020

Se le prime settimane delle primarie del partito democratico americano sono scivolate via senza eccessivi colpi di scena, quella del Super Tuesday è stata un susseguirsi senza sosta di eventi da prima pagina. Non che non ci fosse da aspettarselo, certo: un parco candidati così folto non poteva che assottigliarsi nel momento clou della campagna, quello in cui sono stati assegnati quasi un terzo dei delegati che decideranno per la nomina, e così è stato. Si è tirato indietro Pete Buttigieg e a ruota Amy Klobuchar, ed entrambi hanno dato il loro endorsement al più navigato Joe Biden. Anche Michael Bloomberg, una volta ritirata mercoledì la costosissima candidatura, ha scelto di appoggiare l’ex vice-presidente tra i tre rimasti in corsa.

Poi è arrivato il giovedì, e i tre sono diventati due quando a lasciare la scena è stata anche la senatrice del Massachussets Elizabeth Warren, fin dall’inizio considerata una candidata di primo piano ma sconfitta sin qui in ogni stato, persino il suo. In attesa di capire da quale lato si schiererà Warren, i superstiti che si contenderanno la nomina ad “Anti-Trump” sono i ben noti Biden e Sanders. A partire dalla prossima settimana fino all’estate inoltrata, insomma, si daranno battaglia sullo stampo di quanto accadde nel 2016 due idee molto diverse di Partito Democratico, e contestualmente di America: quella riformista di Biden da un lato e quella socialista di Sanders dall’altro. Quale prevarrà? Abbiamo raccolto un po’ di articoli che provano disegnare lo scenario.

“Bernie or Biden. Period.”, The New York Times
Secondo David Leonhardt, ci sono quattro ragioni essenziali che spiegano perché Biden è diventato rapidamente per molti democratici moderati l’unica alternativa a Sanders. Anzitutto perché dopo i primi quattro stati – Iowa, New Hampshire, Nevada e South Carolina – l’ex vice-presidente era il candidato che aveva ottenuto più voti. Poi perché al contrario di Sanders ha il physique du role del “candidato nazionale”, e anche perché Bloomberg non ha retto il suo passo nel contendergli questa etichetta. Infine, scrive Leonhardt, c’è una questione pratica: i moderati devono decidersi adesso, o le divisioni avrebbero finito per spalancare le porte a Sanders.

“Why Biden’s chance of beating Sanders is even bigger than it seems”, NBC News
Fra le ragioni per le quali, secondo David Wasserman, Biden abbia ben più chance di battere Sanders di quanto non si dica, c’è la struttura del calendario. I prossimi appuntamenti di marzo, difatti, dovrebbero in teoria favorirlo: Michigan, Missouri e Mississipi, dove si voterà il 10, ma anche Florida e Illinois (17) e Georgia (24) sono tutti stati in cui l’ex vice-presidente è sulla carta più forte del suo contendente. Sarà influente anche il posizionamento di Warren, certo, ma Biden ha “scelto” un ottimo tempismo per diventare il frontman dei democratici moderati.

“Biden wages likability war on Sanders”, Politico
La strategia di Joe Biden per imporsi sul suo diretto contendente, secondo Marc Caputo e Natasha Korecki, si rifà direttamente a quella messa in atto da Hillary Clinton quattro anni fa. Che non ha avuto un esito positivo, è vero, e ha portato a una convention democratica tra le più confuse degli ultimi anni, ma che nondimeno si fa forza del difetto più grande di Sanders, e cioè quello di essere poco popolare tra l’elettorato femminile. Tenendo poi conto del fatto che il senatore del Vermont sta perdendo voti anche tra gli afroamericani, non è improbabile che nelle prossime settimane Biden punterà più decisamente a quegli elettori, che storicamente sono per la stragrande maggioranza democratici.

“Biden can finish off Sanders by doing these 4 things”, CNBC
Secondo Jake Novak, sebbene sia avanti nei sondaggi, Joe Biden deve partire dal presupposto che l’insperato successo che l’ha portato a giocarsi la nomination democratica non è merito suo, né delle strategie messe in atto dal suo team. È il primo dei quattro punti che il giornalista individua per il futuro della sua campagna: molta gente lo voterà semplicemente perché non vuole votare Sanders. Preso atto di questo, l’ex vice presidente deve sfruttare la situazione a suo favore. Ponendosi come il difensore delle imprese, ad esempio, come aveva fatto Bill Clinton nel 1992 e opponendosi così allo “statalismo” di Sanders. Deve poi intervenire con una controproposta nel dibattito sulla sanità pubblica, che è il punto di forza di Sanders e, infine, deve moderare i toni della sua campagna, riuscendo a non risultare offensivo né nei confronti di chi ha votato Trump né dei sostenitori di Bernie. Solo così potrà essere davvero il candidato che riunisce il Partito democratico.

“What would a Sanders or Biden presidency look like?”, Vox
Ma quali sarebbero le differenze più grandi tra un’eventuale presidenza Biden e una Sanders? Se lo chiedono Ezra Klein e Matt Yglesias nell’episodio settimanale del podcast di Vox, di cui si può anche leggere una parziale trascrizione. Sarebbero molto diverse, naturalmente, a partire dalla politica estera – Biden è un fautore dell’interventismo americano, Sanders crede che il budget per la difesa sia troppo alto –, visto che hanno un’idea molto diversa del ruolo che l’America riveste nel mondo. «Sanders ha una visione più realistica, mentre quella di Biden è più romantica», dice Yglesias. I due, inoltre, si soffermano a parlare di come entrambi i candidati possono opporsi a Trump, e di cosa li distingue (o al contrario li rende molto simili) al presidente da battere.

“As Bernie Sanders Pushed for Closer Ties, Soviet Union Spotted Opportunity”, The New York Times
Quando, nel 1988, Bernie Sanders era sindaco di Burlington, in Vermont, si mise in contatto con la sua controparte di Yaroslavl, in Russia, per inaugurare un gemellaggio fra le due città, con la speranza di suggellare una nuova fase di rapporti diplomatici tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Sanders, infatti, si augurava che i due Paesi «vivessero insieme in amicizia» e, senza saperlo, i suoi interessi si mescolarono a quelli dei sovietici, che invece intendevano sfruttare l’operazione per condannare l’imperialismo americano. La storia di come andarono le cose la racconta il New York Times, che ha esaminato 89 pagine di lettere, telegrammi e documenti interni conservati negli archivi di Yaroslavl, rivelando nel dettaglio la portata dello sforzo personale del senatore del Vermont per stabilire un dialogo pacifico tra i due Paesi.

 

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