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Il cofanetto dei migliori film di Ornella Muti curato da Sean Baker esiste davvero Il regista premio Oscar negli ultimi mesi ha lavorato all’edizione restaurata di quattro film con protagonista l’attrice italiana, di cui è grandissimo fan.
Nell’internet del futuro forse non dovremo neanche più cliccare perché farà tutto l’AI Le aziende tech specializzate in AI stanno lanciando nuovi browser che cambieranno il modo di navigare: al posto di cliccare, chatteremo.
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Dopo l’ultimo aggiornamento, Grok, l’AI di X, ha iniziato a parlare come un neonazista In una serie di deliranti post uno più antisemita dell'altro, Grok è pure arrivato a ribattezzarsi "MechaHitler".
La novità più vista su Netflix è un documentario su una nave da crociera coi bagni intasati Si intitola Trainwreck: Poop Cruise, è in cima alla classifica negli Stati Uniti ed è popolarissimo anche nel resto del mondo.

Icone inutili?

"Twitta questo," "laika quello": gli sharing buttons non piacciono ma generano traffico: i dati

04 Giugno 2012

Qualcuno li trova semplicemente brutti, altri li vedono (forse anche perché brutti) come una mancanza di rispetto nei confronti dei lettori, un volere tirare per la giacchetta un pubblico che tanto entusiasta non deve essere, altrimenti non ce ne sarebbe bisogno. C’è chi si augura la loro scomparsa a breve, ma, dati alla mano, pare proprio che rimarranno in circolazione ancora per un po’.

Stiamo parlando dei sharing buttons, le icone “Tweet” e “Like” che trovate sulla stragrande maggioranza degli articoli online (questo non fa eccezione), su cui di recente c’è stata una discreta polemica. Il designer Oliver Reichenstein, fondatore di Information Architects nonché “quello che ha ridisegnato il sito di Internazionale”, li ha stroncati sul suo blog. “Ti fanno sembrare disperato,” commenta, “non troppo disperato, soltanto un pochino.”

Secondo lui, più che promuovere il contenuto di una pagina, gli sharing buttons “promuovono i loro stessi brand,” ovvero Facebook e Twitter (presumendo che in pochi utilizzino realmente l’icona di Google+ e da quando Delicious e compagnia non si vedono più). Inoltre, sono una presa di fondelli per i fruitori che a) se utilizzano i social media non ne hanno bisogno e b) se non utilizzano i social media li ignorano.

L’utente non viene dal nulla. Noi non atterriamo sulla vostra pagina per poi migrare felicemente a questi social network e promuovervi soltanto perchè avete un’icona sul tuo sito. Troviamo contenuti attraverso Facebook, Twitter, Google +, ecc Pinterest, non il contrario.

  1. Chi utilizza i social network per trovare i contenuti, di solito inizia da lì la navigazione e ci torna naturalmente. Non abbiamo bisogno che ci venga ricordato quale network abbiamo usato, lo sappiamo, siamo venuti da lì.
  2. Per coloro che non usano i social network le icone dei social media sono completamente inutili.
  3. Se i lettori sono troppo pigri per copiare e incollare l’URL e scrivere qualche parola sul vostro contenuto, non è certo perché ti mancano questi pulsanti magici.

Ok, good point. Messa così ha senso, resta da chiedersi, tuttavia, se veramente, come sostiene Reichenstein, gli utenti troppo pigri per condividere un contenuto con un copia e incolla e due righe di commento, non siano invece disposti a farlo con una scorciatoia. Se, in definitiva, le icone social non portino traffico aggiuntivo.

Ha provato a rispondere a questa domanda Joshua Benton direttore del Nieman Journalism Lab, progetto dell’università di Harvard. Partendo da un campione di 37 siti di informazione (quasi tutti in lingua inglese, con le sole eccezioni di Le Monde, El Pais e lo Spiegel) Benton ha analizzato i mille tweet più recenti grazie a uno script in grado di individuare, tra tutti i tweet che contengono una data URL, quanti sono generati a partire dall’icona social. Il risultato è che esiste una notevole variazione tra un sito e l’altro, ma che per quasi tutti le icone social rappresentano una fonte importante di traffico.

Il sito che ottiene una percentuale maggiore di traffico a partire dagli share button – almeno nella gamma selezionata da Benton – è il Daily Kos, blog politico progressista dove l’icona Tweet è la fonte di quasi il 40% del traffico su Twitter, seguito da Red State, altro web politico, in questo caso repubblicano.  La combinazione spinge il direttore del Nieman Lab a speculare che probabilmente le icone social funzionano maggiormente sui siti dove gli utenti si recano con l’intento preciso di trovare materiale da condividere. Teoria che potrebbe essere confermata dall’alta incidenza di traffico Twitter generato da icona su BuzzFeed (circa il 30%). Benton  ipotizza poi che siano proprio i social button a generare “una sorta di Twitter Zero,” ovvero il paziente zero da cui gran parte del traffico Twitter viene originato, proprio come avviene con un virus.

Proprio il caso di BuzzFeed, sito che forse più di ogni altro vive dell’effetto passaparola sui social network, pare inoltre cozzare con l’assunto di Reichenstein secondo cui sarebbero proprio gli internauti provenienti dai social a snobbare le icone Twitter e Facebook: se uno segue BuzzFeed, è lecito pensare, molto probabilmente è perché l’ha conosciuto grazie a social network.

Reichenstein dice di “non preoccuparsi, queste icone scompariranno.” Probabilmente ha ragione. Ma, se i dati del Nieman Lab non sono campati in aria, questo non avverrà in tempi brevi.

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