Attualità
Grillo si è stufato dei grillini?
Il volto del populismo italiano ha definitivamente sganciato il suo blog dal Movimento, ma non si capisce se è un divorzio rabbioso o una rivoluzione pacifica.
Alla vigilia delle elezioni politiche del 2013, quando Beppe Grillo salì sul palco di piazza san Giovanni a Roma nell’ultima tappa dello Tsunami Tour, non c’erano dubbi: lui era lo tsunami. Il Movimento era una sua creatura, nato dal suo blog, e lui era la guida politica incontrastata. O almeno così sembrava. Quella stessa sera si manifestò sul palco anche Gianroberto Casaleggio, fino a quel momento una figura anodina e sfuggente – spin doctor? webmaster? – ma nel dubbio subito elevato dai media a “guru” e “ideologo”. «Oltre alla fantasia al potere», disse Casaleggio, «abbiamo bisogno della trasparenza, dell’onesta e della competenza. Con queste cose cambieremo l’ Italia», elaborando in tre concetti la sua offerta politica. Lo slogan vendette molto bene, il Movimento era ancora una scatola chiusa, non se ne conoscevano le dinamiche interne e prometteva di rovesciare un sistema politico.
Una legislatura è stata sufficiente per spogliare il mito della democrazia diretta: i portavoce intercambiabili, le votazioni on-line, le contraddizioni nella linea politica, la protezione dell’ortodossia affidata all’uso disinvolto delle espulsioni, come in un reality, mentre Casaleggio e la sua società si sono rivelati meno rumorosi ma più incisivi di Beppe Grillo: uno vale uno, forse, ma gli impulsi partono da Milano, non da Genova. Una politica parlamentare fondata sulla massima confusione con il minimo sforzo.
La democrazia on-line e l’armamentario futuribile di certe visioni si sono spesso concretizzate in dinamiche più vicine a un’assemblea di istituto che a una distopia, e nei cinque anni di opposizione il Movimento è trasfigurato in un partito vero e proprio, con leadership, gerarchie interne, conflitti. Un partito anomalo, perfettamente inserito nell’ondata populista europea, con buona pace di chi lo considerava una “costola della sinistra”. In questo percorso il Movimento ha eletto con un mini-plebiscito un nuovo capo politico, Luigi Di Maio, che dalla rivoluzione è passato a certificare la propria affidabilità presso investitori, istituzioni internazionali, cancellerie. Nonostante le amministrazioni di Roma e Torino.
In Fire and Fury, il libro in cui Michael Wolff racconta da insider l’elezione e i primi mesi della presidenza Trump, si descrive lo sconcerto di alcuni membri della sua campagna elettorale per una vittoria che nessuno si aspettava. Se per le elezioni politiche del 2013 può restare il dubbio che qualcuno nel Movimento – e buona parte del corpo elettorale- abbia sospirato di sollievo per la mancanza di una maggioranza per governare, ritagliandosi un comodo ruolo di opposizione in cui consolidarsi e crescere, queste elezioni sono diverse: il Movimento corre apertamente per essere il primo partito italiano. L’Esperimento però– come spiega Iacoboni nel suo libro – ha una dinamica nascosta che si riflette all’esterno, influenzando l’azione politica e di marketing parlamentare. L’allontanamento di Grillo dal Movimento 5 Stelle si è già consumato: non detta più la linea politica, almeno non a questo giro. Lo tsunami è degradato a rally per andare al governo, e la devastazione ridotta a un controsterzo sulla Vesuviana.
Fa effetto leggere il nuovo Grillo scrivere «sono stufo delle opinioni, sono stufo delle opinioni», lui che ha sostenuto un mondo in cui uno vale uno, e tutti possono parlare di astrofisica e vaccini. Le conseguenze della separazione della diarchia grillina si vedranno nel lungo periodo. Per ora il Movimento continuerà a identificarsi nell’immagine deformante di Grillo: leader carismatico, comico spirituale, sintesi dell’infallibilità. Ma è un pianeta che si sta allontanando, entrato in un’orbita che conduce verso il futuro, verso i dilemmi etici della robotica, verso «una tartaruga che se gli fai vedere il più bel figo del mondo, la tartaruga vedrà due piedi enormi e due buchi di narici in cima», qualunque cosa voglia dire.
Dopo le elezioni, senza i vaffanculo, gli tsunami, i tutti a casa, resterà Luigi Di Maio, probabilmente circondato da tanti piccoli e ordinati tribuni. Niente visione, niente tartarughe. Un futuro prossimo che non è più quello di Beppe Grillo.