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06:54 mercoledì 5 novembre 2025
Ogni volta che va a New York, Karl Ove Knausgård ha un carissimo amico che gli fa da cicerone: Jeremy Strong E viceversa: tutte le volte che l'attore si trova a passare da Copenaghen, passa la serata assieme allo scrittore.
È uscito il trailer di Blossoms, la prima serie tv di Wong Kar-Wai che arriva dopo dodici anni di silenzio del regista Negli Usa la serie uscirà il 24 novembre su Criterion Channel, in Italia sappiamo che verrà distribuita su Mubi ma una data ufficiale ancora non c'è.
È morta Diane Ladd, attrice da Oscar, mamma di Laura Dern e unica, vera protagonista femminile di Martin Scorsese Candidata tre volte all'Oscar, una volta per Alice non abita più qui, le altre due volte per film in cui recitava accanto alla figlia.
L’attore e regista Jesse Eisenberg ha detto che donerà un rene a un estraneo perché gli va e perché è giusto farlo Non c'è neanche da pensarci, ha detto, spiegando che a dicembre si sottoporrà all'intervento.
A Parigi c’è una mensa per aiutare gli studenti che hanno pochi soldi e pochi amici Si chiama La Cop1ne e propone esclusivamente cucina vegetariana, un menù costa 3 euro.
Il Premier australiano è stato accusato di antisemitismo per aver indossato una maglietta dei Joy Division Una deputata conservatrice l’ha attaccato sostenendo che l’iconica t-shirt con la copertina di Unknown Pleasures sia un simbolo antisemita.
Lo scorso ottobre è stato uno dei mesi con più flop al botteghino nella storia recente del cinema In particolare negli Stati Uniti: era dal 1997 che non si registrava un simile disastro.
La neo premio Nobel per la pace Maria Corina Machado ha detto che l’intervento militare è l’unico modo per mandare via Maduro La leader dell’opposizione venezuelana sembra così approvare l'iniziativa militare presa dall'amministrazione Trump.

Cosa resterà di questi Golden Globe

Come l'anno scorso, più che cinema e serie tv, l'intrattenimento è stato la politica.

08 Gennaio 2018

Ogni anno ci risiamo. I Golden Globe dovrebbero essere il premio che la stampa straniera assegna ai film anglofoni, e invece tutte le volte diventano l’occasione in cui Hollywood celebra se stessa. Il 2017 era l’anno di Donald Trump, il presidente non ancora insediato (sarebbe accaduto tredici giorni dopo) ma già insidiato da tutta l’America cinematografara. Il 2018 è l’anno della lotta al patriarcato, che si combatte – detto per semplificazione estrema – a colpi di vestiti neri sul tappeto rosso. Noi dal vecchio anzi decrepito continente guardiamo questo Paese giovane e bello fare le cose per davvero: avevano detto solo vestiti neri, e solo vestiti neri sono stati, incredibile; se ai nostri David di Donatello avessero suggerito lo stesso dress code ribelle, ci sarebbe scappata comunque la figurante stile generone romano con total-coordinato ciliegia. Dicevo, guardiamo questo Paese giovane e bello mettere in atto una protesta che è sempre uno spettacolo, perché così dev’essere, ma con la serietà propria dei professionisti. Qui da noi il dibattito è fatto di risatine, pasticci dei giornali, solite tifoserie da Fantamolestia, l’evoluzione del Fantacalcio che forse ci meritiamo: chi vorrebbe tentare uno sforzo critico in più non ce la fa. Di là pare tutto facile, prima l’hashtag #MeToo, adesso il movimento Time’s Up, ieri sera le dive accompagnate alla notte dei lustrini dalle attiviste femministe, eppure tutto sembra andare così, naturalmente, il social globale improvvisamente virato al nero è subito fotogenico, dopotutto.

È l’ovvietà più ovvia del mondo, la politica è intrattenimento, e stavolta vedremo se verrà accolta o rigettata dalla grande nazione addormentata che alle ultime elezioni politiche nessuna star ha svegliato, le Meryl Streep che denunciavano Trump sulla pubblica piazza non sono arrivate al cuore delle casalinghe della Pennsylvania, lo stesso rischia di accadere con questa battaglia: toccherà davvero tutti o resteranno conti da regolare tra pochi privilegiati di Beverly Hills, raccoltisi nella solita stanza a celebrarsi tra buoni, mentre i cattivi sono stati lasciati fuori? Il discorso già presidenziale di Oprah Winfrey (premio alla carriera) arriverà al famoso ventre molle degli States profondi?

Hulu's 2018 Golden Globes After Party - Inside

Seth Meyers, maestro di cerimonie, ha cominciato col saluto «Good evening, ladies and remaining gentlemen», ha fatto il suo, del resto che poteva fare. Ormai più che un conduttore è un crisis manager, l’anno scorso ha dovuto appunto gestire il caso Hollywood vs. The Donald, a questo giro gli toccano le conseguenze dell’affaire Weinstein: «Per la prima volta in tre mesi gli attori nominati non dovranno preoccuparsi se il loro nome verrà pronunciato». E le battute stiracchiate su Kevin Spacey, e Woody Allen, e il cinema che non dà spazio alle donne, e il cinema che non dà spazio alle minoranze, e il solito presidente, quello ormai è il loro Berlusconi, non se ne libereranno più, continuerà a tornare in un eterno sequel, come il cinepanettone – no, cinecolomba – che saranno le nostre elezioni di marzo.

Poi ci sarebbero anche i premi, e dunque i film, e le serie tv. Finiranno pure gli americani per sospirare quello che diciamo noialtri ad ogni Festival di Sanremo che dio manda in terra a proposito delle canzoni: ormai non contano più niente, importa solo quello che c’è intorno. È vero che queste sferette sono un po’ una fuffa, contano più per gli sponsor che per la cinefilia, non dimentichiamo che in un passato non troppo lontano sono finiti tra le nomination titoli come – ne cito uno a caso, che probabilmente ricordo solo io – Salmon Fishing in the Yemen, in italiano Il pescatore di sogni, c’era Ewan McGregor. Ad ogni modo, stanotte hanno vinto i prodotti annunciati (Tre manifesti a Ebbing, Missouri, Lady Bird, Big Little Lies, The Handmaid’s Tale, The Marvelous Mrs. Maisel), si è ricompattato il fronte liberal che guarda già a Oprah 2020, è stato ripetuto il solito ritornello, giusto un poco aggiornato: la tv oggi è come il cinema, anzi è meglio, anzi adesso ci sono Netflix e Amazon, come diavolo facciamo. Al Beverly Hilton Hotel hanno risuonato tanti discorsi femministi, e forse la serata ci ha lasciato una lezione. Se potere delle donne dev’essere, come ha detto Nicole Kidman nel discorso di ringraziamento per la statuetta come miglior attrice di miniserie, che lo sia con i fatti. Big Little Lies è l’esempio più indicativo (e anche il più bello) di quel che possono fare le donne insieme, amiche, attrici, produttrici, scrittrici, tutte unite per qualcosa che durerà nel tempo, e che più di una casalinga della Pennsylvania, forse, ha visto dal suo divano.

Foto Getty
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