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Gianna Nannini

Una biografia per immagini (e rarissima) ne racconta gli inizi difficili e il successo; vincitrice di Sanremo come cantante e autrice, ex amazzone del pop italiano.

15 Febbraio 2013

Le strade si dividono tra l’X-Factor Marco Mengoni e Gianna Nannini. Per il venticinquenne in total blue Ferragamo la gara continua con L’essenziale, mentre la canzone scritta dalla rocker toscana, Bellissimo, è stata bocciata dal pubblico. Nessun dramma: Mengoni è allenato alla competitività, e la Nannini ha già trionfato nel 2008 come autrice per Lola Ponce e Giò Di Tonno.

C’è stato un tempo però in cui l’X-Factor ce l’aveva proprio la Nannini. Un tempo in cui la senese fieramente scansava Sanremo dall’alto delle classifiche («l’ho sempre considerato come un carnevale»). Era il 1991, c’era l’eroina 37enne, c’erano le gesta (i trionfi di America,Fotoromanza, Bello e impossibile, I maschi, Hey Bionda) mancava solo chi le celebrasse. Chi si fece avanti fu la scrittrice Barbara Alberti, che mise insieme una biografia veramente pop, completamente illustrata, un libro eccentrico, insolito per le castigate agiografie degli artisti italiani.

Il libro è un enorme tazebao fuori tempo massimo, un collage di disegni, foto, citazioni, dipinti, ritagli. Pagine che a fatica contengono tutto, una Smemoranda dedicata, con suggestioni grafiche di ogni tipo: bestiari medievali, pubblicità Anni ’80, collage alternativi, l’immancabile omaggio aSgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, e poi ancora le avanguardie dei primi del secolo, il simbolismo, Jesus Christ Super Star, i tarocchi, Brecht. C’è dentro anche la psichedelia alternativa di Ma l’amor mio non muore di Gianni Emilio Simonetti (ieri Arcana, oggi Derive Approdi), solo che questa biografia pop la stampò venti anni fa Mondadori, senza mai vedere una seconda edizione.

Per librai e collezionisti è una rarità, in rete si recupera solo la copertina, non v’è traccia delle pagine interne. All’epoca costava 35mila lire, oggi su Ebay viaggia sui 500 euro mentre su Amazon arriva addirittura a 2500 dollari. Per l’autrice «era era sbagliato graficamente: nel 1991 era tutto artigianale, come dire cento anni fa rispetto ai media attuali. Il grafico Luci lavorò con tavole fatte a mano. Era studiato per essere un fumetto solo per pagina ma diventò di proporzioni esagerate. Doveva essere un cinema di carta. Anche riducendo alla Mondadori l’impresa costò moltissimo».

Sulla biografia i fan sono tuttora divisi. La Nannini inizialmente apprezzò poi la rinnegò, poi tornò ad amarla. Magari la risfoglierà ora che ha appena pubblicato Inno, suo 18esimo disco di inediti in carriera, nella cui copertina, coincidenza, la Nannini veste un saio francescano. Proprio la Alberti l’aveva paragonata a Santa Caterina da Siena, titolando il libro Gianna Nannini da Sienae ricostruendo in parallelo la storia delle due eroine senesi. A darle il la fu una dichiarazione della cantante: «A Siena, la mia città, venerano Santa Caterina da Bigotti e non conoscono Caterina Benincasa rivoluzionaria nata che fece tornare il Papa da Avignone, donna ricca di ideali che ai nostri giorni sarebbe in galera tanto era amante della verità».

Si può quindi avvicinare una «cantante da lavandaie, da bicicletta, da gita in treno», la punk di provincia che urla a squarciagola «questo amore è una camera a gas», si può affiancarla all’estasi più spirituale? «La Nannini è una mistica» risponde oggi la Alberti «le impressionanti somiglianze biografiche con la santa sono tutte attestate dalle fonti come il Beato Raimondo da Capua, biografo di Caterina. La stessa infanzia, le stesse madri disperate. Entrambe segnate nel corpo, stessa strada di ribellione. La Nannini ha rifiutato il rango borghese e ne ha creato un altro. Si è data totalmente alla musica, anche con una certa dose di umorismo, altrimenti il rivoluzionario diventa un monumento di se stesso». Così anche il libro diventa letteralmente un’agiografia.

«Perché nascondo la mano quando canto? Perchè ho avuto le falangi dell’anulare e del medio sinistro troncate di netto in fabbrica».

Nello zibaldone pop che racconta l’eccesso di estasi di una cantante italiana negli Anni ’80, le tappe fondamentali sono Siena e Milano, infelici gabbie di frustrazioni. Siena è la città della famiglia, i famosi pasticceri ma anche padroni di cavalli da corsa del Palio (contrada dell’Oca), «un famiglione patriarcale come non se ve vedeva da un pezzo». La madre cavallerizza, il nonno correva in moto. Ma per Gian Burrasca il sogno è «di essere annoverata alla pari in una compagnia di maschi», per cui ecco la strada, le risse, la passionaccia per il canto, i capelli struffati, le provocazioni. Più esuberanza che estasi, un vicolo cieco: «Scappavo di casa, i miei mi ritrovavano ed erano botte» Inoltre Re Nannini, il padre, tuonava: «O che ti sei messa in testa di vivere cantando?». Poi ancora 17enne la misero sciaguratamente all’impastatrice della fabbrica di famiglia, col sogno di guadagnare i primi soldi per andare in America. «Sa perché nascondo la mano quando canto?» chiese a un giornalista la Nannini «Perchè ho avuto le falangi dell’anulare e del medio sinistro troncate di netto in fabbrica. Le ritrovarono due giorni dopo buttate in un angolo”.

Mentre Caterina riuscì a prende i voti domenicani, al conservatorio furono solo bocciature per la Nannini: «Brontolavano perché non portavo la gonna e suonavo tenendo le gambe aperte». La fuga a Milano diventa necessaria: «Meglio in viaggio che stare nella reggia prigione di Siena a casa mia». Ma a Milano la vita è agra anche per una che cerca solo un’audizione: «Passavo le giornate sola come un cane, nel mio monolocale, in un disordine di bottiglie, meditazioni, amori pochi e quasi sempre disperati». I maschi tradiscono la sua fiducia: «Quando non sei nessuno se vuoi un tetto devi dare qualcosa in cambio. Io offrivo la mia amicizia ma non bastava e allora fuggivo di nuovo». Neanche il provino alla Ricordi grazie a Franco Fabi riesce a toglierle di dosso la patina delle pensioni squallide: «Suonavo il piano alla Ricordi la mattina presto, mentre le donne delle pulizie pulivano. Tiravo avanti rifiutando gli aiuti paterni. Non avevo seno, mi imbottivo di cotone e avevo pure il complesso del naso, quando salutavo per strada lo nascondevo con la mano».

Lungo il tragitto del libro compaiono Madonne invidiose e Diavoli tentatori. Basterà la protezione della Santa per aiutare l’autodidatta Nannini a imporsi nello show business italiano diffidando degli uomini visti come ostacoli? Nel tazebao si trova una confessione: «A Milano, metropoli europea, avevo rimesso in piedi le frustrazioni che mi avevano avvelenato a Siena. Anche i miei primi album sono tristi perché li ho concepiti a Siena: le nostre mura, le discussioni, i pettegolezzi, gli uomini sempre sopra le donne». E così Gianna irrequieta si nasconde dietro il vittimismo e i pianti: «Erano anni in cui mi piaceva piangermi addosso e compiangermi».

Tutto sembra perso, poi arriva il 1979 e un produttore romano, Michelangelo Romano, che le dice di smettere, di cambiare. È l’anno di California, sale in classifica con il singolo America,«la canzone del libero arbitrio» o più prosaicamente sulla masturbazione. In copertina la statua della libertà tiene in mano un vibratore. Re Nannini lo scambia orgoglioso per un missile poi capisce e scrive infuriato una lettera alla casa discografica. Le femministe si sentono tradite. Arriva il successo di critica: la mistica diventa «la dolcissima folle, tutto latte e vino», oppure «l’amazzone». Ma anche di pubblico: per una insegnante di Cagliari aspettare l’autografo dopo il concerto «è importante come la mano del re nel libro Cuore». In Germania i ragazzi cantano le sue canzoni senza sapere le parole. Rimedia un invito a Berlino per il Venus Weltklang, il primo festival rock al femminile, canta insieme alla mitica Nina Hagen. Da quel momento in Germania sarà di casa.

Il suo maschio preferito diventa l’agente svizzero Peter Zumsteg che la porta ai festival di Essen, Montreux, Roskilde. Con il suo rock melodico e latino seduce Michelangelo Antonioni che per duecento milioni gira il videoclip di Fotoromanza (1984), il singolo blockbuster con cui vince il Festivalbar e blinda le classifiche. Come tutte le sante è autarchica e insiste nel cantare in italiano: «Abbasso i padroni del vapore» dice riferendosi all’immaginario americano. Però non ha molta simpatia per le colleghe Rettore e Berté: «Sono delle donne davanti a un microfono come tante altre».

Il Diavolo prova a mettersi di traverso: «O con la droga o con il successo li ha fregati tutti». Ma la mistica Nannini riscopre il suo corpo: corsa, judo, boxe, scherma. Ha anche una dieta ascetica: «Riso integrale condito con polvere di sesamo ideale per disintossicarsi, verdure e pomodori per il ferro, pappe di cereali per la peristalsi intestinale, due camomille alla sera per rilassarsi, pillole di potassio voce. Niente caffè, niente carne, niente sigarette, al massimo un sigaro a fine giornata».

Tra i ritagli polemici verso il successo di Puzzle, l’album che contiene Fotoromanza, spunta fuori quello di Roberto D’Agostino pre-Dagospia, l’accusa è quella di essersi tinta le unghie di rosa: «La Nannini era l’unico maschio rock italiano. Si è consegnata a Raffaella Riva che le ha scritto i testi in rosa. Prima era un travestito ora è un marinaretto, ma formato Coin non Querelle». La mistica continua per la sua strada: nel 1985 scopre il rossetto, nel 1986 pubblica Profumo. Con Hey bionda scrive una canzone contro Spadolini e la leva volontaria per le donne. Poi arrivano le notti magiche di Italia ’90, finalmente la mistica è a suo agio tra i maschi favoriti dalla Nazione, ha pure il successo e la fama.

E adesso, venti anni dopo, che fine ha fatto la mistica Nannini? «Il palazzo d’inverno lo si prende una volta sola» spiega Barbara Alberti. «Avere 25 anni e 59 fa una bella differenza. Basta guardare Toto Cutugno lì sul palco a Sanremo sempre uguale a se stesso. La qualità del mutamento è la qualità dell’artista. Oggi Gianna Nannini è ancora coerente con il suo spirito, però è come Buffalo Bill, le grande battaglie sono finite, sono state già combattute, è un vecchio rivoluzionario che non ha mai mollato».

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