Attualità

Gaetano Pesce, elogio della diversità

Si apre domani al Maxxi di Roma una retrospettiva dedicata all'architetto e designer spezzino. Che, a 85 anni, non smette di cercare di cambiare il mondo attraverso le sue opere.

di Marta Casadei

Ho incontrato Gaetano Pesce per la prima volta quattro anni fa, nel cortile della galleria “10 Corso Como” a Milano: la zona di Porta Nuova, simbolo di una città che è stata capace di evolversi, almeno sul piano dello skyline, era ancora in fase embrionale, ma destava grande curiosità. Anche lui stava intraprendendo un’evoluzione, quella progressiva commistione tra moda e design oggi un po’ deviata dalla deriva commerciale: presentava un paio di scarpe di plastica che aveva realizzato in collaborazione con il marchio brasiliano Melissa: era la prima collezione, sarebbero diventate più di una. Scarpe a parte, mi accolse con un’osservazione completamente diversa: «Posso mandare un messaggio a Giorgio Napolitano attraverso il giornale per cui lavora (era Il Sole24Ore, nda)? Dovrebbe cambiare la scenografia del discorso alla Nazione: design contemporaneo italiano al posto della solita libreria stile impero. Aiuterebbe l’industria».

Raccontare questo aneddoto mi serve per due ragioni: primo, Gaetano Pesce ha un’idea nuova ogni minuto, forse più di una; secondo, è un designer civile, nel senso che ha parecchio a cuore – e l’ ha sempre avuto, come testimoniano le sue opere – la società, l’Italia. E le trasformazioni che negli anni hanno cambiato entrambe, magari a ritmi diversi da quelli sperati. Perché, di fatto, le sue opere riflettono questi cambiamenti da un lato e, dall’altro, li precorrono. Ne suggeriscono tanti altri.

«L’Italia deve tornare a essere un esempio: dobbiamo raccontare al mondo quello che sappiamo fare. Perché questa è la sua forza», dice Pesce, incontrato di nuovo qualche settimana fa – sempre a Milano – per raccontare a Studio la genesi di un’importante retrospettiva che il Maxxi di Roma gli dedica: la mostra, intitolata Gaetano Pesce: il tempo della diversità, sarà in allestimento da domani al 5 ottobre nel museo romano firmato da Zaha Hadid e presieduto da Giovanna Melandri. In esposizione ci sarà anche una lettera scritta da Pesce nel 2010 e indirizzata a Giorgio Napolitano: nero su bianco c’è quella richiesta che, nello stesso periodo, aveva pensato di ribadire nella chiacchierata con la sottoscritta. L’architetto non è solo pieno di idee, insomma: è uno che difficilmente molla. «Napolitano mi ha anche risposto: ha detto che quel discorso lo fa dalla casa di tutti gli italiani, non dalla sua. Gli ho scritto che mi sarei comprato un materassino per andare a dormire al Quirinale quando fossi stato a Roma visto che è anche casa mia».

«È una mostra in continuo movimento, così come lo sono le città».

Qualche informazione su di lui: Gaetano Pesce, classe 1939, è nato a La Spezia e si è laureato in architettura allo Iuav di Venezia. Esponente di quello che Germano Celant ha definito “architettura radicale”, intesa come un processo di rifondazione dell’architettura con un approccio sperimentale e contemporaneo, nel 1957 ha fondato a Padova il Gruppo N mentre all’inizio degli anni 70, insieme a Carlo Cassina e Francesco Binfarè, ha dato vita alla Compagnia Bracciodiferro impegnata nella produzione di oggetti sperimentali in piccola serie. In breve è diventato noto a livello mondiale: nel ’72 ha partecipato alla mostra Italy: the new domestic landscape al MoMA di New York, città nella quale si è trasferito nel 1983 – lì ha fondato Fish Design – senza perdere però il legame con l’Italia.

Un legame che ribadisce e rinsalda con la mostra al Maxxi: la retrospettiva, curata da Gianni Mercurio e Domitilla Dardi e realizzata con il contributo di Eni, ripercorre la carriera di Pesce nelle sue evoluzioni, utilizzando le sue stesse opere come strumento di analisi del cammino creativo. Il fil rouge non è altro che la base della filosofia creativa dell’artista: l’architettura e il design devono essere un commento alla realtà, non devono essere avulsi da essa. L’allestimento della prima parte della mostra è ispirato al concetto di un continuo divenire, in linea con il tema della diversità: conta 40 pannelli mobili pensati per raccontare il lavoro di Pesce negli ultimi 50 anni, «è una mostra in continuo movimento, così come lo sono le città», dice lui; la seconda parte, invece, ospita una video installazione ispirata al tema del tempo «oggi è multiforme, eclettico. Spesso l’uomo non sa essere così elastico da stare dietro a questa liquidità del tempo»..

«L’idea viene dalla riflessione che dalla Rivoluzione Francese in poi si è pensato che l’uguaglianza fosse una meta da raggiungere, ma oggi siamo in un’epoca fondata sulla comunicazione e l’essere diversi è la base per questa comunicazione. La nostra è un’epoca di contraddizioni, di valori che si sovrappongono, di confronti: la mostra rappresenta questo», spiega Pesce. Che aggiunge:«Non è più il tempo delle copie, ma dei pezzi unici, degli originali».

Particolarmente emblematica è la UP5&6 che troneggia, in una versione gigante alta ben sette metri, sulla piazza esterna del museo: la poltrona è stata creata da Pesce nel 1969 per B&B Italia e rimane tutt’oggi una delle opere più significative della sua produzione: «Questa seduta, che metaforicamente lega con una catena un corpo femminile ad una palla, l’avevo concepita per denunciare la condizione di prigionia a cui la donna è condannata dai pregiudizi maschili», spiega.

Un tema quanto mai attuale: «Dentro la poltrona ci saranno degli schermi fissi sui quali andranno in onda video che informano sulla condizione della donna nei diversi paesi, oltre a un tributo speciale a uno a Malala Yousafzai: una donna simbolo delle lotte per il miglioramento della condizione femminile. La gente potrà entrare e guardarli». Up 5&6 è espressione della capacità di Gaetano Pesce di fare arte partendo dal reale ma anche a vantaggio della vita reale: «La ricerca artistica non deve essere fine a se stessa ma può documentare una realtà crudele come quella che emerge da una serie di casi che avvengono in tutto il mondo e hanno le donne come vittime».

Le foto dell’allestimento della mostra sono state scattate da Cecilia Fiorenzi