Cultura | Cinema

Qual è il miglior film da vedere a Natale?

Per il terzo anno di pandemia, una lista di classici e perle da riscoprire.

di Francesco Gerardi

Ormai da anni il dibattito sui film di Natale si è spostato sull’ontologia: posto che i film di Natale esistono, meritano rispetto e occupano un loro spazio (anche piuttosto rilevante) nella storia del cinema, che cos’è davvero un film di Natale? Quali sono le parti fondamentali che lo compongono e quali sono le mancanze imperdonabili che lo escludono dalla categoria? La difficoltà nello scegliere criteri che aiutino e facilitino la categorizzazione diventa evidente osservando quella che negli ultimi anni è diventata una sorta di Santissima Trinità del Natale cinematografico: Una poltrona per dueDie HardMamma, ho perso l’aereo. Si ritorna alla domanda iniziale: che cos’è davvero un film di Natale? È forse un film che parla del Natale, che mette la festa che si celebra il 25 di dicembre al centro della narrazione, che ne fa la protagonista del racconto e non solo scenografia? Oppure è un film che è uscito (in sala o in streaming) nel periodo natalizio, e che quindi è la memoria ad associare alla festa? O ancora, magari è un film che è diventato sinonimo di Natale perché riproposto in tv proprio quel giorno, tutti gli anni, per chissà quale motivo, e quindi entrato a far parte della abitudini di una giornata che si trascorre a casa e nel quale la solita programmazione televisiva è tutta ferma per ferie? Per il momento una risposta a queste domande non c’è, ma ecco una lista dei miei dieci film di Natale preferiti.

Miracolo nella 34ª strada, sia nella versione del 1947 diretto da George Seaton che in quella del 1994 di Les Mayfield
Miracolo nella 34ª strada è un film quintessenzialmente newyorchese. È più newyorchese che di Natale. Soprattutto il primo, quello del 1947: oltre alle tradizioni natalizie dalla Grande Mela, nel film ci sono anche marchi storici che aggiungevano al fascino avveniristico della metropoli di quegli anni (Macy e Gimbels, per esempio). È un film, quindi, perfetto per chi ama certi ritratti, certi racconti della metropoli americana nel Secondo Dopoguerra. Ma soprattutto, Miracolo nella 34ª strada è una dolce e raffinata riflessione sulle storie e sul ruolo, sull’importanza che queste hanno nella costruzione e nel mantenimento della nostra felicità: che importanza ha indagare e capire se Kris Kringle è davvero Babbo Natale, finché lui ci crede davvero e si comporta come se fosse la verità, finché i bambini ci credono davvero e si comportano come se fosse la verità?

La vita è meravigliosa di Frank Capra
La vita è meravigliosa è più di un classico film di Natale: è un classico e basta. Qualsiasi lista dei migliori film americani (e non solo) menziona l’opera di Frank Capra, spesso nella parte alta della classifica. Non è un film di buoni sentimenti, come potrebbe sospettare dal titolo chi non lo abbia mai visto. Non è nemmeno una commedia. Non è neanche un film di Natale strettamente inteso. È un vero e proprio film di Frank Capra, uno di quelli che meglio raccolgono la sua poetica, il suo gusto per l’estetica cinematografica, la sua predilezione per il racconto e per la morale: nella storia di George Bailey c’è in realtà la storia di uno dei maestri della Settima Arte. E poi c’è Jimmy Stewart in una delle parti che lo hanno reso un’icona della cultura pop americana.

Canto di Natale, quello con i personaggi Disney del 1983 e quello del 2009 diretto da Robert Zemeckis
Una lista come questa non si può fare senza citare Canto di Natale e Charles Dickens, probabilmente il libro e lo scrittore che più di ogni altro hanno contribuito alla costruzione dell’atmosfera natalizia per come la intendiamo oggi. È anche uno dei romanzi più adattati della storia della letteratura: al cinema, in tv, al teatro, nei fumetti, esiste davvero una versione di Canto di Natale giusta per ogni gusto e occasione. C’è però qualcosa in questa storia – forse l’elemento fantastico/folkloristico, forse l’andirivieni tra le diverse linee temporali, forse il passaggio continuo tra realtà, sogno e introspezione – che lo rende particolarmente adatto all’animazione. E infatti due delle trasposizioni più riuscite del classico di Dickens sono “cartoni animati”: quello con i personaggi Disney, in cui zio Paperone ritorna all’origine del suo stesso personaggio (in inglese il papero più ricco e avaro del mondo si chiama Scrooge McDuck, omaggio evidente all’Ebenezer Scrooge di Dickens), e quello con Jim Carrey, che nel 2009 diede una vita nuova al personaggio grazie a una delle interpretazioni più incredibili della sua carriera.

Regalo di Natale di Pupi Avati
Regalo di Natale è un inganno che parte dal titolo. Il regalo di Pupi Avanti è allo stesso tempo uno scherzo e una sorpresa: un cattolico che gira probabilmente il film meno natalizio che ci sia (per non dire proprio il più sadicamente anti-natalizio di sempre). La vigilia di Natale, una partita di poker, cinque uomini disgustati dalle loro stesse esistenze e quindi, ovviamente, dall’atmosfera natalizia e dalla pretesa di felicità che essa porta con sé. È un film stranissimo, Regalo di Natale, lo è in sé e per sé e lo è se considerato dentro la filmografia di Avati: per usare dei riferimenti attuali, è come se qualcuno avesse messo assieme Perfetti sconosciuti e quella lunghissima parte di Casino Royale in cui Bond e Le Chiffre si giocano la vita a carte. Solo che in Casino Royale i buoni ovviamente vincono e in Perfetti sconosciuti alla fine si scopre che non è successo niente. In Regalo di Natale, invece, Franco (Diego Abatantuono) e l’avvocato Sant’Elia (Carlo Delle Piane, nella parte che gli varrà la Coppa Volpi) provano davvero a rovinare l’uno la vita dell’altro. E alla fine ci riescono pure.

Parenti serpenti di Mario Monicelli
Parenti Serpenti è stato uno degli ultimi film diretti da Mario Monicelli. E si vede: c’è il mestiere e l’arte di una vita, in questo film. La sceneggiatura di Carmine Amoroso è splendida, il film contiene una tale quantità e qualità di one-liner esilaranti che anche un elenco striminzito meriterebbe un pezzo a parte. Ma a fare la differenza resta la regia di Monicelli, capace come nessuno, a questo punto della sua carriera, di usare utensili narrativi sottili come chiodi per abbattere edifici interi fatti di usi e costumi, norme sociali e pose culturali. La famiglia di Sulmona è una delle vittime sulle quali Monicelli, aguzzino dei suoi stessi personaggi come ce ne sono stati pochi, si accanisce con la ferocia maggiore: il film non lascia scampo a nessuno, la salvezza è concessa solo nella ridicolizzazione e nella disperazione. Ed è con quello stesso accanimento che Monicelli ottiene dai suoi attori interpretazioni che diventeranno picchi artistici: Alessandro Haber, Monica Scattini e, soprattutto, Cinzia Leone danno vita a tre personaggi semplicemente indimenticabili.

Nightmare Before Christmas di Tim Burton
Ancora più di Edward mani di forbiceNightmare Before Christmas è stato il film che ha definito i toni e i modi, l’estetica e i contenuti del cinema di Tim Burton. Nell’immaginario collettivo, film e regista sono talmente legati che ormai tutti quanti ci siamo dimenticati che a girare l’avventura natalizia di Jack Skeleton fu Henry Selick. Ma l’idea era di Burton, a tenere assieme tutte le parti del lavoro c’era Burton, quindi il film è passato alla storia come opera di Burton. Forse è anche giusto così, non ce ne voglia Selick: Nightmare Before Christmas fu, in fondo, la vendetta e la rivincita di Burton dopo anni di frustrazione passati a lavorare per Disney, dove nessuno degnava di un briciolo di attenzione lo strano tipo con in testa idee animate in stop motion, scheletriche silhouette di mostri canterini e panorami tra l’incubo e la fiaba.

Il Grinch di Ron Howard
Jim Carrey compare due volte in questa lista, entrambe le volte grazie all’interpretazione di un cattivo che alla fine, in fondo, cattivo non è. I cattivi natalizi si riconoscono dai volti e dalle espressioni: le loro smorfie devono contenere tutta la malvagità di cui è capace solo chi odia il Natale, le loro voci devono toccare note di spietatezza alle quali può arrivare solo chi si diverte a calpestare i pacchi con dentro i regali. Di volti così, a Hollywood, ce ne sono soltanto tre: uno è quello di Jack Nicholson, l’altro è quello di Willem Dafoe e infine c’è quello di Jim Carrey. Quest’ultimo in questo film riesce in un’impresa a lungo ritenuta impossibile per un essere umano: competere in espressività con un cartone animato (Il Grinch e la favola di Natale! del 1966) e vincere.

The Family Man di Brett Ratner
Si è già detto di come Canto di Natale e Charles Dickens abbiano dato un enorme contributo alla costruzione del Natale per come lo intendiamo oggi. Ecco, The Family Man è un altro esempio di questo contributo: se Dickens non avesse mai scritto la storia della redenzione di Ebenezer Scrooge, Brett Ratner non avrebbe mai potuto girare un film sul ritorno all’umanità di Jack Campbell (interpretato da Nicolas Cage, alla cui favolosa e incomprensibile filmografia non poteva certo mancare un film di Natale). A pensarci bene, ci sono un altro autore e un’altra opera senza i quali questo film non sarebbe mai esistito: Oliver Stone e Wall Street. In fondo, la storia di Jack Campbell è la storia di uno dei tanti Gordon Gekko del mondo che ritrovano la retta via dopo aver capito che la vita è troppo breve per convocare riunioni aziendali il giorno della vigilia di Natale.

Tokyo Godfathers di Satoshi Kon
Per gli amanti dell’animazione giapponese, Satoshi Kon è la dimostrazione che il mezzo non ha limiti e non conosce confini. Kon era (purtroppo è morto nel 2010) un uomo di vastissima e profondissima conoscenza, capace di riempire i suoi anime di citazioni di autori oscuri e rimandi a culture lontane. Tokyo Godfathers raccoglie tutto del maestro giapponese: le passioni hollywoodiane (il film è una rielaborazione di The Three Godfathers di Peter Kyne), la tendenza alla vanità (ci sono easter egg che rimando a Perfect Blue, altro capolavoro da lui firmato), l’amore per la cultura popolare (i rimandi alla saga del Padrino). Ma soprattutto, Tokyo Godfathers rappresenta il punto di vista sul mondo e sull’esistenza di Kon. La famiglia è quella costruita dalle conseguenze delle scelte e non dalla casualità del sangue, questo il messaggio che il regista vuole far passare attraverso la storia di tre emarginati e di una trovatella, una storia raccontata con una cura per l’estetica (i character design e le palette cromatiche di questo film sono considerati ancora oggi un gold standard nell’animazione nipponica) e un’attenzione per il dettaglio difficili da pareggiare.

Krampus di Michael Dougherty
Questo posto era stato inizialmente riservato ai Gremlins, indubbiamente un film migliore di quello di Michael Dougherty. Però vale per i Gremlins il discorso fatto per la Santissima Trinità Una poltrona per due, Die Hard e Mamma, ho perso l’aereo: si trovano in tutte le liste di questo tipo (giustamente, ripeto). Krampus, invece, è un film meno apprezzato di quanto merita: il film di Michael Dougherty ha delle ottime trovate sia nella sua parte comica che in quella horror, e può vantare uno dei mostri più intriganti visti negli ultimi anni. In più, è un sincero e affettuoso omaggio ai Gremlins, che resta davvero un grandissimo film.