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Cresciuti con il Festivalbar

Rito dell'estate per eccellenza, il festival chiuso nel 2007 di cui Mediaset Extra in questi giorni ripropone la replica dell’edizione del 2000.

14 Luglio 2020

È difficile sapere l’esatto momento nel quale, per la prima volta, abbiamo ascoltato una canzone. E nemmeno quando quella canzone ci si è fissata nella testa per sempre. Io so però che Cesare Cremonini entrava nella mia vita una sera di fine estate del 2000. Per me, che allora avevo sei anni, era solo “quello dei Lunapop” con i capelli tinti, che in quell’occasione aveva vinto la trentasettesima edizione del Festivalbar con “Qualcosa di grande”. Perché una volta, il vero festival dell’estate, appuntamento fisso, icona transgenerazionale che ne contrassegnava l’inizio e la fine, era quello che guardavamo da casa, nei drive-in, seduti tutti insieme in piazza come fossero i Mondiali. Non è un caso che proprio in quest’estate sospesa, delle suggestioni, in cui ci sta venendo facile abbandonarci a temporanei momenti di nostalgia, Mediaset Extra riproponga agli spettatori l’edizione 2000 del festival dell’estate per eccellenza.

Estate 2020, italiana, quella del cornetto Algida, stagione dei ricordi più del solito, c’è da immaginarsi a giocare a bandiera sulla spiaggia come Ciavarro e la Ferrari in Sapore di mare 2. E in questa nuova strana Sturm un Drang, di tutto lo stress generato dai mesi precedenti, anche il Festivalbar, quella specie di festa in piazza-in playback, che se non sapevi fare il lip-synch come alla finale di RuPaul’s Drag Race non avresti mai potuto parteciparvi, è diventato quasi una delle tante cose per cui provare malinconia, e nello stesso tempo emblema della nostra vita di quest’anno, mentre rimaniamo al di qua della barricata e dello schermo, senza musica dal vivo, festival reali: l’estate delle repliche, di quello che assomiglia alle cose che sarà meglio evitare di fare ancora per un po’.

Nato nel 1967 da un’idea di Vittorio Salvetti, la manifestazione canora è stata trasmessa sulla Radio Juke-Box e poi su Rai 2, prima di passare a Mediaset e diventare quella che tutti ci ricordiamo, un insieme disarticolato di musica commerciale ottima per gli stabilimenti balneari. Che il Festivalbar non aveva alcuna velleità artistica, almeno, non sempre, non era una gara canora come Sanremo in cui vinceva il più bravo, ma una vetrina lunga tre mesi per le case discografiche, che mettevano in mostra l’artista su cui stavano puntando tutto (oltre che un giro a tappe dell’Italia balneare e non), anche se quello era Gianluca Grignani, che nel 1995 cantava “Falco a Metà” con il microfono in tasca.

Nel 1995 c’era  Irene Grandi, «bum bum, batte il cuore bum bum», la ragazza della porta accanto, bellissima, mentre nelle altre edizioni si sono alternati i Backstreet Boys, Red Hot Chilli Peppers, Britney Spears con “Baby One More Time”, e a cui Fiorello dopo l’esibizione, nel giugno del 1999, regalava la compilation rossa, «che Dio ti benedica Britney, sempre». Una grande festa nazionalpopolare, dove non solo si riunivano gli artisti più ascoltati dell’anno, ma anche i volti più noti del piccolo schermo, Alessia Marcuzzi, Amadeus, Claudio Cecchetto, Federica Panicucci, Gerry Scotti, il codino di Fiorello, Vanessa Incontrada, binomi e quartetti in pieno stile ‘90s, che ci facevano sentire, ancora di più, a casa nostra.

Tra i momenti indimenticabili – tutti ricordati e ripostati sulla pagina Facebook Rivogliamo il Festivalbar – l’esibizione di Corona con “The Rhythm Of The Night”, Loredana Bertè che nell’anno in cui l’Italia vinceva i mondiali, nel 1982, saliva sul palco vestita da sposa, Madonna pagana, per cantare “Non sono una signora”, e poi l’esibizione di Luca Carboni con la camicia bianca, la chitarra acustica e una delle più belle canzoni mai suonate al Festivalbar (insieme alla “Cura” di Franco Battiato nel ’96) mentre intonava “Mare Mare” nel 1992, con il pubblico che si scioglieva al primo verso, e a «sai che ognuno c’ha il suo mare dentro al cuore» stavano già tutti piangendo. Esibizioni storiche, dalla Rettore in body color senape e leggings di pelle sulle note di “Splendido Splendente”, a Samantha Fox con “Touch Me”, Pino Daniele con “Amore senza fine” nel ’98, Lucio Dalla con “Latin Lover” nel ’94. Con “L’estate sta finendo”, suonata all’Arena, i Righeira venivano definitivamente consacrati alla nostra memoria collettiva, tanto che resta ancora la canzone perfetta per i viaggi in macchina di ritorno; la stessa memoria collettiva contiene il tormentone del 2000 di Paola e Chiara: «Vamos a bailar esta vida nueva». Tra i momenti memorabili, anche l’esibizione dei Gemelli Diversi con “Mary” nel 2003, e l’anno dopo la vittoria come “Miglior artista esordiente” di Tiziano Ferro per “Perdono”. Al momento della consegna del premio, completamente in lacrime, con la voce rotta dal pianto disse che non ci poteva credere, «l’anno scorso ero sul divano a guardarlo».

Ma, verso il 2005, dopo aver toccato la vetta con alcuni speciali sulla Cnn International, il Festivalbar iniziava una rapida discesa verso il fallimento, morendo sotto il peso di sé stesso, schiacciato da una formula sempre più vecchia, debitrice dell’estetica dell’MTV dei vj, e da un pubblico troppo distante. Nel 2007, i Negramaro ritiravano il premio per il miglior singolo, mentre Enrico Silvestrin ed Elisabetta Canalis ci davano appuntamento alla prossima edizione. Non c’è mai stata, e io, anche se provengo da una generazione successiva, ancora me lo ricordo. Avevo smesso persino di comprare la compilation, salutando finalmente quel dramma personale che si ripresentava ogni anno, sulla scelta della versione blu o rossa, aver preferito “Shiver” di Natalie Imbruglia nel 2005 ai The Killers ancora mi tormenta. Perché la mia vita, la nostra vita, durante e soprattutto dopo il Festivalbar è cambiata tanto, è diventata virtuale, digitale, più seriosa, abbiamo perso la spensieratezza che quella manifestazione portava con sé. Che era un appuntamento scanzonato, privo di un rigore proprio, ma dotato di una regalità che gli affidavamo noi ogni anno. Sdraiati sul divano a bere l’acqua e menta, la cedrata, era pur sempre estate.

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