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22:52 martedì 15 luglio 2025
Il figlio di Liam Gallagher si sta facendo bello ai concerti degli Oasis indossando le giacche del padre Gene Gallagher è stato pizzicato a indossare una giacca Burberry di papà al concerto di Manchester: l’ha definita un «cimelio di famiglia».
In una piccola città spagnola, una notizia che non si sa se vera o falsa ha portato a una caccia all’immigrato lunga tre giorni Tutto è partito da una denuncia che ancora non è stata confermata, poi sono venute le fake news e i partiti di estrema destra, infine le violenze in strada e gli arresti.
Una ricerca ha scoperto che quando sono stressate le piante ne “parlano” con gli animali Soprattutto con gli insetti, attraverso dei suoni specifici. Gli insetti però non sono gentilissimi: se una pianta sta male, loro la evitano.
Hbo ha pubblicato la prima foto dal set della serie di Harry Potter e ovviamente ritrae il nuovo Harry Potter L'attore Dominic McLaughlin per la prima volta volta in costume, con occhiali e cicatrice, sul set londinese della serie.
Nel nuovo disco di Travis Scott c’è un sampling di Massimo Ranieri In uno dei più improbabili crossover di sempre, nella canzone "2000 Excursion" di Scott si trova anche "Adagio Veneziano" di Ranieri.
L’annuncio dell’arrivo a Venezia di Emily in Paris lo ha dato Luca Zaia Il Presidente della Regione Veneto ha bruciato Netflix sul tempo con un post su Instagram, confermando che “Emily in Venice” verrà girato ad agosto in Laguna.
Ancora una volta, l’attore Stellan Skarsgård ha voluto ricordare il fatto che Ingmar Bergman era un ammiratore di Hitler «È l’unica persona che conosco ad aver pianto quando è morto Hitler», ha detto. Non è la prima volta che Skarsgård racconta questo lato del regista.
Superman non ha salvato solo la Terra ma anche Warner Bros. La performance al botteghino dell'Uomo d'acciaio è stata migliore delle aspettative, salvando lo studio dalla crisi nera del 2024. 

Come abbiamo fatto a non accorgerci che Facebook legge i nostri messaggi

Le ultime dichiarazioni di Zuckerberg confermano l'esistenza di un problema: non tanto Facebook quanto l'incapacità di non aver saputo prevedere tutto questo.

05 Aprile 2018

Cinquanta milioni? Magari. Il numero di utenti di cui Cambridge Analytica ha tracciato il profilo psicologico grazie ai dati ricavati da Facebook sono molti di più. «Le persone che in teoria potrebbero essere state raggiunte dai messaggi inviati dalla data company britannica sono circa 87 milioni», ha affermato Mark Zuckerberg. La «stima in eccesso» – così l’ha definita il fondatore del social network – ha già fatto il giro del mondo. Ma, per quanto aggravi l’ormai arcinoto “Facebook Gate”, probabilmente non è la rivelazione più significativa delle ultime ore.

Nell’intervista che ha rilasciato a Ezra Klein per Vox, Zuckerberg fa un’ammissione cruciale che pochi hanno notato: Facebook “legge” tutti i messaggi che gli utenti si scambiano via chat, e cioè anche attraverso l’app Messenger (1,3 miliardi di utenti attivi al mese). Detto con le parole di un portavoce di Messenger citate dal DailyMail: «Quando invii una foto i nostri sistemi automatici eseguono una scansione, utilizzando tecnologie di corrispondenza, con l’obiettivo di rilevare immagini relative allo sfruttamento dei minori; quando invii un link facciamo lo stesso per rintracciare malware o virus». Tradotto: il social network conosce e memorizza tutto ciò che ci condividiamo tra noi, anche da utente a utente. Dalle conversazioni più piatte a quelle più intime e personali.

Zuckerberg ha spiegato che questo sistema di scansione automatica dei messaggi, in tutto simile a quelli che riguardano altri ambienti e strumenti della piattaforma, è servito per esempio a bloccare l’invio di messaggi sensazionalistici sulla pulizia etnica in Myanmar. «In un caso come questo – ha commentato – i nostri sistemi riescono a rilevare che cosa sta succedendo». L’azienda, interpellata da Bloomberg, ha poi specificato che i dati ricavati dalla “lettura” dei messaggi privati non sono utilizzati per la profilazione degli utenti a fini pubblicitari: «Facebook ha progettato questi strumenti automatizzati al fine di interrompere rapidamente comportamenti abusivi sulla piattaforma». Ma c’è chi sostiene il contrario. Come Kevin Chastain, un cittadino statunitense che ha twittato: «Stavo messaggiando con mia moglie sulla cena di stasera e ho menzionato un particolare posto su Messenger, poi ho aperto Facebook per vedere un annuncio su quello stesso ristorante. Spaventoso!».Insomma, sembra che le dichiarazioni di Zuckerberg & co. per salvare la reputazione di Facebook non facciano altro che spargere benzina sulle fiamme. E ogni giorno analisti politici e grandi giornali non mancano di sottolinearlo. Eppure, la questione è più complessa e ora prendersela con il social network non basta.

Chiaramente la scansione della chat ha pesanti implicazioni, soprattutto nel caso in cui fosse sfruttata anche a fini pubblicitari. Ma in questi giorni di motivata frenesia anti-Facebook, spesso si dimentica che tutte le altre grandi piattaforme, a cominciare da Google e Amazon, possiedono altrettante informazioni sul nostro conto, ricavate con metodi altrettanto discutibili. Per intenderci: Big G ha sempre scansionato tutti i messaggi inviati attraverso il suo servizio Gmail (circa 270 miliardi nel 2017) e ha sempre attinto a questo enorme giacimento di dati per mostrare i suoi messaggi promozionali agli utenti. Soltanto a giugno dello scorso anno l’azienda ha annunciato di essere intenzionata ad abbandonare questa pratica.

Per quanto grave, va detto che quella di Messenger era una pratica intuibile, se non addirittura prevedibile. E questa consapevolezza dovrebbe spingerci a fare tre semplici considerazioni. Primo: avremmo potuto scoprire la scansione dei messaggi ­(e con essa molto altro) parecchio tempo prima per rivolgere a Mark Zuckerberg domande scomode sulla privacy degli utenti e sul modello di business del social network. Secondo: si chiede a Facebook di fare in modo che i troll russi, i video dell’Isis, i post inneggianti al nazismo e la pornografia spariscano dalla piattaforma, ovvero si chiede a Facebook di controllarci di più; eppure non si specifica mai come, lasciando che il social network faccia da sé, salvo poi scandalizzarsi per la quantità di informazioni che possiede su di noi. Terzo: perché, fino a questo momento, nessuna istituzione, nessun governo, nessun partito si è preoccupato di dare ai colossi digitali delle regole sull’analisi dell’utenza e sull’uso dei big data?

Molti, da Federico Rampini fino a Steven Spielberg, nelle ultime due settimane hanno affermato che Facebook “è al di sopra di ogni regola”. Ma il tema è proprio questo: che non c’è alcuna regola, tanto meno negli Stati Uniti. Il caso di Cambridge Analytica ha aperto il vaso di Pandora, mostrandoci quante controindicazioni possa avere un social network da 2,5 miliardi di utenti, orientato al profitto e basato sull’illusione della gratuità. Allo stesso tempo, però, ci mostra come sia arretrata e assente la politica rispetto a tutto questo. E, anche, come molte delle stesse media company che oggi prendono le distanze si siano schiacciate sulle logiche del social network, credendo che fosse la panacea dei loro mali e non occupandosi criticamente del suo impatti.

Provando per un momento a osservare la vicenda da un altro punto di vista, il vero problema con cui abbiamo a che fare non quindi è quanto sia buono o cattivo Facebook, né se debba esistere o meno, ma la totale assenza di regole al passo coi tempi. Perché Facebook, Google e Amazon sono aziende e come tali vanno controllate e regolamentate. Se crediamo che lo facciano da sole o che si lascino davvero guidare dalla filantropia tecnologica professata dalla Silicon Valley, siamo nel Paese delle meraviglie.

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