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18:56 mercoledì 10 dicembre 2025
Si è scoperto che Oliver Sacks “ritoccò” alcuni casi clinici per rendere i suoi libri più appassionanti e comprensibili Un'inchiesta del New Yorker ha rivelato diverse aggiunte e modifiche fatte da Sacks ai veri casi clinici finiti poi nei suoi libri.
Lo 0,001 per cento più ricco della popolazione mondiale possiede la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità, dice un rapporto del World Inequality Lab Nella ricerca, a cui ha partecipato anche Thomas Piketty, si legge che le disuguaglianze sono ormai diventate una gravissima urgenza in tutto il mondo.
È morta Sophie Kinsella, l’autrice di I Love Shopping Aveva 55 anni e il suo ultimo libro, What Does It Feel Like?, era un romanzo semiautobiografico su una scrittrice che scopre di avere il cancro.
La Casa Bianca non userà più il font Calibri nei suoi documenti ufficiali perché è troppo woke E tornerà al caro, vecchio Times New Roman, identificato come il font della tradizione e dell'autorevolezza.
La magistratura americana ha pubblicato il video in cui si vede Luigi Mangione che viene arrestato al McDonald’s Il video è stato registrate dalle bodycam degli agenti ed è una delle prove più importanti nel processo a Mangione, sia per la difesa che per l'accusa.
David Byrne ha fatto una playlist di Natale per chi odia le canzoni di Natale Canzoni tristi, canzoni in spagnolo, canzoni su quanto il Natale sia noioso o deprimente: David Byrne in versione Grinch musicale.
Per impedire a Netflix di acquisire Warner Bros., Paramount ha chiesto aiuto ad Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi e pure al genero di Trump Lo studio avrebbe chiesto aiuto a tutti, dal governo USA ai Paesi del Golfo, per lanciare la sua controfferta da 108 miliardi di dollari.
Sempre più persone si uniscono agli scream club, cioè dei gruppi in cui invece di andare dallo psicologo ci si mette a urlare in pubblico Nati negli Stati Uniti e arrivati adesso anche in Europa, a quanto pare sono un efficace (e soprattutto gratuito) strumento di gestione dello stress.

Euphoria è la serie perfetta per la Gen Z

Sesso, droga, violenza, pornografia: abbiamo visto le prime 3 puntate della serie Hbo prodotta da Drake.

02 Luglio 2019

Ci sono tanti motivi per parlare di Euphoria, la serie creata da Sam Levinson per Hbo, andata in onda a partire dal 16 giugno negli Stati Uniti (siamo alla terza puntata) e prodotta, tra gli altri, da Drake. L’Hollywood Reporter ha deciso di concentrarsi sulla quantità di peni visibili nel secondo episodio. A quanto pare, più di 30. Grandi e piccoli, fermi o in movimento, in video o fotografati con il cellulare. Non solo: la terza puntata di quella che da molti è stata salutata come la serie per teenager più “estrema” di sempre, contiene una scena comica e intelligente, in cui Zendaya – idolo delle ragazzine dai tempi di Disney Channel, che qui interpreta il ruolo di una tossicodipendente di 17 anni (eccola sulla cover story di Vogue, bella anche quella di Paper) – tiene una lezione sulle dick pic (le foto del pene che gli uomini dovrebbero inviare su richiesta durante il sexting e che spesso, invece, impongono senza aspettare il consenso) e che possono essere raggruppate in tre categorie: terrificanti, orribili e accettabili. La scena è scritta così bene che funziona anche senza immagini: si può leggere qui.

Oltre all’incredibile quantità di peni presenti sullo schermo – forse un record nella storia della televisione (The Ringer ha indagato) –  un altro motivo per cui ha molto senso parlare di questa serie è l’ottima scrittura. Niente a che vedere con la comicità involontaria di un prodotto come Baby, in cui le protagoniste dicevano cose assurde («shottino: mode on», ad esempio, prima di iniziare a bere: confidiamo in un miglioramento nella seconda stagione): i dialoghi di Euphoria sono finalmente plausibili e in generale la rappresentazione degli adolescenti e del loro modo di parlare, chattare, drogarsi e fare sesso (e della musica che ascoltano: basta dare un’occhiata alla colonna sonora su Spotify) può dirsi riuscita: la Generazione Z conferma (e gli ex tossici pure). Se è stata giudicata “too much” è proprio perché non fa niente per addolcire la pillola e raccontare la tossicodipendenza così com’è: vomito, spacciatori con le pistole in tasca, test dell’urina manomessi (chiedendo alle amiche di pisciare per te), genitori che si sentono morire e invece trovano l’energia per andare avanti (giusto in tempo per prendersi un altro colpo, e ritrovarsi di nuovo a spiare, frugare, supplicare, raccogliere, pagare, accudire, perdonare e sperare). Ma anche raccontare soltanto i lati negativi della la tossicodipendenza sarebbe un modo irreale di dipingerla: Euphoria mostra come drogarsi sia anche bellissimo, entusiasmante. Dal piacere di sentirsi liberi, cool, coraggiosi ed eroici, al rappresentare, per certe menti fragili, l’unico punto d’accesso per una serie di sensazioni impossibili da raggiungere in uno stato di lucidità (coraggio, piacere, gioia, amore, euforia appunto).

Jules è interpretata dalla modella transgender Hunter Schafer

Un altro motivo per cui i teenager di tutto il mondo stanno impazzendo per Euphoria – «è la cosa più bella che abbia mai visto nella mia vita», scrivono sotto alle immagini postate su Instagram da un account estremamente attivo (risponde praticamente a tutti i loro commenti con emoji e frasi affettuose) – sono i personaggi: non solo parlano come veri adolescenti (anche quel modo di esprimersi per estremi: “sempre”, “mai” e “la mia vita”, un tic tragicomico che accomuna teenager e depressi) ma vengono singolarmente trattati con grande cura. A ognuno di loro viene dedicata la prima parte di un episodio che si concentra sull’infanzia e i micro o macro traumi che li hanno trasformati in quello che sono: la tossicodipendente, l’atleta bellissimo e violento, la “fat girl” che scrive fan-fiction, la transgender. Personaggi troppo consapevoli di incarnare uno stereotipo per apparire stereotipati: la voce narrante di Rue – alquanto inattendibile, visto che è sempre sballatissima – li racconta uno per uno, descrivendo l’evoluzione della loro vita privata.

Insieme a Rue, Jules è il personaggio centrale della serie: una ragazza trans interpretata dalla magnifica Hunter Schafer, alla sua prima prova di recitazione (classe 1999, normalmente lavora come modella: ha sfilato per Rick Owens, Helmut Lang, Tommy Hilfiger, Maison Margiela, Vera Wang, Marc Jacobs, Emilio Pucci e altri). Schafer era già abbastanza nota per aver preso la parola, a 17 anni, come attivista per i diritti delle persone transgender. La vita reale degli attori si mescola con quella dei personaggi che interpretano sullo schermo: sul sito ufficiale ci sono dei brevi video in cui ognuno di loro spiega qualcosa, del tipo “Barbie Ferreira rivela come le sue esperienze personali hanno influenzato la sua interpretazione di Kat”. I loro profili Instagram sono invasi dai giovani ammiratori, entusiasti. La stampa ha reagito in modo decisamente diverso (a parte il Guardian, tra i pochi a dare un giudizio positivo): perplesso il New Yorker, leggermente più soddisfatto il New York Magazine, scettico anche Vox. Molte recensioni lamentano una certa mancanza di profondità, come se le puntate si sviluppassero per «punti esclamativi», impedendo alla storia di «respirare», e contestano la coolness generale dell’operazione – è tutto meraviglioso: dal make-up ai look, dalle carte da parati e gli interni alle strade buie del sobborgo, con le palme, le croci al neon e le pozzanghere luccicanti, per non parlare della fotografia patinatissima (tra Moonlight di Barry Jenkins e le immagini di Gregory Crewdson) e della creatività del montaggio – un’eccessiva cura dei singoli dettagli che trasforma la serie in un lungo video musicale emotivamente sovraccarico: troppo veloce, troppo drammatico, compiaciuto e auto-indulgente durante le scene di sballo e di sesso, ossessionato dall’esigenza di attirare la nostra attenzione, lievemente ottuso quando si tratta di analizzare il dolore, sempre attento all’estetica quando si tratta di manifestarlo: proprio come certi adolescenti.

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