Cultura | Mostre

Ancora Sottsass? Sì

La nuova mostra di Triennale Milano è la risposta perfetta a chi si chiede il perché di un'altra mostra dedicata a Ettore Sottsass.

di Enrico Ratto

È la vita degli artisti quello che conta, non la loro opera. «Le opere sono cadaveri vaganti» è con questo testo, scritto a mano da Ettore Sottsass e stampato su un enorme pannello, che la Triennale di Milano apre la mostra “Ettore Sottsass. La Parola” (dal 20 gennaio al 2 aprile 2023). «Tutti dovrebbero sempre raccontare la loro vita e scrivere diari immensi», afferma Sottsass, «anzi tutti dovrebbero soltanto vivere, voglio dire sapere di vivere».

Questa terza mostra in Triennale – a scanso di equivoci, nessuna trilogia che si chiude, tutt’altro, piuttosto la terza puntata di una saga che proseguirà anno dopo anno – è dedicata al tema della “Parola”, elemento presente in tutta l’opera di questo autore che ha saputo lavorare su ogni aspetto della creatività: architetto, designer, fotografo, artista, scrittore. Marco Sammicheli, che ha curato la mostra attingendo all’immenso archivio di Sottosass anche grazie alla collaborazione di Iskra Grisogono e Barbara Radice – per conoscere le pieghe della storia, andrebbero letti i diari raccolti in “Perché morte non ci separi”, che Barbara Radice ha iniziato a tenere il giorno dopo la morte di Sottsass – ha scelto di non esporre quei testi della produzione letteraria di Sottsass che Adelphi, Neri Pozza, Electa e altri editori stanno periodicamente pubblicando. «Questo non è un omaggio alla letteratura di Sottsass« spiega Sammicheli «è una mostra sulla sua capacità di fare letteratura».

Foto di Gianluca Di Ioia

Così, il manicheismo della vita che «o la si vive o la scrive» viene facilmente superato da Ettore Sottsass, che non ha mai smesso né di vivere, né di scrivere. «È stato un uomo che ha vissuto moltissimo, ha affrontato ogni esperienza con grande profondità, e che non mai smesso di lavorare» dice Sammicheli «è stato capace di trasformare qualcosa di personale in universale. E ha sempre avuto saputo trasferire la parola orale in parola scritta con lucidità e limpidezza». La parola per Ettore Sottsass è un elemento ricorrente che ha ruoli diversi: può essere descrittiva, visiva, compositiva, a volte è ironica, altre di denuncia, può essere una dichiarazione, uno statement, oppure un gesto simile alla pittura parietale primitiva che supera qualsiasi codice – alfabeto o ideogramma – per andare alle radici del segno.

Tra le opere esposte al primo piano della Triennale, dove il Presidente Stefano Boeri nel 2021 ha voluto dedicare uno spazio permanente a Ettore Sottsass, si trova “Il pianeta come Festival”, del 1972. Festival, un’idea di condivisione, una parola che esprime la possibilità di guardare il mondo insieme e che si offre a diversi livelli di lettura: stare insieme, ma per fare festa o per condividere una protesta? È questo l’esempio di come le parole, le frasi e i titoli di Sottsass debbano essere letti con un punto interrogativo finale. «Non c’è asserzione in queste opere», dice Sammicheli, «sono sempre domande sul mondo che Sottsass, con grande capacità di assimilazione, si è trovato a osservare. Giornali, taccuini, diari… tutto è una possibilità per Sottsass». Nessuno ha detto “strumento”, e sarebbe bello poter sempre sostituire la parola “strumento”, così orientato sulla funzione, con la parola “possibilità”.

Foto di Gianluca Di Ioia

Ettore Sottsass, oltre all’incredibile capacità di non finire mai relegato in un quadro disciplinare, procedendo appunto per possibilità, è stato un grande maestro, ha voluto coltivare generazioni di autori. Dal suo studio, dai movimenti di cui si è fatto promotore, sono usciti grandi architetti, designer, curatori, scrittori. È per questo che alla domanda: perché un’altra mostra di Sottsass? La risposta è immediata: è per la volontà di aggiungere conoscenza.