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La malinconia del nuovo Jack Frusciante

Due, il sequel del libro cult di Enrico Brizzi, sembra scritto ancora nel 1994: stessi sentimenti, ma un oceano in più in mezzo.

di Francesco Zani

Non avrei mai pensato che un giorno sarei tornato in libreria per comprare di nuovo Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi. Se è vero che Due è un libro diverso e nuovo, è ancora più vero che lì dentro ci sono sempre il vecchio Alex e Aidi, c’è la malinconia senza ritorno di Martino, ci sono i portici di Bologna, le biciclette che filano da Porta Saragozza verso il mondo e uno struggimento d’amore che forse così esiste solo a diciassette anni o giù di lì. Quando l’ho apertola copertina è disegnata da Alessandro Baronciani, e il tocco si vede subito – ho provato la stessa sensazione della sera in cui sono andato al cinema a vedere Trainspotting 2: una gran paura. Che non fosse più il Jack Frusciante di prima, il Brizzi di una volta, e soprattutto che io non fossi all’altezza del me 16enne che raccolse l’isolato suggerimento di lettura per l’estate di uno stanco professore di lettere. La piccola edizione Baldini&Castoldi in copertina rigida mi appassionò come mai prima e mi regalò la consapevolezza che i libri potevano anche parlare come me, parlare a me, parlare di me. 

«La paura è legittima e fisiologica», mi spiega Brizzi che incontro il giorno dopo a un reading trionfale del Jack Frusciante atto primo, ancora pieno di emozione per aver riempito il Locomotiv di Bologna, «ma nella vita di uno scrittore questo sentimento non deve trovare spazio. Ho scritto senza pensieri, ho scritto perché c’è stato un giorno in cui ho sentito che non potevo fare altrimenti, ho scritto perché la voce di quel libro mi ha chiamato a sé». La voce, appunto, quella di Due è perfettamente accordata a quella di Jack Frusciante e per la penna di Brizzi non è passato un giorno nonostante di anni invece ne siano trascorsi trenta tondi tondi. «Mi sono sentito un vecchio musicista che da adolescente aveva iniziato a suonare con una chitarra comprata grazie ai risparmi di una vita. Nel corso della carriera poi ci si affina, si trovano stili diversi, si impara, si cambia e di strumenti se ne possono usare un numero infinito. Però arriva il giorno in cui quella prima chitarra la riabbracci e ti accorgi che suona sempre allo stesso modo, allora pensi che vorresti farla sentire a più persone possibili».

La notizia dell’uscita di Due ha rotto la parete della bolla editoriale. Appena usciti i primi titoli, avevo postato subito una storia su Instagram e mi avevano risposto persone con cui non mi era mai capitato di discutere di libri. Addirittura, più avanti, ne avevo parlato con una vicina di casa durante una cena nel giardino condominiale mentre i nostri figli correvano goffamente in monopattino. Non è una cosa che succede di frequente in Italia e una passeggiata per le librerie del centro di Bologna basta a vedere come ogni vetrina sia dedicata a Brizzi con la storica Feltrinelli di Piazza Ravegnana che gli ha dedicato la facciata che dà proprio sulle due torri. 

«La sera dopo che finivo di scrivere ci trovavamo a leggere il romanzo ad alta voce insieme a Sara – la donna che amo – e alle mie figlie. La più grande mi ha anche aiutato nell’editing perché le è venuta la malsana idea di voler lavorare nel mondo editoriale. È stato il mio agente a dirmi che più passava il tempo e più era necessario informare Harper Collins perché dovevano saperlo. Durante la riunione in cui l’ho annunciato sono crollare diverse mascelle per lo stupore e tutti sono rimasti a bocca aperta. Non ci poteva credere nessuno ma tutti mi hanno sostenuto immediatamente». 

E il sostegno della casa editrice è ricaduto su ogni piccolo dettaglio nella lavorazione di Due perché il processo finale di editing si è accordato alla perfezione con quello che è da sempre lo spirito battagliero e carnale di Brizzi. La sua letteratura è fisica, fin dalle spinte sui pedali del vecchio Alex e dai corpi di Bastogne. «Quando il libro era pronto ho chiesto una cosa cosa ad Harper. Due è un libro ambientato negli anni ’90, scritto in analogico, con le regole e i meccanismi di quel tempo perciò anche l’editing doveva essere svolto rispettando questo spirito. Niente pdf, niente mai, niente call. Io e Carlo Carabba ci siamo chiusi cinque giorni in una locanda sull’Appennino a fare a pugni con il testo. Tutti e due a mani nude, senza il disturbo del cellulare perché lì proprio non c’è rete. Ci hanno coccolato e cucinato pranzi e cene con cui interrompevano dieci o dodici ore di lavoro al giorno». 

Gli anni ’90 e la caduta del muro di Berlino sono la cornice storica perfetta per continuare a raccontare la storia di Alex e Aidi ma anche per far vivere ancora l’atmosfera del primo Jack Frusciante. Il pregio di Due è questo, e avvolge ogni pagina. Si respira ancora quel clima, l’allegro cinismo emiliano, la voglia di prendersi sempre in giro ma anche di soffrire e disperarsi a ogni passo, il rapporto con la famiglia borghese, il sogno della musica, Manu Chao, un amore a distanza che non decolla perché a renderlo felice è sempre e ancora una volta la distanza. Trent’anni prima era la distanza dal centro di Bologna fino ai colli, ora è la distanza tra l’Italia e gli Stati Uniti. 

Adelaide scrive da lontano, un’America in cui si è trasferita per frequentare l’intero anno delle superiori e che sta per gettarsi tra le braccia della presidenza Clinton. La penna di Brizzi trova qui forse la sua vetta più riuscita di sarcasmo nel descrivere gli usi e costumi lontani, le baracconate dei balli di fine anno e il vestito pacchiano che la famiglia ospitante le regala per il compleanno. Aidi è tenera, nel suo scrivere lunghe lettere ad Alex e contare per filo e per segno le settimane di discrepanza tra invio e ricezione, una distanza che da fisica diventa anche temporale e aumenta fraintendimenti e sofferenza.

«Lo scorso anno ho riletto per la prima volta Jack Frusciante dall’inizio alla fine, da pagina 1 a pagina 174 e la cosa più naturale del mondo è stata alzarmi dal divano e passare alla scrivania per scrivere ancora di loro. Non ho mai pensato di dover raccontare un seguito ambientato in un tempo lontano ma mi è venuto in mente di ricominciare come se fosse la pagina 175 di quel libro là. Alex e Aidi sono nati nella mia mente come due adolescenti, e lo saranno per sempre. Non avrei mai potuto vederli da adulti o farli vivere un altro tempo». 

Due è un libro malinconico nella sua essenza, e forse non sarebbe potuto essere altrimenti, ma la nostalgia che si respira non sembra mai artificiale. Si vive la Bologna di Alex, dei genitori che assistono preoccupati agli scandali che coinvolgono Craxi e si chiedono cosa succederà, dell’esame di maturità che visto da vicino fa una paura vigliacca e poi passa in dieci minuti dieci. I colori vintage sembrano quelli di un Vhs, e il magone arriva puntuale. Per chi eravamo quando Jack Frusciante uscì, per chi siamo diventati adesso e per tutto quello che é successo – o non è successo – nel mezzo.