Le attiviste che hanno lanciato la zuppa di pomodoro sui Girasoli di Van Gogh hanno compiuto un gesto narrativamente perfetto ma che lascia un dubbio: si può discutere della crisi climatica compiendo azioni così radicali?
Cosa ha scritto Emily Ratajkowski nel saggio su Vogue Us sulla sua gravidanza
Che il 2020 sia e sia stato finora un anno indimenticabile è probabilmente opinione della maggioranza. Che sia stato anche un anno fortunato, però, forse lo può dire solo Emily Ratajkowski: dal successo del saggio scritto per The Cut (ne avevamo parlato qui) a settembre, a quello comparso ora su Vogue Us, con cui “Emrata” ha annunciato di essere incinta. L’articolo, che accompagna Who Will You Be?, il video di Lena Dunham in cui la modella e attrice racconta in modo molto personale la sua gravidanza, ha attirato l’attenzione per via di alcune dichiarazioni di Emily, che scrive: «Quando ci chiedono se speriamo sia maschio o femmina, io e mio marito diciamo che non sapremo il suo genere finché non avrà compiuto 18 anni. Poi ce lo farà sapere».
Emily parla infatti di identità di genere, quella in cui la persona si riconosce a un certo punto della vita: «La verità è che non abbiamo idea di chi o di cosa stia crescendo dentro di me. Chi sarà questa persona? Che tipo di genitori diventeremo? Come cambieranno le nostre vite e chi siamo? Questo è un concetto meraviglioso e terrificante, che ci rende impotenti». La sua intenzione è infatti quella di non imporre al figlio o alla figlia alcun tipo di stereotipo di genere, «ma per quanto progressista possa sperare di essere, capisco il desiderio di conoscere il sesso del bambino; che è comunque più un desiderio degli altri, piuttosto che nostro».
«Quando ho detto a mio marito che da piccola speravo avrei avuto una bambina, mi ha risposto “temo che una femmina, da adolescente, potrebbe avere molti problemi ad averti come madre, a livello di pressione sociale”, e mi ha fatto sussultare. Penso a mia madre, al fatto che da piccola spesso fossi gelosa di lei, e che la prima idea di bellezza che abbia mai avuto è stata quella per cui equivalesse al potere, come molte altre bambine», continua. Genere o meno, a suo marito, Sebastian Bear-McClard, piace dire “siamo incinta”. «Ma la gravidanza è per natura solitaria; è qualcosa che una donna fa da sola, dentro il suo corpo, non importa quali siano le sue circostanze. Nonostante abbia un partner amorevole e molte amiche pronte a condividere i dettagli delle loro gravidanze con me, alla fine sono sola con il mio corpo in questa esperienza. Non c’è nessuno che lo senta come lo sento io».
Nell’articolo, oltre a recuperare un tema già presente nel primo pezzo scritto su the Cut, a proposito di come il mondo si sia appropriato della sua vita e soprattutto della sua immagine – «Instagram sa che sono incinta prima della maggior parte dei nostri amici, e anche dei miei genitori» – Emily scrive anche di alcuni stereotipi ormai ancorati alla nostra società, chiedendosi se rappresentino qualcosa di vero: «Ho visto tantissimi “gender reveal party”, in cui i genitori e i parenti scoprono in diretta il sesso del bambino, e i padri sembrano sempre più sollevati quando dal palloncino cadono coriandoli azzurri. Mio marito mi ha giurato di non avere preferenze, ma una domenica mentre guardava la partita, l’ho sentito fare un’osservazione su quanto sarebbe bello avere un maschio con cui guardarle. Come se alle femmine non piacessero per principio». Gli ha risposto che forse avrebbe più paura di avere proprio un maschio, «è scioccante rendersi conto di come i ragazzi in età precoce acquisiscano un senso di diritto e di potere, sul corpo delle ragazze e sul mondo in generale». Lui era d’accordo.

Come funziona Jigsaw, la divisione (poco conosciuta) di Google che sta cercando di mettere la potenza di calcolo digitale del motore di ricerca al servizio della democrazia, contro disinformazione, manipolazioni elettorali, radicalizzazioni e abusi.