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Emily Ratajkowski sta cercando di riprendersi il suo corpo

La modella e attrice ha scritto un saggio su The Cut in cui racconta di come, negli anni, abbia tentato di riappropriarsi della sua immagine, tra battaglie legali e molestie.

di Silvia Schirinzi

Un primo piano di Emily Ratajkowski, dal suo profilo Instagram

Insieme a Kim Kardashian, Emily Ratajkowski è stata la Instagram girl per eccellenza. Oggi, di fronte ai balletti, ai filtri e alle smorfie di Bella Poarch su TikTok, il modello di bellezza che incarna ci sembra quasi un po’ passè, e ripensare a quel selfie in topless, sempre accanto a Kim, – caption «Siamo molto più dei nostri corpi, ma questo non significa che dobbiamo vergognarci della nostra sessualità», hashtag #liberated – fa quasi impressione, se si pensa a come sono cambiati lo scenario social e tutti i suoi orpelli. Era il 30 marzo del 2016, d’altronde, anni luce da dove siamo oggi: non c’era TikTok, non c’era la pandemia, andava ancora in onda Girls di Lena Dunham e pensavamo che i giovani fossero i Millennial. Insomma, era una vita fa. Con il suo profilo, Ratajkowski ha rappresentato quasi un archetipo di quella che ci saremmo abituati a chiamare “estetica Instagram”, bellissima “come se l’avessero costruita dei teenager arrapati”, recitava la didascalia di una sua foto nella serie degli “Instagram Paintings” di Richard Prince. Una didascalia che a lei non era piaciuta per niente, tra l’altro, così come non le era piaciuta l’idea che un suo post di Instagram, uno scatto del suo primo servizio fotografico per Sports Illustrated, fosse diventato un’opera solo quando un artista, un uomo, aveva deciso di tirarla fuori dal suo feed e appenderla in una galleria d’arte per raccontare un’epoca, quella dei social e del personal branding, di cui lei era diventata una sorta di incarnazione. Ratajkowski tutte queste cose le ha raccontate in un saggio, “When does a model own her own image?”, uscito ieri su The Cut, dove ha scritto anche di com’è stato difficile per lei, che di mestiere fa la modella, riappropriarsi della sua immagine e provare, per quanto possibile, a controllarla.

Al contrario delle popstar come Beyoncé, che nell’era di Instagram ci sono approdate con un’organizzazione militare riguardo alle loro foto – consegnandoci perciò profili artificiosi e freddi, cui si mette il like perché è Beyoncé, le si vuole bene, ma si è consapevoli di osservarla da lontano –, Emily Ratajkowski è una di quelle che la sua griglia di contenuti l’ha costruita sulla spontaneità recitata e sulla presupposta vicinanza che hanno fatto la fortuna di Instagram. Niente era vero, se non il fatto che lei fosse – è – bellissima, ma l’esposizione di se stessa e del suo corpo è sempre avvenuta in maniera perfettamente organica alla piattaforma che la ospitava. Il suo seno, il suo sedere, le sue labbra, i suoi occhi da Bambi, la spaccatura degli addominali di cui lei, insieme a poche altre fortunate, è naturalmente dotata, hanno settato un modello che in questi anni ha ridisegnato il modo in cui milioni ragazze nel mondo si sono fatte i selfie e presentate attraverso il loro avatar digitale.

Per tutti questi motivi, la lettura del suo saggio lascia una sensazione quantomeno bizzarra, perché alla fine scopriamo che anche Emily Ratajkowski, ventinovenne liberata così a suo agio nel meccanismo della sovraesposizione, in realtà ha combattuto per anni per riavere indietro alcune sue foto, ha odiato molte sue immagini, ha guardato il suo volto e il suo corpo riprodursi all’infinito secondo i meccanismi della viralità senza che lei potesse bloccarsi, cancellarsi, possedersi. Non solo le opere di Richard Prince, frutto di una riflessione per la verità alquanto pigra sul nostro rapporto con la celebrità e i social, ma anche la foto che le ha scattato un paparazzo mentre regge un mazzo di fiori che le copre la faccia, e che lei ha ripostato sul suo Instagram per fare gli auguri a un’amica, beccandosi una denuncia per violazione dei diritti d’immagine. La sua. Come racconta, uno dei “quadri” di Prince alla fine se l’è comprato, l’altro campeggia nella sala da pranzo del gallerista, un pensiero che ancora oggi la mette a disagio, alla causa del paparazzo ha scelto di non rispondere per non impelagarsi in una costosa battaglia legale, ma c’è un altro episodio che, più degli altri, racconta bene il difficile rapporto che una donna bellissima, che con la sua immagine ci lavora, può avere con il meccanismo intricato che l’ha portata alla fama.

Quando aveva vent’anni, Emily Ratajkowski ha preso parte a un servizio di nudo per il magazine Darius, affidato al fotografo Jonathan Leder. Le polaroid che Leder ha scattato quella sera sono diventate tre libri interamente dedicati a lei, altrettante mostre e ristampe, ma Ratajkowski scrive che né lei né la sua agente dell’epoca avevano mai firmato una liberatoria per le immagini, al di fuori di quelle selezionate per il magazine. Soprattutto, la modella ha accusato Leder di averla molestata alla fine di quella giornata, un’accusa che il fotografo smentisce. «Non ho idea di che ora fosse quando la truccatrice ha annunciato che sarebbe andata a letto (…) Ero arrabbiata con lei per avermi abbandonato, ma non volevo ammettere a me stessa che la sua presenza aveva fatto la differenza. Posso gestirlo da sola, ho pensato». Secondo quanto racconta Ratajkowski, è in quel momento che Leder l’avrebbe aggredita, prima di ritirarsi dopo il suo rifiuto e far finta di nulla il giorno dopo. Da quel momento non avranno più contatti, se non tramite i legali per la questione dei diritti delle foto. «Di tanto in tanto andavo a controllare il suo profilo [di Leder, nda] online; mi sentivo quasi come se stessi controllando una parte di me, la parte di me che ora lui possedeva. (…) Era quasi inebriante vedere cosa aveva fatto con questa parte di me che aveva rubato», scrive lei, consegnandoci ancora un’altra versione di sé, questa volta tridimensionale. È strano leggere il racconto che la modella fa di se stessa, così com’è strano leggere i commenti che accompagnano l’articolo, che spaziano da “Però, è una tipa intelligente” a “Come scrive bene” fino all’immancabile “È una puttana in cerca di visibilità”.

Per anni abbiamo guardato il suo culo impossibilmente perfetto, quasi una categoria ontologica a sé, c’era lei e c’eravamo noi, ora leggiamo le sue parole e vorremmo proteggerla, abbracciarla, scusarci di quelle volte che l’abbiamo odiata perché era irraggiungibile, ora la sua bellezza potrebbe mettere a disagio in un modo che non avevamo ancora sperimentato. Ok le smorfiette e i balletti delle ragazzine su TikTok, ma Emily Ratajkowski è appena entrata in una nuova fase della sua celebrità, e noi con lei. «Alla fine, Jonathan finirà le sue polaroid, ma io rimarrò sempre la vera Emily; la Emily che possiede la Emily in versione opera d’arte, e anche quella che ha scritto questo saggio. La Emily che continuerà a ritagliarsi il controllo dove può trovarlo». Anche questa volta la imiteranno in tanti.