Attualità

Ello e il dopo-Facebook

Abbiamo provato Ello, il social network che promette di non fare di te un prodotto e che si propone come alternativa etica a Facebook. Una recensione tra design, usabilità e sviluppi futuri del settore delle reti sociali.

di Cesare Alemanni

La mia prima volta con Facebook è capitata quasi per caso nel marzo del 2007. Ero stato qualche giorno a Barcelona a trovare un amico il quale aveva caricato le fotografie della mia permanenza da lui su uno strano sito, raccontandomelo come una specie di enorme forum per expat e studenti Erasmus. Dopo essermi registrato, con un nome fittizio e una email che ora non uso più (ero molto prudente, sì), mi ritrovai dentro questa “cosa” di cui non avevo ancora sentito parlare e di cui, lì per lì, non colsi particolarmente nè lo scopo nè il potenziale. E infatti, salvate rapidamente le immagini sul mio hard disk, non ci misi più piede fino al tardo 2008, questa volta con il mio vero nome, quando ormai Facebook imperversava anche in Italia.

Di quel primo e fugace incontro con il social network ricordo il senso di desolazione e acerbità. Nel primo trimestre 2007, a meno di essere un universitario americano, Facebook era una landa spopolata. C’era ben poco da fare e ben poche “persone della tua vita” con cui connetterti.

Questo precedente mi è tornato alla mente qualche giorno fa quando, dopo aver ricevuto un gentile invito, ho fatto il mio esordio su Ello (@cesarealemanni). Ello è il nuovo social network “dal volto umano” di cui, nel bene e nel male, si sta parlando molto in questi giorni. Nel “bene” per le intenzioni, affidate dai suoi fondatori a un manifesto zeppo di affermazioni apodittiche, di tutelare la privacy degli utenti e di non trattare i loro dati come proteine per aziende e pubblicitari al grido di you are not a product. Nel “male” perché qualcuno già si domanda con scetticismo se in futuro queste promesse verranno effettivamente mantenute.

Nel primo trimestre 2007, a meno di essere un universitario americano, Facebook era una landa spopolata. C’era ben poco da fare e ben poche “persone della tua vita” con cui connetterti.

La ragione per cui l’iniziale impatto con Ello mi ha ricordato quello con Facebook è che attualmente il social network è ancora in fase di sviluppo e quindi ad accesso ristretto. È infatti possibile iscriversi soltanto se invitati da un utente già iscritto, il che rende improbabile trovare persone di propria conoscenza in gran numero. È un modo per controllarne la crescita, che nelle ultime settimane è stata fulminea (si parla di 30.000 nuovi utenti all’ora), ed evitare che il sito cada di continuo a causa di server troppo oberati. Si tratta di una strategia adottata da qualunque social network in fase di lancio – Facebook agli esordi incluso – e che conferisce oltretutto quella certa aura di esclusività che non guasta e anzi alimenta la chiacchiera. Ma se un social network è paragonabile a un linguaggio e il suo peso specifico è commisurato al numero di persone che lo adottano, al momento  Ello sta a Facebook un po’ come il ladino sta al globish.

E tuttavia si parla di Ello come della nuova alternativa al servizio di Marc Zuckerberg, l’ultima in ordine di tempo dopo l’alba e anche il tramonto dei vari Diaspora, Path etc.., sigle che, proprio come Ello, promettevano una condotta meno vampiresca nei confronti dei loro utenti. La peculiarità di Ello è che sembra proporsi sul mercato forte di un ethos e di un’estetica più sofisticate rispetto a quella dei vari anti-facebook che l’hanno preceduto. A differenza di questi ultimi, generalmente concepiti e disegnati da professionisti provenienti dall’IT, Ello si presenta infatti come il frutto della mente di – cito – “un gruppo di sette artisti riconosciuti”. Una formulazione tra il sibillino e il pretenzioso dietro la quale si cela principalmente Paul Budnitz, un creativo di Denver noto più per aver lanciato un’azienda di toy da collezione e una di biciclette assemblabili (due imprese in cui, a suo dire, avrebbe «coniugato arte e prodotto») che per le eventuali scorribande in territorio digitale. Insieme a Budnitz ci sono poi uno studio di grafici e uno di programmatori, entrambi del Colorado, oltre all’immancabile fondo di capitali di ventura (i cui responsabili sono stati definiti da Budnitz come dei «super-leftist illuminati», allineati al 100% con l’etica di Ello anche a scapito di rapidi profitti): la FreshTracks Capital di Shelburne, in Vermont, la cui presenza nel board di Ello, che non è stata comunicata con la trasparenza che ci si aspetterebbe da un’azienda che vuole fare un vanto della propria integrità, è diventata il principale magnete per le critiche ricevute da Budnitz & co. in queste prime (e forse anche ultime) settimane di gloria.

Ma si diceva dell’estetica di Ello. Appena entrati nel social network non si può fare a meno di notare l’essenzialità della veste grafica, enfatizzata dal bianco e nero del layout e da una scelta tipografica – la convivenza di sans serif e courier – sicuramente al corrente di alcuni trend della grafica editoriale ma piuttosto inusuale per l’ambiente digitale, dove predominano i colori e le font vengono adottate più per la loro leggibilità che per la loro eleganza o personalità. Una rottura voluta rispetto al canone visivo imperante online, che però non ha incontrato il favore di tutti, dividendo le opinioni tra chi ha apprezzato il minimalismo così à la page del design, chi ne ha civilmente criticato la scarsa fruibilità e chi infine l’ha liquidato senza mezzi termini come una specie di «Goggle + disegnato per assomigliare a un bunker tedesco».

C’é chi ha liquidato senza mezzi termini il design di Ello definendolo una specie di «Goggle + disegnato per assomigliare a un bunker tedesco».

L’altra cosa che non si può non notare dopo aver vagabondato qualche giorno per Ello è come, in realtà, piuttosto che un’alternativa alla proposta di Facebook, il social network ricordi una specie di ibrido tra tumblr e twitter. Più che per postare la foto che ti sei fatto la scorsa estate in quel-posto-pazzesco-proprio-da-non-crederci in attesa che piovano like (che, di fatto, su Ello non esistono per volontà dei suoi creatori), per cazzeggiare con gli amici o per farti i fatti loro, Ello sembra concepito – o perlomeno è così che l’ho visto usato finora – per invogliare l’utente a condividere contenuti (di) terzi (opere d’arte, fotografie famose, citazioni, articoli) o per convogliare le proprie riflessioni in post più lunghi dello status standard di Facebook. Riflessioni peraltro finora dedicate per il 90% allo stesso Ello o comunque, in generale, allo “stato dell’arte e della privacy nei social network del 2014” con toni che scivolano spesso nel catastrofismo.

Se per lo spirito i fondatori di Ello si sono rifatti a Tumblr, per la lettera è a twitter che hanno guardato. Su Ello non si inviano richieste di mutua amicizia bensì si seguono gli utenti (è poi possibile decidere se inserire il seguìto nel gruppo dei “Friends” o all’interno della categoria “Noise”, il chiacchiericco di fondo, con l’unica differenza che dei primi riceviamo ogni aggiornamento nella sua interezza e dei secondi solo una preview), mentre per interagire con essi, o taggarli all’interno di un proprio aggiornamento, è necessario scrivere il loro nick preceduto dalla proverbiale chiocciola (a differenza di Facebook dopo il recente cambio di policy, Ello non richiede l’uso del proprio vero nome, una circostanza che ha peraltro premuto il grilletto della recente popolarità di Ello).

L’impressione più consistente che resta dopo qualche giorno di utilizzo è che, alla base di Ello, manchi un’idea di sviluppo di fondo, se non addirittura delle vere competenze su come dovrebbe funzionare e su ciò che dovrebbe offrire un social network.

Oltre a non brillare per originalità, essendo un ibrido tra due piattaforme già esistenti, Ello ha finora anche il problema di offrire un’usabilità deficitaria. Un difetto che é in parte dovuto alla già menzionata scelta di prediligere una grafica ricercata a una funzionale, che rende difficile localizzare i “pulsanti” con cui fare le cose, e in parte imputabile al fatto che il progetto è ancora in fase beta e dunque fisiologicamente imperfetto. Tuttavia l’impressione più consistente che resta dopo qualche giorno di vagabondaggio al suo interno è che, alla base di Ello, manchi un’idea di sviluppo di fondo, se non addirittura delle vere competenze su come dovrebbe funzionare e su ciò che dovrebbe offrire un social network che – almeno in teoria – un giorno potrebbe gestire enormi volumi di traffico, con tutte le implicazioni tecnologiche ma anche sociali e politiche che questo comporterebbe. Una tara di consapevolezza che, secondo alcuni critici,  si evincerebbe per esempio dal fatto che gli sviluppatori non abbiano immediatamente pensato a opzioni basilari quali la possibilità di bloccare utenti sgraditi o di rendere il proprio profilo invisibile ai non iscritti.

Paradossalmente però, il fatto che Ello sia comunque riuscito ad attirare tanta attenzione nonostante un servizio così inefficiente, è forse la parte più interessante della sua breve storia. Per prima cosa perché testimonia dell’esistenza di un’esigenza reale e crescente di alternative al monopolio di un solo social network. In second’ordine perché rivela come, con un po’ di furbizia e gli argomenti giusti, si possa sfruttare questa esigenza per indirizzare su di sè straordinarie quantità di hype parzialmente ingiustificato. In terza istanza perché, proponendosi come alternativa non solo funzionale ma anche etica/estetica al monopolio in questione, come alternativa di nicchia verrebbe da dire, forse ci può dire qualcosa sul futuro del settore.

Di fronte alle richieste di un chiarimento sul ruolo di FreshTrack Capitals all’interno del board di Ello, Budnitz ha ribadito che mai e poi mai venderà informazioni sugli utenti alle aziende e che il modello di business del suo sito si baserà sulla vendita diretta agli utenti, per pochi centesimi, di singole funzionalità speciali (possibilità di gestire più profili con un solo login, emoticon etc…) da integrare al profilo base per personalizzarlo a seconda delle proprie esigenze. Un suo socio, il designer Todd Berger, ha inoltre precisato che, in ogni caso, lo scopo dei fondatori di Ello è sempre stato quello di avviare semplicemente un buon business senza l’ambizione «di diventare miliardari».

Forse la storia di Ello potrebbe semplicemente rivelarsi quella di un gruppo d’imprenditori del Colorado che ha capito che se non puoi “vendere” la privacy di molti utenti, puoi sempre provare a vendere a pochi utenti il concetto di privacy.

E la storia passata, presente e futura di Ello si può probabilmente riassumere interamente in quest’ultima dichiarazione che mette le cose in proporzione. E, a differenza di come è stata raccontata finora, potrebbe non essere quella del “sito che si proponeva come alternativa a Facebook” puntando a conquistare i suoi miliardi di utenti in nome dell’Etica universale. Forse potrebbe semplicemente rivelarsi la storia di un gruppo d’imprenditori del Colorado che ha capito che se non puoi “vendere” la privacy di molti utenti, puoi sempre provare a vendere a pochi utenti il concetto di privacy. Poi magari qualcuno si compra anche qualcos’altro.

In questo senso – guardando oltre Ello e tenendo a mente gli studi che prevedono una crescente percentuale di abbandoni di Facebook nei prossimi cinque anni – con il suo aspetto smaccatamente arty-farty,  l’appropriazione/commodificazione della battaglia sulla mercificazione dell’utente – due tra i tanti connotati di Ello che sembrano rivolgersi a un target ben preciso: giovane, urbano e mediamente istruito (o, come ha definito Ello l’autore di un post che ho letto su Ello: «a straight-white-man-cave») – Ello potrebbe, con il tempo, rivelarsi il primo social network ad avere intuito che, se mai arriverà quel momento, l’eredità di Facebook non sarà raccolta da un “altro-Facebook-ma-meglio” bensì da una galassia di network cuciti su misura di specifiche sensibilità sottoculturali.

 

Nelle immagini, alcune schermate di Ello