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22:19 martedì 15 luglio 2025
Il figlio di Liam Gallagher si sta facendo bello ai concerti degli Oasis indossando le giacche del padre Gene Gallagher è stato pizzicato a indossare una giacca Burberry di papà al concerto di Manchester: l’ha definita un «cimelio di famiglia».
In una piccola città spagnola, una notizia che non si sa se vera o falsa ha portato a una caccia all’immigrato lunga tre giorni Tutto è partito da una denuncia che ancora non è stata confermata, poi sono venute le fake news e i partiti di estrema destra, infine le violenze in strada e gli arresti.
Una ricerca ha scoperto che quando sono stressate le piante ne “parlano” con gli animali Soprattutto con gli insetti, attraverso dei suoni specifici. Gli insetti però non sono gentilissimi: se una pianta sta male, loro la evitano.
Hbo ha pubblicato la prima foto dal set della serie di Harry Potter e ovviamente ritrae il nuovo Harry Potter L'attore Dominic McLaughlin per la prima volta volta in costume, con occhiali e cicatrice, sul set londinese della serie.
Nel nuovo disco di Travis Scott c’è un sampling di Massimo Ranieri In uno dei più improbabili crossover di sempre, nella canzone "2000 Excursion" di Scott si trova anche "Adagio Veneziano" di Ranieri.
L’annuncio dell’arrivo a Venezia di Emily in Paris lo ha dato Luca Zaia Il Presidente della Regione Veneto ha bruciato Netflix sul tempo con un post su Instagram, confermando che “Emily in Venice” verrà girato ad agosto in Laguna.
Ancora una volta, l’attore Stellan Skarsgård ha voluto ricordare il fatto che Ingmar Bergman era un ammiratore di Hitler «È l’unica persona che conosco ad aver pianto quando è morto Hitler», ha detto. Non è la prima volta che Skarsgård racconta questo lato del regista.
Superman non ha salvato solo la Terra ma anche Warner Bros. La performance al botteghino dell'Uomo d'acciaio è stata migliore delle aspettative, salvando lo studio dalla crisi nera del 2024. 

Dunkirk è il film dell’anno

Christopher Nolan ha girato un film di guerra monumentale, in un'epoca in cui la guerra è di nuovo vissuta come esperienza che ci riguarda tutti.

02 Agosto 2017

Un soldatino inglese corre per le strade vuote, piovono dal cielo volantini tedeschi, «vi stiamo accerchiando», corre ancora, schiva gli spari, ci sono dei militari là in fondo, sono francesi, un sospiro di sollievo, «passa di qui!», l’ultimo tratto di corsa, fino al mare. La prima, prodigiosa sequenza di Dunkirk, scritto e diretto da Christopher Nolan, ha la struggente bellezza di un finale. Basta questo avvio a renderlo un instant classic? Direi di sì. Basta il fatto che tutto il mondo ne sta ossessivamente parlando a renderlo il film dell’anno? Può darsi pure questo.

In Italia l’ossessione – no: l’indignazione – deriva dal fatto che uscirà con un mese di ritardo (il 31 agosto), caso pressoché unico al mondo. Gli italiani d’estate preferiscono le notti della taranta, è un fatto. I pochi giornalisti che l’hanno già visto sono sotto embargo fino al rientro dalle ferie, io ho pagato un biglietto a Potsdamer Platz dunque sono immune da qualsiasi divieto. Altrove, si diceva, ne parla chiunque. Time magazine lo ha appena messo in copertina, titolo «The Miracle of Dunkirk». La stampa è unanime nel gridare al capolavoro: su Rotten Tomatoes, tornasole quasi infallibile della critica internazionale, ha il 93% di consensi positivi. Il pubblico risponde numeroso: non era scontato che un blockbuster così dichiaratamente d’auteur facesse cento milioni di dollari negli Stati Uniti (e duecentoquaranta nel mondo) in due weekend, lasciando dietro titoli più pop come il cartoon degli emoji e l’atomica bionda Charlize Theron.

dunk

La prima risposta al perché di questo successo è semplice: Dunkirk è un film che sa di cinema, in un’epoca in cui è soprattutto la tv a investire massivamente in produzioni d’autore un tempo destinate alla sala (ciò spiega anche la presenza, tra le sei attrici protagoniste di miniserie candidate ai prossimi Emmy, di nomi come Nicole Kidman, Reese Witherspoon, Susan Sarandon e Jessica Lange: roba che oggi persino gli Oscar si sognano). Christopher Nolan è un regista di cinema puro, e dirige con la consapevolezza di offrire alla platea uno spettacolo che soltanto nel buio della sala può accadere. Su direttrici decisamente diverse, fa la stessa operazione che ha guidato Damien Chazelle nel pensare La La Land. La seconda risposta sta nel ritratto della guerra come emozione collettiva, globale, in un momento storico in cui la guerra è di nuovo vissuta come esperienza che ci riguarda tutti. È il punto di vista preciso del racconto dei soldati scampati al nemico tedesco che sperano di tornare a casa. Dunkirk è l’orrore, è la giovinezza sacrificata a una giusta causa solo presunta, è la corruzione dei popoli, è il senso di fragilità e di minacciosa quiete delle poesie che ci facevano studiare a memoria, è la morte come attesa. Parodiando quella battuta da cinema italiano: è forse l’attesa della morte la morte stessa? Dentro Dunkirk c’è anche un’ironia nerissima: quelli che dovrebbero morire si salvano, chi è venuto per salvare finisce sul giornale nel colonnino «casualities of war» (ma da eroe). L’unica reazione possibile – incarnata dall’ufficiale Kenneth Branagh, un brivido corre lungo la schiena quando gli occhi gli si riempiono di lacrime – è l’umanità. È l’unico mezzo per la sopravvivenza, ieri come oggi.

La terza risposta è semplice: Dunkirk è un film bellissimo, e lo dico da non nolaniano (non sempre, almeno). Il che apre a un quesito che visiterà molti spettatori durante la visione: si può fare un film di guerra che grida bellezza da ogni inquadratura? Certo che sì, che discorsi: il finale della Grande illusione di Jean Renoir è il più bello della storia del cinema, è bellissimo il canto degli innocenti di Orizzonti di gloria, sono bellissime le corse nei lampi di luce di Full Metal Jacket. E questi sono gli esempi più facili, pensate a tutti gli altri. Dunkirk è di una bellezza sontuosa, monumentale, sfacciata. Si avverte a tratti quel rischio di freddezza tipico di Nolan, e però lui lo aggira con la giustissima suddivisione in tre atti scompaginati tra loro: la terra che è il molo su cui i soldati aspettano la nave del ritorno, l’acqua che è il grande mare delle battaglie e della solidarietà, l’aria che è il volo disperato di due piloti; il fuoco arriva alla fine, a scombinare tutto. Ed è giustissimo il solito cortocircuito temporale. Sappiamo che è il tempo il tema cruciale del cinema di Nolan, e in Dunkirk una settimana diventa un giorno, un giorno un’ora, o forse tutto si confonde, e va’ a sapere qual è davvero il tempo della nostra vita.

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