Cosa abbiamo letto ad aprile in redazione.
Uno storico è convinto di aver scoperto un falso della National Gallery grazie a un taglio di capelli
“A Man Reading (Saint Ivo?)”, un dipinto della metà del 1400 esposto alla National Gallery che raffigura un religioso mentre legge un manoscritto, sarebbe in realtà una “crosta” del secolo scorso, il ritratto di un uomo con i capelli «alla Beatles» chino su un foglio pieno di scritte insensate. La denuncia, riportata dal Guardian, viene dallo storico dell’arte Christopher Wright, che confuta sia l’età (1450) sia la paternità del quadro, che il museo attribuisce alla bottega del pittore fiammingo Rogier van der Weyden. Secondo Wright, l’opera sarebbe stata realizzata invece negli anni ’60 da Eric Hebborn, il più noto falsario dell’era moderna, che fino al 1978 aveva ingannato diverse istituzioni con le sue finte tele di Mantegna, Tiepolo, Rubens e altri ancora. Intervistato dal giornale, l’accademico spiega come le prove della teoria siano la capigliatura «ridicola» dell’uomo ritratto e il contenuto del foglio, «un lungo scritto incomprensibile oltreché impossibile, visto che all’epoca gli artisti inserivano solo iscrizioni leggibili». Wright aveva messo in dubbio l’autenticità di “A Man Reading” già nel 1985 con il libro The Art of the Forger, a cui la National Gallery replicò rimuovendo il titolo dalla libreria.
Secondo Wright neppure l’analisi dendrocronologica del pannello di legno del ritratto, che l’aveva datato al 1515 circa, sarebbe indicativa: «Hebborn si sarebbe potuto procurare il legno da vecchi mobili, come faceva per la carta». Lo studioso indica altri indizi: il cappuccio del religioso «che sfida la legge di gravità» e la cicatrice sul volto, «troppo moderna»; afferma, poi, di comprendere la riluttanza del museo nell’ammettere di aver acquistato un falso del ventesimo secolo. Del resto nel 1991 la National Gallery aveva definito infondate le accuse, anche perché era stato certificato che il dipinto fosse appartenuto a un collezionista morto nel 1806. Wright è però convinto che non si tratti della stessa opera: nell’originale «Sant’Ivo guardava direttamente una carta, che non è quella raffigurata nella tela in questione. Hebborn aveva commesso degli errori». La sua tesi riemerge ora perché il professore sta lavorando a un nuovo volume sul santo, e avrebbe trovato ulteriori prove dell’intervento di Hebborn esaminando altre fonti, tra cui la sua autobiografia. Al momento, la National Gallery ribadisce l’inesattezza delle ipotesi di Wright.

La band hip hop irlandese viene da anni di provocazioni ed esagerazioni alle quali nessuno aveva fatto troppo caso, fin qui. Ma è bastata una frase su Gaza, Israele e Stati Uniti al Coachella per farli diventare nemici pubblici numero 1.

Ancora più dei suoi romanzi precedenti, Vanishing World , appena uscito per Edizioni E/O, sembra scritto da una macchina senza sentimenti che ci mostra tutte le variabili possibili e immaginabili della stupidità umana.